Oggi il Tar avrebbe dovuto decidere sull’ammissibilità dei ricorsi per l’annullamento delle elezioni regionali. Per questioni procedurali tutto è stato rinviato al 15 luglio. Quel giorno, salvo uteriori sorprese si saprà se i Piemontesi dovranno tornare a vota o no. Ad annusare l’aria, la possibilità che si torni alle urne è tutt’altro che campata per aria. Se il neo presidente Roberto Cota è sull’orlo di una crisi di nervi, lo deve principalmente al suo spregiudicato alleato – nonché specialista nella creazione di liste civetta e gruppi consiliari unicellulari – Michele Giovine, leader del movimento “Pensionati per Cota” che a marzo ha ottenuto ben 32 mila voti, più del triplo dello scarto con cui Cota ha distanziato Mercedes Bresso.
Peccato che la lista “Pensionati per Cota” sia una lista farlocca, che non avrebbe potuto presentarsi alle elezioni, per il semplice fatto che tra i 19 candidati alla carica di consigliere (compresa la prozia di Giovine, signora Clementina Torello, classe 1919) ci sia chi non ha mai firmato la dichiarazione di accettazione della candidatura, chi lo ha fatto in luogo diverso da quello indicato dalla legge, chi risiede fuori dal Piemonte, chi addirittura è stato candidato a sua insaputa eccetera eccetera.
Per tutte queste amenità Giovine e il padre e il padre Carlo saranno processati con giudizio immediato (quello che il Gip concede quando la prova del reato è talmente evidente da rendere superflua l’udienza preliminare) il 15 dicembre. Ed è difficile pensare i giudici del Tar non tengano conto del materiale raccolto dalla Procura di Torino. È infatti sufficiente che uno solo dei quattro ricorsi presentati da Mercedes Bresso, Federazione dei Verdi, Radicali e Pensionati e Invalidi (oltre alla lista Giovine, si contestano irregolarità varie nella presentazione di altre tre formazioni a sostegno di Cota) venga accolto perché le elezioni siano azzerate.
La lettura della relazione del perito grafologico Luigi La Sala (poliziotto di lunga carriera, più volte Questore in giro per l’Italia) è uno spasso: “11 firme palesemente false o apocrife”, “lettere tremanti e incerte della firma incriminata”, “firma certamente falsa realizzata in modo abbastanza approssimativo”, “firma completamente falsa”, “prodotto di nessuna ipotetica credibilità”, “falsi che ricordano solo vagamente l’originale”, “il prodotto del falsario è di pessima fattura”. In pratica Carlo e Michele Giovine (o chi per loro) hanno bellamente falsificato almeno 11 delle 19 firme di accettazione delle candidatura copiando malamente da modelli originali. Per di più, secondo la legge, avrebbero dovuto farlo nei comuni di Gurro (Vb) e Miasino (No), dove ricoprono la carica di consiglieri comunali e sono quindi, in qualità di pubblici ufficiali, autorizzati all’autenticazione delle firme. Ma l’esame dei tabulati telefonici evidenzia che il 25 febbraio 2010 (data in cui i due hanno certificato l’accettazione delle candidature) emergano localizzazioni “del tutto estranee ai comuni dove i due avrebbero dovuto trovarsi”. E anche la fidanzata di Giovine, che ha dichiarato di aver accompagnato lei stessa quel giorno Michele a Gurro, risulta non essersi mai mossa da Torino.
Ma il divertimento non finisce qui; tra i candidati figurano parenti (“Lo abbiamo fatto per fare un favore a Michele, io e mia moglie non ci intendiamo di politica, sa… Giovine Carlo è cugino primo di mia moglie…), ex fidanzate milanesi ignare di tutto (“Non è la mia firma, non so nemmeno dove sia Gurro”), amici di famiglia (“Michele Giovine è un amico di mia nipote Sara, l’ho fatto perché me lo ha chiesto”) oltre alla povera prozia classe 1919, che da anni non esce più dalla sua abitazione (“Ho firmato quello che mi chiedeva Michele, ma non sapevo cosa fosse. Gurro? E dov’è?”). Tutti i candidati vengono ascoltati in Procura e talvolta chi entra da persona informata dei fatti ne esce con una contestazione di false comunicazioni al pubblico ministero. C’è persino una signora che, di fronte a un ispettore di polizia, grida al telefono nei corridoi del palazzo di Giustizia “Carlo, cosa devo fare?”, ma anche un’amica “di vecchia data” di Michele Giovine che dichiara di non aver mai firmato nulla e di aver ricevuto pressioni per raccontare “di aver fatto una gita a Gurro e di aver firmato”.
L’audace colpo della famiglia Giovine, insomma, rischia di cancellare (momentaneamente) il trionfo leghista in Piemonte. E pensare che bastava un’occhiata ai precedenti per evitarsi fastidiosi mal di pancia (Giovine si era offerto anche a Bresso, che lo ha gentilmente mandato a stendere): nel 2005 il buon Michele era finito sotto processo per gli stessi motivi, ma ne uscì con una modesta oblazione grazie a una generosa legge “ad castam” che depenalizzava il falso commesso in competizione elettorale, legge poi, ovviamente, dichiarata incostituzionale nel 2006.
Guarda il video della manifestazione della Lega, il 29 giugno a Torino (di Chiara Avesani)
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