L'attentato kamikaze di giovedì 28 aprile a Marrakesh è riuscito in un colpo solo a raggiungere due obiettivi: inferire un colpo durissimo all’economia marocchina che vive di turismo e rallentare il tentativo affannoso di riforma democratica del Marocco.
Il re Mohammed VI, 47 anni, in carica dal 1999, era riuscito finora in un quasi miracolo: evitare che la nazione fosse contagiata dall’entusiasmo della primavera araba.
LA STABILITÀ DI RABAT. Merito di una certa stabilità economica, ma anche di un processo di riforme moderate che avevano costruito il consenso intorno alla sua figura. Mohammed VI è considerato una garanzia dell’unità nazionale di fronte alle tensioni che hanno minato il resto della regione: contrariamente a quanto successo al Cairo in piazza Tahrir, i marocchini non si sono mai spinti a chiedere la testa del loro sovrano.
L’attentato kamikaze di giovedì avrebbe invece voluto invertire la tendenza. Ricordare al sovrano che nel Paese c’è chi non è disposto ad accettare piccole concessioni di facciata. Indurre una paralisi del processo di riforme, per indebolire il re ed esacerbare gli animi, spingendo verso l’estremismo.
LA PISTA FRANCESE. Tuttavia, esiste un’altra lettura della vicenda, riferita a Lettera43.it da una fonte ben informata.
Secondo la seconda ipotesi, la violenza sarebbe sì un segno, ma destinato a questa sponda del Mediterraneo. Nel mirino degli attentatori ci sarebbe Parigi, responsabile dell’escalation bellica in Libia e di un interventismo poco gradito. I sei cittadini francesi uccisi sarebbero un monito per l’Eliseo, nei confronti dei quali la pazienza del Nord Africa sta per terminare.
sabato 30 aprile 2011
Marrakesh, avviso a Sarkò
Marrakesh, avviso a Sarkò: "
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