Accolto sulle note di Guccini, salutato dall’inno di Mameli, fatto commuovere da un Va pensiero assordante, arrivato in tutto il centro storico. E’ la serata di Umberto Bossi, arrivato a Bologna per lanciare Manes Bernardini, il candidato a sindaco leghista.
Contestato da trecento persone dei centri sociali e dei collettivi, osannato dai duemila e più che hanno affollato la piazza Maggiore fino dalle sette di sera, il ministro per le Riforme è arrivato e si è seduto accanto ai suoi nella piazza che fu il tempio esclusivo della sinistra. A seguire lo ha raggiunto, comparso da una strada secondaria, Giulio Tremonti, il più leghista del Pdl. Canti, abbracci, fischi. “Ma sono i pagliacci di Bersani”, dice il senatur dal palco, come se fosse in una Pontida qualsiasi invece che al centro di quello che era l’ultimo avamposto della sinistra, piazza Maggiore, appunto, Bologna.
“Ridiamo Bologna ai bolognesi” è il leit motiv della serata leghista. La piazza è circondata dalla polizia per l’occasione, soprattutto per il timore di proteste e contestazioni.
Bossi prima di trasformarsi in tribuno parla coi giornalisti. “Vinceremo al primo turno, il segreto è crederci ed essere costanti”. A chi gli domanda se il suo passaggio in città porterà 80 mila voti in più, come aveva detto due giorni fa Roberto Maroni, il senatur risponde schietto: “Io non ho purtroppo quelle capacità. Mi ricordo però l’ultima volta che venni qui, i centri sociali mi tirarono bottiglie di vetro piene d’acqua. Questo lo so bene, speriamo non accada questa volta”. Ne è passato di tempo dal 1994, diciassette anni, ma le contestazioni restano: “Tutta invidia, è cambiato il Paese grazie alla Lega”. “Il mondo cambia – continua – il problema è non cambiare di colpo, ma piano piano si può fare, come con il federalismo”.
Torna sul suo candidato, Manes Bernardini. “Dai dati che abbiamo Bernardini riuscirà a vincere, la sensazione è quella. Manes è un bravo ragazzo, quello che conta di più è avere a che fare con brave persone, con le quali la gente si può identificare. Lui può mantenere quello che dice è questa la forza della Lega Nord. La Lega è al governo e questo può essere utile per avere dei mezzi per portare avanti un progetto”. Impossibile espugnare la Rossa Bologna? “Non c’è niente che dura per sempre, a un certo punto bisogna cambiare”. E il ministro è convinto che sia questo il momento giusto, per “far tornare la politica del fare a Bologna”.
Se si guarda alla politica nazionale, invece, Bossi ha parole di stima per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un gentiluomo dice il senatur, che proprio oggi ha detto “no alla violenza e alla rottura della legalità in qualsiasi forma”. E il leader del Carroccio appoggia le parole di Napolitano: “Se non difendi la legalità ti impantani. Non riesci più a capire dove vai. La legalità è fondamentale”. E poi, “dobbiamo anche ringraziare lui, il vecchio (riferito a Napolitano ancora ndr) se il Federalismo l’abbiamo conquistato”. Sulle parole di fuoco lanciate ieri dal premier Berlusconi nei confronti dei magistrati, afferma: “Se i magistrati sono un cancro da estirpare bisogna chiederlo a lui (Berlusconi, ndr). Io non penso quella roba lì. Penso che ogni tanto c’è qualcuno che rompe le scatole, ma non sono tutti uguali”.
È l’ora di salire sul palco. Le bandiere della Lega si alzano tra i tremila presenti, mosse anche da un vento che si abbatte improvvisamente sulla piazza. Tutti sul palco quindi: Umberto Bossi, Giulio Tremonti, Rosi Mauro, Anna Maria Bernini, Giuliano Cazzola, Angelo Alessandri e Filippo Berselli che, da buon ex missino, intona Fratelli d’Italia a squarcia gola, mentre gli altri tacciono. Sul palco anche il governato del Veneto in trasferta, Luca Zaia.
Tocca a Tremonti, e il ministro ci va giù pesante: “Merola è un cognome del sud, e se continua così, a Bologna, il prossimo sindaco si chiamerà Alì. E i Baba’ se li porter à via Merola. Quando ho sentito parlare di primarie e mi hanno detto che aveva vinto un certo Merola pensavo di essere a Napoli, non a Bologna”.
“Manes sindaco di Bologna. Dopo 14 anni Bossi a Bologna, perchè la città deve tornare ai bolognesi”, debutta Rosi Mauro. Parte l’inno, sì, ma quello nazionale, fra i mugugni dei leghisti presenti: “Per come è messa l’Italia oggi mi vergogno di questo inno e di questo Paese”. Nessuno lo canta. Ma terminato l’Inno di Mameli il Va pensiero, per la gioia dei leghisti, suona in Piazza Maggiore. Mano sul cuore questa volta e fiato alle trombe per il senatur.
Appena la musica finisce prende parola, dopo 17 anni davanti ai bolognesi, Umberto Bossi. Non fa in tempo a parlare che già in sottofondo si sentono i fischi dei 300 contestatori tenuti a distanza dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Non oltrepasseranno le transenne, la serata finisce con una leggera carica per disperderli. Bossi la sua personalissima sfida con Bologna la rossa l’ha vinta, più difficile sarà il compito di Bernardini.
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