venerdì 9 luglio 2010

Quella globalizzazione che passa da Pomigliano

QUELLA GLOBALIZZAZIONE CHE PASSA DA POMIGLIANO

La discussione sulla vicenda della Fiat di Pomigliano ha fatto emergere una visione statica e troppo semplificata della globalizzazione. Che non lascia spazi all'iniziativa politica, se non per l'eventuale chiusura protezionistica. E così di fronte alla corsa al peggio nelle condizioni di lavoro non resterebbe altro che la rassegnazione. Invece l'alternativa esiste. E sono proprio i paesi emergenti a offrire esempi di buone politiche orientate al futuro con i massicci investimenti nell'educazione. Su questo, un paese in ripiegamento come l'Italia, farebbe bene a riflettere.

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La globalizzazione non consiste soltanto in un mercato integrato, all’interno del quale unicamente il costo del lavoro determina la competitività delle imprese e le loro scelte localizzative. Questa visione semplificata non spiega perché la fabbrica della Volkswagen a Wolfsburg, coeva e quasi gemella di Mirafiori, sia ancor oggi uno dei più grandi complessi produttivi di autoveicoli al mondo, con una produzione di 736mila veicoli nel 2009, nonostante i salari più elevati del pianeta. Non si spiegherebbe neppure quello che è avvenuto una decina di anni fa, dopo l’associazione della Turchia alla spazio economico europeo: nonostante costi del lavoro otto volte più bassi di quelli europei, il mercato turco fu rapidamente invaso da veicoli europei, mentre i modelli locali, inclusi quelli Fiat e Renault, poco competitivi, perdevano rapidamente quote di mercato.
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Non solo: nelle ultime settimane è avvenuto sul mercato del lavoro cinese quanto è logico attendersi in una situazione di crescita rapida e prolungata. Si è aperta la strada a rivendicazioni salariali, si sono moltiplicati gli scioperi e i lavoratori cinesi hanno ottenuto rilevanti aumenti salariali , pari al 25 per cento nel caso della fabbrica Honda di cambi e trasmissioni di Foshan, nella ricca provincia costiera del Guangdong. In un’altra fabbrica della Honda a Zhongshan, i dipendenti hanno eletto propri delegati al di fuori del sindacato ufficiale, controllato dal Partito, come riferisce l’indipendente China Labor Bulletin di Hong Kong.
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http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001822.html

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