domenica 8 maggio 2011

Nel mondo, un’Era d’Oro e 9 ninja. E noi?

Nel mondo, un’Era d’Oro e 9 ninja. E noi?: "

Abbiamo eliminato Osama e le commodities da aprile scendono di prezzo, dopo mesi di segno contrario. Negli Usa l’economia cresce meno del 2%, poco per riassorbire i disoccupati. L’Europa continua a interrogarsi sull’eurodebito da ristrutturare e sul ruolo delle banche che scommettono sui CDS e così alzano gli spreads dei titoli pubblici. Nel mondo avanzato, le opinioni pubbliche continuano a rispondere con pessimismo ai sondaggi: non ritengono finita la crisi. Molti continuano a incolpare la globalizzazione. Ecco perché è salutare, che studiosi seri con metodica analisi sgombrino molti dei fumi che aleggiano. Nel mondo, non solo non c’è crisi ma si afferma un’Epoca d’Oro. Durerà decenni. Non ne siamo noi i protagonisti, ma impegnandoci ne saremo beneficiari eccome.


E’ il merito dell’ultima ricerca sui global growth generators nei prossimi decenni di Willem Buiter, il brillante olandese che, dopo anni di insegnamento alla London School, Cambridge Uk e a Yale, e uno dei più noti blogger di economia quando non era di moda, l’anno scorso è inopinatamente diventato capo del servizio studi di Citigroup, dopo un 2009 passato a dire tutto il male possibile delle grandi banche generatrici impunite della crisi. Lo studio di Buiter è elaborato con criteri rigorosi, sulla base di un data set di 58 Paesi che oggi realizzano l’85% del GDP mondiale. In base a sei classi di maggiori elementi da considerare per la crescita – investimenti fissi lordi, risparmio lordo, capitale umano e demografia, qualità delle istituzioni, apertura al commercio, reddito procapite di partenza – Buiter individua 9 Paesi come 3G, grandi generatori di crescita.


Sono, in ordine alfabetico: Bangladesh, Cina, Egitto, Filippine, India, Indonesia, Iraq, Mongolia, Nigeria, Sri Lanka e Vietnam. Tutti avranno di qui al 2040 tassi di crescita media di Pil procapite superiori al 5% annuo (le cifre sono elaborate a PPP, depurandole dal fattore cambio). Per la spallata di lungo periodo di questi 9 Paesi, la crescita mondiale annuale sarà del 4,6% di qui al 2030, e di un 3,8% nel ventennio successivo. Il GDP globale, dai 78 trilioni di dollari del 2010, salirà a 180 nel 2030, a 380 nel 2050.


Tutte le 9 locomotive sono in Asia. Si sommano Russia e Brasile ma con un contributo minore dovuto a minor capacità di formazione di capitale interno, al fatto che hanno già alzato di parecchio in questi anni il reddito procapite, e a una peggiore stima di miglioramento delle proprie istituzioni e mercato. Dei 9 ninja, 4 sono ricchi di materie prime e oggi molto poveri – Nigeria. Indonesia, Mongolia e Iraq – per questo hanno spettacolari possibilità di migliorare. Ma in realtà tutti e 9 sono poveri, oggi, visto che è la Cina ad avere il reddito procapite più elevato. Tutti hanno una demografia futura favorevole, tranne la Cina la cui popolazione in età di lavoro dopo il picco attuale comincia a scendere dal 2030: la Cina sarà prima vecchia che ricca. Se il suo Gdp supererà quello USA nel 2020 (col criterio PPP depurato del tasso di cambio, a tassi di mercato serviranno 8 o 9 anni in più ma il dato è fuorviante ai fini della capacità d’acquisto di beni analoghi). Anche dopo 40 anni di crescita molto sostenuta il prodotto procapite cinese sarà nel 2050 a malapena il 50% di quello medio americano. C’è una categoria aggiuntiva di “sorprese possibili”, che potrebbero venire da Paesi che hanno enormi possibilità di crescita partendo da livelli bassissimi di reddito, se solo le loro politiche avessero discontinuità forti e aperture al mercato: dalla Corea del Nord a Cuba, dall’Iran a Myanmar (ma anche Venezuela e Argentina).


Naturalmente, le previsioni sono corredate di una serie lunga di caveat: a cominciare dall’intensità energetica che non può essere quella del mondo avanzato attuale, serve un’economia più verde; continuando coi prezzi delle derrate agricole; e coi rischi che si verifichino crisi di sostenibilità finanziaria estera e sbilanci eccessivi nelle partire correnti, come avvenne nel 97-2000 per alcuni Paesi asiatici e Russia. Ma la tendenza di fondo è chiara. Una bella serie di Paesi oggi poveri e giovani, aperti al commercio e agli invesvtimenti mondiali, con una ragionevole stabilità e almeno un approssimativo libero mercato, a forte boom di risparmio e d’investimenti, con un capitale umano in forte miglioramento e buona capacità di generare infrastrutture, se non sono toccati dal cigno nero garantiscono al mondo una crescita più lunga e e incredibilmente maggiore di quella dei Paesi avanzati tra il 1953 e il 1975. Scusate se è poco. Cifre che danno torto ai nemici della globalizzazione. Cifre che danno ragion a chi pensa che o noi europei e italiani siamo capaci di correre, oppure è chiaro chi ci farà assaggiare la polvere.

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