«Diciotto firme false su diciannove: praticamente nessuno dei candidati della lista “Pensionati per Cota” aveva sottoscritto la propria candidatura alle elezioni regionali. Hanno firmato, al posto loro, i due indagati: Michele Giovine, esponente principale della lista, rieletto in consiglio regionale con 27 mila preferenze, e suo padre Carlo».
Così oggi rivela Repubblica nelle sue pagine torinesi, che stanno da tempo aprendo uno squarcio su un caso che forse meriterebbe più attenzione a livello nazionale: l’illegittima elezione del leghista Roberto Cota a governatore del Piemonte.
Ora, le cose stanno così: alle elezioni del 28-29 marzo una lista che poi si è rivelata decisiva per la risicata vittoria di Cota sulla Bresso si è presentata con firme farlocche, quindi era illegale.
A questo punto si apre una nuova, gigantesca, questione giudiziario-politica: va invalidata o no l’elezione di Cota?
Certo è che se si seguissero le regole, la risposta non potrebbe essere che sì. Eppure c’è in giro una gran voglia di lasciar perdere. Perché si dice che “il dato politico prevale”, cioè Cota ha preso più voti della Bresso. Tanto più che nessuno ha voglia di sentire urlare di nuovo al “golpe giudiziario”, e le toghe rosse, e così via. E la stessa Bresso alla fine ha mollato il ricorso (che però va avanti con altri proponenti) in cambio di una poltroncina di consolazione.
Alla fine, in molti, prevale la stanchezza, il “che si tengano il Piemonte e buonanotte”.
Nemmeno io so più cosa augurarmi. A parte l’esilio a vita a Montecristo per Michele Giovine e i suoi cari, che hanno sputato negli occhi alla democrazia.
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