Il direttore del quotidiano Libero ha subito un agguato.
Fortunatamente ne è uscito illeso. Le forze dell’ordine stanno
indagando con gran dispiego di mezzi. Fino ad ora nessuna traccia
dell’attentatore. La scorta al giornalista è stata potenziata.
La notizia è dell’altro ieri sera. Al momento in cui scrivo non ci
sono significative novità. Qualche nota a margine tuttavia è già
possibile farla.
La condanna della violenza, da chiunque provenga, è fuori discussione.
Ma questo non impedisce di interrogarsi sulla dinamica dei fatti.
Qualche dubbio emerge dalle cronache e si sta diffondendo tra quei
cittadini che non si fidano più di quel che leggono su certi giornali
e sentono su certe tv, dopo anni di dossieraggi, bufale e veleni da
parte di un network eversivo pronto a tutto.
Auguriamoci, dunque, che una serie inchiesta giudiziaria – ecco
l’importanza di avere una magistratura indipendente dal governo e dai
suoi tirapiedi! – accerti i fatti. Fino a quel momento è legittimo
sospendere il giudizio sul fatto in sé.
Poi c’è la strumentalizzazione della notizia, che è già partita in
automatico. Prima ancora di averne accertato il responsabile, la
dinamica e le motivazioni, il sistema politico-mediatico attribuisce
la colpa del misterioso attentato al “clima“, ai toni, alle parole di
chi esprime dissenso senza prima chiedere consiglio all’on. Bonaiuti.
Il ministro dell’interno dichiara che occorre “abbassare i toni”
perché “non sarà l’ultimo attentato“.
Il capogruppo del Pdl al Senato parla di ragazzini che in modo
“moralmente violento” gli accendono in faccia una telecamera.
Il capogruppo del Pdl alla Camera indica in Di Pietro il fomentatore dell’odio.
Politici e commentatori di ogni colore condannano l’attentato
iscrivendolo, senza saperne nulla, in un contesto politico.
Lo stesso fa il diretto interessato: “pago per le mie idee“, dice.
Un tempo si attendeva almeno un volantino di rivendicazione dei
colpevoli. Ora ci si affida ai comunicati stampa delle vittime.
Quando ieri mattina ho letto la notizia, ho subito pensato: si
preannuncia un nuovo caso Tartaglia, sia pure in sedicesimo. Ci siamo
già. Partito dell’odio, mandanti morali, rischio terrorismo,
abbassiamo i toni: il rosario vittimistico dei nuovi maccartisti ormai
lo conosciamo. E a questo vocabolario falso e avvelenato stanno
attingendo per mettere a frutto anche quest’episodio, addebitandolo a
quel che resta del giornalismo critico, dell’opposizione parlamentare,
dei movimenti di opinione che contestano il governo su misura.
Se non funziona più il sogno, deve funzionare la paura: il gioco è
questo. E non è un gioco pulito.
Mentre ancora siamo in attesa delle scuse da parte di chi ha inserito
anche noi tra i responsabili del “clima avvelenato” che ha armato la
mano di Tartaglia, poi rivelatosi uno squilibrato isolato, e di un
atto di resipiscenza da parte di quei garbati oppositori che per anni
ci hanno insegnato che non bisogna “demonizzare” Berlusconi, cioé il
capo della cricca dei demonizzatori, tocca ancora una volta opporsi
alle strumentalizzazioni, ribadendo ovvietà oggi per nulla scontate,
per difendere il diritto stesso alla libertà di espressione.
A nessuno è consentito di mettere sullo stesso piano il dissenso e la
violenza. Criticare Berlusconi perché abusa delle istituzioni per
garantirsi l’impunità non significa esporlo al rischio di aggressioni,
ma esigere rispetto per la Costituzione. Criticare Belpietro per il
suo modo di dirigere i giornali non significa istigare alla violenza
contro di lui, ma provare rispetto per la funzione pubblica del
giornalismo. La libertà di espressione è il cuore della democrazia. Ed
è libertà non di applauso ma di critica, anche aspra se necessario,
purché documentata e responsabile, adeguata nei toni alla sproporzione
delle forze in campo e alla gravità dei fatti che si denunciano.
C’è un odio sano in politica: l’odio per gli abusi di potere. E usare
il potere per intimidire i dissidenti o distruggerne la reputazione è
una forma di violenza.
Ingiusta ma anche illogica, questa pretesa di criminalizzare
preventivamente il dissenso. Se valesse il principio dei “mandanti
morali“, per esempio, dovremmo forse imputare ai direttori dei
giornali berlusconiani un eventuale attentato a uno a scelta dei tanti
magistrati, politici e intellettuali messi alla berlina e diffamati
perchè sgraditi al capo? Senza nemmeno attendere l’esito un’inchiesta?
Fidandoci della parole delle vittime o di un agente della loro scorta,
magari già noto e premiato in passato – come l’agente di scorta a
Belpietro, stando a quel che si legge oggi su Repubblica - per aver
sventato un misteriorso attentato rimasto senza traccia né colpevole
alla “toga rossa” Gerardo D’Ambrosio? A proposito: l’avrà commesso uno
squilibrato suggestionato da Sgarbi o un fanatico lettore del
Giornale?
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