Esplode il caso Brambilla. Il ministro, sotto inchiesta per “danno erariale”, attacca Il Fatto per aver dato conto della sua gestione delle nomine nel mistero e negli enti che da questo dipendono. Curioso. In qualsiasi paese del mondo un ministro che sotto il suo mandato vede il fidanzato approdare alla guida di un ente da lui controllato chiede scusa, si dimette o perlomeno esibisce il proprio imbarazzo. In qualsiasi paese del mondo, un ministro che nomina alla guida della “struttura di missione per il rilancio dell’Italia all’estero” un drappello di amici, ex dipendenti, ex datori di lavoro la maggior parte provenienti da un organo di partito (questo giornale l’ha definito con efficacia “ufficio di collocamento Brambilla”) chiede scusa o rimette il mandato. E persino in questa Italia, il ministro Michela Vittoria Brambilla, all’inizio si era presumibilmente vergognata, o contava di ridurre il danno limitando la diffusione mediatica della notizia.
Però poi qualcosa cambia. Dopo una risposta pubblica di Silvio Berlusconi che – interrogato sull’ascesa al ruolo di commissario Aci del suo fidanzato Eros Maggioni – nella conferenza stampa di fine anno la scaricava (“Sono casi spiacevoli: quando lei prende cento persone non può pretendere che ci siano cento santi…”), la Brambilla annunciava causa civile contro questo giornale. Questa risposta del Cavaliere deve essere costata a Berlusconi qualche scudisciata, se è vero che dopo 4 ore il premier, sempre sensibile alle richieste della “ministra salmonata”, ritratta con una nota ufficiale (“Le indicazioni esposte sono frutto di mere illazioni e personali supposizioni”).
E così, dopo due articoli del nostro quotidiano, dopo un delizioso capitoletto nel libro-inchiesta Tengo Famiglia (Aliberti) pubblicato due settimane fa dal giornalista di Panorama Carlo Puca (“Brambilla, la donna dell’Eros”), dopo una puntata di Report, e dopo l’avvio di una indagine della Corte dei conti, la Brambilla annuncia una “simbolica” richiesta di risarcimento (“solo” tre milioni di euro…) contro Il Fatto. Ne avevano scritto in molti. La nostra colpa? Raccontare per primi queste storie, e le altre che danno l’idea del Brambi-style: a partire dall’uso di elicotteri di Stato (anche per accorrere ad appuntamenti di partito) e atterrare in un’area non adeguatamente attrezzata (con relativo dispiego di mezzi di soccorso pagati dal contribuente) pur di consentire al ministro di arrivare vicina a casetta. La nostra colpa è aver chiesto conto al premier dell’elezione di Maggioni. Avvenuta in condizioni rocambolesche, visto che il commissario nominato all’Aci dalla ministra – Bruno Ermolli – aveva escluso per vizi formali la lista concorrente a quella del signor Maggioni (e sua) consentendole di gareggiare da sola e vincere per assenza di concorrenti (e dispiace). Jacopo Bini Smaghi, leader della lista esclusa, fa ricorso al Tar e si rivolge alle procure, ma intanto Maggioni (professione odontotecnico) resta nel Cda. Nel 2007 Michela disse: “Guadagno più di lui, ma sto ben attenta a non farne un campo di potere nella coppia”. Chissà oggi.
Quanto alla struttura di missione, la domanda non è arbitraria, visto che, come ha scritto Il Sole 24 Ore, “si ipotizza un danno erariale. La Procura del Lazio della Corte dei conti, guidata da Pasquale Iannantuono – scrive Il Sole – ha aperto l’istruttoria a seguito di notizie di stampa secondo cui oltre una decina di persone assunte presso il ministero come consulenti per il rilancio dell’immagine dell’Italia svolgerebbero attività di partito”. Infine, visto che alla comicità involontaria non c’è limite, la ministra ha solennemente annunciato che si sarebbe fatta difendere dall’Avvocatura di Stato, ravvisando negli articoli de Il Fatto un danno per il ministero.
Particolare grottesco, ma rivelatore: l’assunzione di una pattuglia di fedelissimi, e l’incredibile vicenda del compagno che approda al vertice della più importante sezione Aci d’Italia (Milano gestisce il business del gran premio di Monza, 50 milioni di euro), se provato, va considerato un danno della ministra all’immagine dello Stato. Non certo un danno causato da chi scrive la notizia allo Stato. Ma la Brambilla non deve avere chiaro il concetto di distinzione fra pubblico e privato. E così per difendere se stessa le viene istintivo pagare le spese legali con i soldi dei cittadini. Mica male per chi dichiarava spavalda: “Sono una che vive del suo. E a differenza degli altri politici, non ho chi mi paga la pagnotta. Sono libera, dico e faccio quel che voglio, lo ammetto: non dover accontentare nessuno è il mio lusso”.
Alla struttura di missione la Brambilla ha collocato Giorgio Medail, l’uomo che l’aveva assunta a Mediaset nel lontano 1989. E che lei stessa aveva collocato alla guida di una sua impresa (fallimentare) l’indimenticata “Tv delle libertà”. Uno stile di governo che ieri ha ispirato a una senatrice del Pd, Roberta Pinotti, una sacrosanta interrogazione: “A quale titolo viene utilizzata l’Avvocatura dello Stato per un contenzioso che riguarda un personaggio politico?”. Già, persino i vecchi democristianoni dei tempi d’oro, avevano un loro stile. Aggiunge la senatrice Pinotti: “Si tratta di una vicenda del tutto privata nella quale il ministro è accusato di aver concesso consulenze tramite il ministero del Turismo a persone che invece lavoravano per la televisione del Pdl. Di questo la stampa ha dato conto e se il ministro Brambilla ritiene di essere stata personalmente diffamata, nulla le impedisce di aprire un contenzioso affidandosi a un avvocato che l’assista. Ciò che non può fare è rivolgersi all’Avvocatura giustificando questo comportamento di protervia come lesa maestà all’immagine del ministero”. Una contraddizione chiara agli stessi dirigenti del ministero. Il giorno dopo il primo comunicato, il capo di gabinetto, Claudio Varrone, era costretto a correggere il tiro: “L’azione non è volta a tutelare l’immagine del ministro ma quella delle strutture ministeriali”. Ovvero. Un conto è l’immagine del ministro, un altro quella del ministero, e solo per queste (secondo la seconda versione) interverrebbe l’Avvocatura. La Brambilla, che a chi scrive era persino simpatica, disse di Dell’Utri e Tremonti: “Sono come le mestruazioni. All’inizio fanno male, poi, passano”. Lei invece resta. Per ora.
Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2010
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