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Chi pagherà i 1oo mila euro di multa che l’Autorità di garanzia ha inflitto al Tg1 per manifesta faziosità? Non si tratta di una domanda capziosa, perchè il Tg1, o meglio il suo direttore, l’ha cercata, l’ha pretesa quasi fosse una medaglia al merito. L’Autorità, infatti, aveva già ammonito, tra gli altri, proprio quel Tg per una eccessiva presenza, sotto molteplici vesti, del presidente del Consiglio, e per aver oscurato i suoi avversari. Quel cartellino giallo è stato ignorato, anzi l’ex direttore Masi spese parole di elogio per il direttorissimo, e il medesimo Minzolini rivendicò la sua “imparzialità”. La multa, dunque, è stata cercata, bramata, quasi invocata, e finalmente guadagnata sul campo.
A questo punto, perché non completare l’opera e fargliela pagare di tasca sua? La nuova Rai potrebbe accogliere questo desiderio di martirio, questo sacrificio estremo ed invitare il sor Augusto a provvedere personalmente, del resto perchè mai si dovrebbero usare soldi pubblici per una sanzione scientificamente ricercata?
Quanto all’Autorità di garanzia, ci fa piacere che sotto la pressione di decine e decine di esposti, tra i quali quelli di Articolo 21, abbia finalmente deciso qualcosa, ma le sanzioni e i tempi compensativi sono arrivati a pochi giorni dal voto e dopo mesi e medi di violazioni conclamate e clamorose. Speriamo che sia il segnale di una svolta, anche perché lo stesso scempio è già in atto nei confronti dei quesiti referendari oscurati, resi incomprensibili, confinati in orari impossibili.
La stessa Rai non sta onorando gli impegni assunti. L’Autorità di garanzia e la Commissione di vigilanza vorranno far sentire, ora e subito la loro voce, o i tempi compensativi saranno disposti all’ultimo istante, quando il broglio politico e mediatico si saranno già consumati?
Massimo Ciancimino non merita riguardi. E’ un personaggio da prendere con le pinze. Le sue dichiarazioni ai magistrati inquirenti vanno riscontrate con rigore, come - fino a prova contraria -è stato fatto. Ha sbagliato chi sui media ha contributo a farne un’icona dell’antimafia. Detto questo, è evidente che il suo arresto (peraltro richiesto dallo stesso magistrato che si vorrebbe inchiodare come un eversore) è stato sfruttato per colpire ulteriormente la credibilità di alcuni magistrati in prima linea, Antonio Ingroia in testa. Per due motivi: sabotare alcune inchieste scomode e creare un clima favorevole alla controriforma della giustizia che di fatto sottoporrebbe l’azione penale al controllo del potere esecutivo. Antonio Ingroia non va lasciato solo. Né lui né gli altri magistrati che, per il sol fatto di esercitare la propria funzione senza timori reverenziali, sono entrati nel mirino della macchina della diffamazione. Ripropongo qui la lettera che Gian Carlo Caselli ha recentemente scritto proprio su questi temi al Corriere della sera."
E’ incredibile che la coalizione capitanata da Letizia Brichetto in Moratti sia ancora elettoralmente competitiva. Dietro il belletto della propaganda, gonfiata a dismisura dai potenti mezzi economici di famiglia, il bilancio di cinque anni di amministrazione è un fallimento politico e un disastro morale, come documenta il libro bianco realizzato dallo staff di Giuliano Pisapia. Sono quasi vent’anni che la destra peggiore regna a Milano e in tutti questi anni la città è diventata un videogame per speculatori immobiliari e le istituzioni pubbliche sono state occupate con logica di clan. Si dice non a torto che Milano è l’epicentro del sistema Berlusconi e da qui deve muovere il cambiamento possibile. Domenica e lunedì si vota. Dopo quasi vent’anni di immobilismo, la possibilità di giocarsela al ballottaggio questa volta è concreta. Chi sta a Milano può darsi da fare in questi ultimi giorni per seminare informazione, invogliando le persone se non altro a non votare l’attuale amministrazione.
Il video si riferisce all’ultima sparata, di questa mattina, della signora Letizia Brichetto in Moratti. Approfittando di avere, per sorteggio, l’ultima parola a un confronto televisivo, evidentemente consigliata da qualche professionista della diffamazione, la sindaca ha mentito sul conto dell’avversario, per affibbiargli l’immagine di un estremista amico dei terroristi, ipocritamente invocando quella questione morale così disprezzata all’interno della propria giunta e del partito che la sostiene. Un gesto vigliacco, che tradisce una significativa dose di disperazione e toglie il velo di ogni residua dignità. Ma dopo la risposta ferma di Pisapia, che era necessaria, ora occorre evitare il polverone sul nulla, perché è questo che vogliono, e provare invece a inchiodarli al loro fallimento.
Siamo sempre in attesa che il questore di Milano ci faccia sapere se accetta o rifiuta la nostra richiesta di incontro. Ormai è passato più di un mese dal momento in cui un suo collaboratore ci aveva promesso al telefono una risposta in tempi rapidi. Un mese in cui ulteriori abusi contro il dissenso si sono ripetuti. Intanto abbiamo appreso dai giornali che in un comissariato di Milano, in zona Città Studi, faceva bella mostra di sè una bandiera con la croce celtica. Si notava da una finestra aperta. L’ha fotografata un passante dalla strada. Insieme all’amico Dario Parazzoli abbiamo deciso di inoltrare un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Milano per verificare se in quel gesto sia ravvisabile, oltre che un segnale inquietante, un’ipotesi di reato."
Venerdi' 13 per Blogger: "Black-out prolungato per la piattaforma blog di Mountain View. Un guasto tecnico dovuto all'aggiornamento pare sia l'origine del male. Il sito sta lentamente tornando alla normalita'. Nessuna perdita di dati registrata, per il momento"
Desktop Memory Shortage Possible in the Second Half of 2011: " When it comes to predictions in a certain field of the IT market, those directly involved with it have just as much say, if not more, than market analysts, and it looks like one such prediction was made by Transcend.
The thing about the NAND Flash and DRAM memory markets is that they are often taken together and spoken of a... (read more)"
Google ha presentato ieri, nel corso dell’I/O 2011, il Chromebook: non tanto un singolo portatile, quanto una “linea” di laptop (prossimamente in distribuzione da Samsung e Acer) con Chrome OS. È stato subito evidente che il sistema operativo non sarebbe stato distribuito per l’installazione su hardware diverso da quello in vendita.
Lo stesso discorso vale per Chromium OS, considerato stabile da qualche settimana: neppure quest’ultimo sarà proposto in forma d’immagine scaricabile. Chi volesse comunque provarlo dovrà ricorrere, com’è stato finora, a build come Hexxeh. Oppure crearlo da sé, partendo dai sorgenti, con gli strumenti messi a disposizione da Google.
La scelta di Google è comprensibile, dal punto di vista commerciale: per Linux potrebbe rivelarsi un’occasione a metà. Chromium OS non è altro che una serie di overlay per Gentoo e potenzialmente sarebbe installabile su qualsiasi dispositivo. Non solo sui portatili. Sfruttando questo principio Google poteva competere con Microsoft.
Nelle ultime settimane si sono ricorse molte voci che alludevano ad un possibile acquisto di Skype da parte di Facebook. Sembra, invece, che a vincere la sfida per l’acquisto dell’azienda regina del VoIP sarà proprio Microsoft che sborserà una cifra vicina agli 8 miliardi di dollari.
Una quantità di denaro non indifferente, neanche per Microsoft, che probabilmente spera di tornare agli albori di un tempo cavalcando sul VoIP da quando i Software as a Service (SaaS) stanno guadagnando notorietà proprio sulle spalle dei suoi prodotti di punta ed il suo motore di ricerca, Bing, non riesce ad impensierire seriamente Google.
Da considerare anche la possibile partnership sui prossimi smartphone Nokia che saranno dotati di Windows Phone. Anche qui una mossa per provare ad agganciare Android di Google e iOS di Apple che stanno crescendo a ritmi più sostenuti dei concorrenti. L’integrazione sarà però complicata dalle possibili resistenze che potrebbero mettere in campo le varie Telco.
Arriviamo alla domanda principale. Cosa succederà a Skype per Linux? A qualcuno non interesserà molto perché in fondo si tratta di un software commerciale, ma per altri rappresenta un importante mezzo di comunicazione per mantenere contatti di amicizia o di lavoro con le moltissime persone che lo usano sugli altri sistemi operativi.
Da sempre il porting per Linux è stato considerato come un prodotto di serie B con funzionalità mancanti e problemi vari che venivano sistemati con eccessiva lentezza rispetto alla controparte per Mac Os X e Windows. Davanti a Microsoft ci sono quindi 3 alternative:
Continuare a gestire il porting per Linux come un prodotto di serie B
Decidere di sospendere del tutto lo sviluppo e concentrarsi sulle principali piattaforme
Dedicare programmatori e tempo per portare la versione Linux al pari delle altre
Ok, lo ammettiamo. L’ultima l’abbiamo messa solo per completare le possibilità, ma non ci crediamo neanche lontanamente. L’azienda probabilmente sceglierà fra le prime due alternative. La mia previsione è che inizialmente continui a supportare la versione Linux lasciando aumentare il distacco con quella principale fino a decidere, magari fra un anno o due, di sospendere completamente lo sviluppo.
Purtroppo essendo un software proprietario nessuno potrà provare a riportarlo in vita. Ecco che vale sempre il suggerimento di cercare un altro sistema VoIP e cercare di far migrare amici e parenti sulla nuova piattaforma.
La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, per l’ipotesi di reato di peculato. L’inchiesta è quella sulle spese sostenute con la carta di credito aziendale a lui affidata dalla Rai ed è nata da due esposti: uno dell’Idv e l’altro presentato da un’associazione dei consumatori. Per gli inquirenti, comunque, l’iscrizione è un “atto dovuto”, alla luce di alcuni accertamenti che sono stati svolti, dei documenti acquisiti dagli investigatori della Guardia di finanza e degli atti relativi ad una indagine interna svolta dall’azienda di viale Mazzini. “E’ l’ennesimo attacco” ha commentato Minzolini, che ha ricordato come si tratti di un ‘atto dovuto’. Dalla “strumentalità politica più che evidente”, aggiunge, considerate le imminenti elezioni e che “l’indagine penale prende spunto dall’esposto di un partito politico, quello di Antonio Di Pietro”. Il direttore del Tg1 si dice “più che tranquillo” e precisa di aver “già ridato indietro alla Rai l’intera somma in questione” e aver “avviato nel contempo un’azione legale di rivalsa nei confronti dell’azienda”.
Per rappresentare la Rai, il direttore del Tg1 avrebbe spesso in quindici mesi 68mila euro, quasi il doppio del direttore generale e del presidente. Un eccesso che l’allora direttore Mauro Masi aveva tentato di limitare con una circolare che tagliava le spese del 30 per cento, ma che non ha potuto evitare un’indagine della Corte dei Conti. Il direttore della testata potrebbe essere convocato prossimamente in procura a Roma per fornire la sua versione dei fatti. Secondo la sua versione, Minzolini avrebbe ricevuto dall’azienda un benefit in cambio dell’esclusiva sul suo lavoro giornalistico. “A contratto già firmato il presidente Rai mi chiese di interrompere una collaborazione con il settimanale ‘Panorama’”, ne motiva l’origine il direttore. “Un benefit di cui ho goduto fino a quando, dopo 18 mesi e dopo aver approvato un bilancio – continua – il vertice Rai ha scoperto, per usare un eufemismo, che quel benefit non era compatibile con la politica aziendale”.
Un esempio delle spese sostenute da Minzolini - e della fattura presentata alla Rai – è un weekend che il direttore del Tg1 ha trascorso, tra agosto e settembre, in provincia di Grosseto. Alle terme di Saturnia Resort, dormendo in una ‘grand suite’ a 550 euro a notte. Una tariffa scontata di un terzo e decisa con l’amministrazione della struttura, raccontavano dall’albergo. Che, il 20 aprile, era stato ospite di un servizio del Tg1.
Vittorio Sgarbi ora recita la parte del censurato. Improvvisa una conferenza stampa a Roma e non manca di insultare nell’ordine: Michele Santoro, Roberto Saviano, Vauro e, immancabili, Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano. La Rai, che paga la serie di 5 puntate del suo programma 1,4 milioni di euro a puntata più un milione di euro per il suo compenso, avrebbe posto al critico d’arte veti e condizioni difficili da accettare. Prima fra tutte quella di non andare più in diretta il 18 maggio con una puntata su Dio e la fede. “Ho saputo – dichiara Sgarbi – telefonando pochi giorni fa al direttore generale, Lorenza Lei, che la puntata dovrebbe essere registrata un giorno prima. Perché non pongono le stesse condizioni a Floris, Santoro, Saviano? Voglio essere trattato come loro, io tra l’altro, a differenza di Saviano, mi occupo di Mafia, lui di letteratura”. Ma non è tutto. L’ex sindaco di Salemi denuncia che il titolo della sua trasmissione, ‘Il mio canto libero’, va cambiato. L’ufficio legale della Rai ha eccepito che potrebbero sorgere problemi sui diritti d’autore con la vedova di Lucio Battisti e col paroliere Mogol.
A un cronista che gli contesta che Vauro e Travaglio per Annozeronon vengono, addirittura, pagati, Sgarbi risponde così: “Santoro e Travaglio fanno la parte delle vittime, io, invece, sono lo stronzo. Vauro? Fanno bene a non pagarlo, vada a scuola di disegno”. Sgarbi, allora, ‘minaccia’: “Sono pronto a lasciare, però, mi devono trattare come hanno fatto con Enzo Biagi che ha avuto una buonuscita di 1,5 milioni di euro, io voglio 3 milioni di euro”. Peccato che Sgarbi non abbia mai ottenuto gli alti ascolti di Biagi.
Che l’ex sindaco di Salemi fosse teso per le sorti del suo programma, lo si era capito fin da mercoledì sera, quando le telecamere de ilfattoquotidiano.it lo avevano sorpreso, insieme al gruppo dei suoi autori ad inseguire il premier Silvio Berlusconi durante il ricevimento organizzato mercoledì pomeriggio dall’ambasciata d’Israele a Villa Miani a Roma, senza, però, riuscire a fermare il Cavaliere. A telecamere spente, ma non le nostre, l’ex sottosegretario ai Beni culturali al termine della conferenza stampa con un giornalista di Repubblica si lascia scappare: “Ah sei di Repubblica, pensavo fossi del Fatto, menomale perché quelli del Fatto Quotidiano mi stanno sui coglioni”.
Piazzale loreto, 29 aprile 1945: non ero ancora nato, ma so cosa è accaduto e so che avrei partecipato ai festeggiamenti – barbari, istintivi, giustificati e di popolo – per l’uccisione del Duce e l’esposizione del suo corpo alla folla. Avrei celebrato l’esposizione di quel corpo non per odio personale verso l’uomo Benito Mussolini, quanto per odio politico contro il capo e l’inventore di un regime dittatoriale e sanguinario.
Ecco perché quando il 2 maggio 2011 il presidente Barack Obama ha annunciato l’uccisione del capo di Al-Qaeda, Osama Bin Laden, ho sentito dentro un moto di soddisfazione, un senso di giustizia fatta. Eppure non sono stato toccato direttamente dalle sue stragi contro le Torri Gemelle di New York, l’11 settembre 2001. Ne sono stato toccato indirettamente, attraverso l’esposizione mediatica della televisione. Stavo completando uno stage estivo alla rivista Internazionale, ed ero al lavoro in redazione. Fu un pomeriggio romano surreale quello, con gli automobilisti che mollavano la macchina in mezzo alla strada per entrare nei negozi e guardare alla tv “l’attacco all’America”, le Torri in fuoco, e quei corpi, quei corpi disperati di innocenti che si trovarono a dover scegliere tra una lenta morte fra le fiamme o l’ultimo salto della loro vita dal centesimo piano. Io quelle immagini me le ricordo bene, non c’è bisogno di YouTube per una volta. Me le ricordo e me le ricorderò per il resto dei miei giorni.
Sull’onda emotiva, l’intero mondo non integralista si strinse al fianco degli Stati Uniti d’America. Le teorie cospiratorie del tipo “dietro a tutto c’è la Cia” sarebbero arrivate più tardi.
Quando Barack Obama ha annunciato l’uccisione di Bin Laden sono invece partite subito le teorie dei “complot-tardi”, che se ne sono usciti con immaginifici dubbi del tipo “Secondo me non l’hanno mica ucciso”, “Perché non mostrano le foto del corpo”, “Come mai dicono di averne gettato il cadavere in mare” e via andando. Mentre sentivo alla radio uno dei campioni di queste teorie, il collega Giulietto Chiesa, spiegare i suoi clamorosi dubbi, mi dicevo: “Beh, se davvero alla Casa Bianca sono così fessi da aver diffuso una notizia falsa di queste dimensioni, è l’occasione d’oro per Al-Qaeda per sbugiardarli e fargli perdere ogni credibilità. Basta che Bin Laden compaia in video, con un giornale post-2 maggio 2011 in mano, denunciando la ‘vile menzogna dello stupido presidente americano’”. Puntualmente, Bin Laden in video non si è visto, e a fronte di una serie di pasticci comunicativi da parte della Casa Bianca (col cambio di varie versioni circa quella che con ogni probabilità è stata un’esecuzione sommaria del capo dei nemici), alla fine è arrivato l’annuncio ufficiale proprio di Al-Qaeda: “Bin Laden è morto”. Fine delle teorie dei complot-tardi, uno spererebbe.
E invece no. Giulietto Chiesa – che ora avrà cambiato idea sulla morte di Bin Laden – non si dà per vinto e continua a prendersela con Barack Obama e quegli americani che hanno festeggiato l’uccisione di Bin Laden. Ma diamine, Giulietto: un conto è indignarsi se qualcuno festeggia l’uccisione di 3000 innocenti, un altro è indignarsi se qualcuno festeggia l’uccisione della mente che ha organizzato la strage dei 3000 civili. Come si fa a mettere le due cose sullo stesso piano?
Ezio Mauro ha scritto che noi europei avremmo preferito vedere Bin Laden sottoposto a un giusto processo internazionale. Ma secondo il diritto, un “giusto processo” è quello nel quale si entra con la presunzione di innocenza e non si è colpevoli fino alla dimostrazione del contrario. Solo che non sarebbe esistito un giudice o una giuria neutrale contro Bin Laden in tutti gli Stati Uniti. E forse, azzardo, nemmeno in tutto l’Occidente. Si sarebbe allora dovuto organizzare un processo in Pakistan, o magari in Afghanistan, con una giuria composta anche da talebani integralisti, per essere proprio fair fair. Sono sogni, questi, e forse nemmeno così ideali. Perché Bin Laden era il Duce dei nemici ed è morto durante un’azione di guerra, non si è costituito a New York. È stato cercato per dieci anni, trovato, arrestato e poi ucciso. Proprio come Mussolini. E la gente che lui ha contribuito a far soffrire ha gioito di una felicità barbara, istintiva, giustificata e di popolo, proprio come quella del 29 aprile 1945. Non mi pare d’aver sentito la voce di Giulietto Chiesa levarsi contro i partigiani di Dongo che fucilarono Mussolini, né contro quegli antifascisti che gioirono della sua esposizione per i piedi.
Quando Nokia ha annunciato di aver scelto Windows Phone 7 per provare l’assalto al segmento degli smartphone in molti hanno temuto il peggio sia per MeeGo sia per Qt. Se per il primo c’è dietro un consorzio che vanta fra i nomi anche Intel e sembra stia prendendo piede nel car infotainment per Qt l’assenza di particolari notizie oltre alla vendita della sezione commerciale e vaghi progetti per il futuro facevano temere il peggio.
Finalmente qualcosa sembra si stia muovendo e così scopriamo che Nokia ha ancora piani per Qt ed ha spiegato cosa intende fare durante il percorso che ci porterà a Qt 5. La novità principale non è di tipo tecnico, ma è di tipo logistico. Le librerie non verranno più sviluppate a porte chiuse e poi rilasciate al pubblico, ma sarà tutto ben visibile fin dal primo giorno e non ci sarà alcuna differenza fra uno sviluppatore Nokia ed uno esterno all’azienda.
Ad annunciare la notizia è stato Lars Knoll che ha anche elencato i punti chiave dello sviluppo di Qt 5. Innanzitutto sarà necessario “rompere” la compatibilità binaria, mentre sarà mantenuta quella a livello di sorgente per la maggior parte dei casi. In ogni caso la transizione da Qt 4 a Qt 5 sarà meno traumatica rispetto a quanto avvenuto fra Qt 3 e Qt 4.
Le nuove librerie faranno un miglior uso dell’accelerazione messa a disposizione dalla GPU per creare effetti grafici anche in condizioni di risorse limitate.
La creazione di nuove interfacce grafiche sarà ulteriormente semplificata grazie all’utilizzo di QML e Javascript.
Rendere ogni applicazione connessa al web il più possibile con la possibilità, per esempio, di integrare contenuti web e servizi all’interno di ogni programma Qt
Ridurre la complessità ed il codice necessario per ogni port
Il target principale saranno X11/Wayland per Linux e poi, ovviamente, Mac e Windows
Le Qt 4 furono sviluppate quasi interamente da Trolltech e Nokia non fece altro che completare il lavoro e distribuire il tutto. Con Qt 5 la gestione sarà quella di un progetto FLOSS fin dall’inizio. Secondo i piani dell’azienda si dovrebbe arrivare ad una versione stabile e finale entro la fine dell’anno. Ora non resta che iniziare a lavorare.
Una lettera di minacce è giunta ieri nella redazione del nostro quotidiano indirizzata al vicedirettore Nicola Porro. Nella missiva oltre ad una serie di insulti c’è scritto: "Farai una brutta fine fra mille dolori una pallottola in testa""
Rosy Bindi in abito da suora, affiancata da una scritta a doppio senso sulla cremazione. Con questo post pubblicato sul suo profilo Facebook, il candidato leghista Francesco Bellentani, in corsa per il Consiglio comunale di Finale Emilia, nel modenese, inciampa a pochi giorni dal voto, e fa sprofondare i toni di una campagna elettorale che – a detta di tutti – fino ad ora era stata “civile”.
Il post, che risale a lunedì scorso, giorno in cui il ministro della Difesa Ignazio La Russa a Modena a fare campagna per i candidati del centrodestra (si voterà in sei Comuni della provincia), non è sfuggito al Pd locale, che ha fotografato e diffuso privatamente la pagina tra gli iscritti. Finché non è scoppiata l’indignazione. “Sono parole vergognose che si commentano e squalificano da sole. Mi aspetto che non solo il diretto interessato, ma anche il candidato sindaco a Finale e il segretario provinciale della Lega nord, Riad Ghelfi, prendano le distanze da questo gesto e si scusino pubblicamente”, afferma il segretario regionale del Pd, Stefano Bonaccini, riferendosi alla frase (irripetibile) che accompagna il fotomontaggio della presidente del Pd. “Chi fa politica o si candida per avere un ruolo politico o istituzionale, non dovrebbe mai abbandonare il rispetto per gli avversari”, osserva.
Bellentani, oltre ad essere candidato a Finale nella lista del candidato sindaco Maurizio Poletti (appoggiato anche dal Pdl), è il segretario della Lega nord di Nonantola. “La politica ha bisogno di confronti sui problemi delle persone, e non sugli insulti gratuiti“, replica Bonaccini. Ma sotto a Ghirlandina, il post ha destato ancora più scalpore. “La volgarità del fotomontaggio messo in circolazione sulle pagine di Facebook da Francesco Bellentani non merita commenti: si commenta da sé”, tuona il segretario provinciale dei democratici, Davide Baruffi.
“Sbaglierebbe però chi pensasse che si tratti di un’intemperanza isolata, del solito folklore leghista. E’ invece sintomo di quel degrado della politica e del dibattito pubblico al quale ci ha abituati in questi anni la destra”, avverte, e poi spiega: “Quando dalle bocche dei suoi leader nazionali escono solo barzellette, oscenità e insulti nei confronti delle istituzioni, della sinistra, di chiunque osi criticare l’operato del Governo, è evidente che anche le ‘truppe’ si sentano autorizzate ad adottare lo stesso stile greve e fintamente popolare”.
Più in generale, a proposito di amministrative, “siamo impegnati in una campagna elettorale dura nei contenuti ma serena nei toni, a Finale come altrove – prosegue Baruffi – mi aspetto non solo che Bellentani si scusi pubblicamente di questa volgarità, ma che anche il candidato della destra, Maurizio Poletti, in questi giorni così impegnato a raccogliere il voto cattolico, prenda le distanze da questa improvvida sortita che strumentalizza l’abito religioso per offendere un avversario politico”. Secondo il coordinatore Pd di Finale Emilia, Andrea Ratti, si tratta di “un attacco vigliacco che dimostra in quale abisso culturale stia sprofondando la Lega. A questo punto, le scuse di Maurizio Poletti sono doverose: ma ha visto che personaggi candida nella sua lista?”.
Finisce con una querela per diffamazione aggravata l’unico confronto diretto tra i due candidati sindaco a Milano, Letizia Moratti e Giuliano Pisapia. Il fair play di circostanza degenera sul finale, quando Moratti sa che tocca a lei chiudere e Pisapia non può ribattere. Così lo attacca: “E’ responsabile del furto di un furgone che sarebbe stato usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Pisapia è stato amnistiato”. Un’accusa falsa. Come dice subito Pisapia, andandosene rifiutando di stringerle la mano, e conferma poi rendendo pubblica la sentenza di assoluzione del 1985. Ma ormai le telecamere sono spente.
Moratti omette di aggiungere che Pisapia è stato assolto da quelle accuse nel 1987. Il sindaco, infatti, ha fatto riferimento al primo grado, come ricostruisce e spiega Il Giornale che però omette, proprio come Moratti, i successivi gradi di giudizio che hanno portato Pisapia all’assoluzione per non aver commesso il fatto.
La campagna elettorale è stata impostata così dal premier, che a Milano si gioca il tutto per tutto. E Moratti si è allineata. Il caso di Roberto Lassini, padre dei manifesti “fuori le Br dalle procure” e candidato nella lista del Pdl a sostegno di Moratti, l’aveva trovata non allineata. Il sindaco, infatti, aveva inizialmente condannato Lassini spingendosi fino a minacciare: “Siamo incompatibili, in lista o io o lui”. E’ stata in breve riportata ad allinearsi. Si è adeguata ai toni del premier. Ieri Berlusconi ha detto che “quelli di sinistra si lavano poco”? Oggi Moratti dà del “ladro d’auto” all’avversario. Che, a sentire il Pdl dunque, dovrebbe essere, in estrema sintesi, uno sporco ladro d’auto. La sentenza però dice un’altra cosa: Pisapia è “assolto per non aver commesso il fatto”. Moratti lo sapeva? Se non lei direttamente, ne erano a conoscenza gli uomini del suo staff. Perché era stato proprio Pisapia, scottato dal caso Aler che aveva coinvolto la compagna Cinzia Sasso, a raccontare in un’intervista tutta la vicenda. Ma non è bastato.
”Il sindaco Moratti alla disperata ha estratto la pistola e si è sparata sui piedi ma questa arroganza la pagherà, sono tentativi di colpi bassi come un pugile che non sa più dove colpire”, ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Mentre per Emanuele Fiano “ormai tra la Moratti e Berlusconi non c’è più nessuna differenza. Nessun sorriso gentile può coprire il fatto che la Moratti ha usato nel faccia a faccia su Sky la calunnia nei confronti di Pisapia come strumento politico”, afferma. “Evidentemente la Moratti ha imparato dal suo capo-padrone che quando non si hanno idee e quando si presenta un bilancio totalmente insufficiente, allora bisogna calunniare l’avversario”. Lei, ha aggiunto, “che ha rubato a Milano cinque anni di sviluppo, di qualità della vita e di buon governo”. Mentre Pisapia, nel pomeriggio, ribadisce la falsità dell’accusa: “La Moratti ha messo in atto un killeraggio mediatico progettato a tavolino. La mia vita è trasparente e non ho mai commesso reati”.
Dal Pdl, dopo ore di silenzio, è arrivato un messaggio distensivo da parte di Maurizio Lupi. Il vicepresidente della Camera ha invitato a “evitare di alzare i toni, se si è incorsi in un errore, si chiede scusa senza crearne un caso”. In linea con la Lega. Davide Boni, presidente del Consiglio regionale lombardo, ha infatti suggerito come sia “importante abbassare i toni, evitando che ai cittadini arrivi un messaggio distorto e confuso”. Ma il sindaco uscente, in una conferenza stampa convocata a Palazzo Marino, ha insistito: “Io ho voluto solo indicare la differenza tra la mia storia personale che è quella di una persona moderata e quella di Pisapia che non ha un percorso politico moderato”. Non solo, ma Moratti ha accusato Pisapia di non essere leale. A chi le ha domandato se non ritiene una bassezza l’aver riportato una vecchia vicenda, il primo cittadino ha risposto: “E’ una bassezza anche dire che sono affiliata a poteri forti, soprattutto se poi non si dice a quali poteri”.
Persino il direttore di Libero, Vittorio Feltri, intervistato da Sky, ha criticato Moratti. “Ha sbagliato, sta facendo di tutto per perdere. Forse non ci riuscirà ma certo ce la sta mettendo tutta”, ha detto Feltri. Moratti “ha commesso uno sbaglio piuttosto grave, è caduta un’altra volta in errore”. Così, ha aggiunto, “come qualche pasticcio ha fatto nel corso della sua amministrazione. Ecopass, ad esempio, una tassa sui poveri. E, proprio in questi giorni, i lavori per le piste ciclabili su corso Buenos Aires, una delle strade più centrali e trafficate di Milano, riducendo le corsie, creando forti disagi. Non solo, ma il tutto per realizzare solo dei tratti ciclabili che non consentono di percorrere tutto il viale”, ha concluso.
La deriva razzista dell’Europa: "di Guido Viale, da il manifesto, 10 maggio 2011Volevano liberare il territorio patrio, e quello delle nazioni conquistate - il loro Lebensraum - dalla presenza degli ebrei; per impedire che gli contaminassero razza e costumi; ma non pensavano ancora allo sterminio. Prima avevano cercato di chiuderli nei ghetti: ma «loro» erano troppi e ancora troppo [...]"