La questione di fondo è se il PIL sia, alla fine della fiera, una buona (seppure imperfetta) misura di benessere di un paese, o meno. Questione collegata, ma non meno importante, è quella del cui prodest: perché vengono tirati in ballo questi indicatori alternativi, con tanto di rapporto e di fanfare? Procediamo per ordine. Cominciamo con il chiarire un paio di cose che dovrebbero essere ovvie ma stranamente non lo sono.
Primo, il PIL cerca di misurare il valore dei beni e servizi prodotti in un paese. Non, ripetiamo e sottolineiamo in rosso "non", cerca di misurare la felicità di un popolo. È ovvio che se ti molla la morosa diventi triste, e non c'è modo di tenerne conto guardando ai beni e servizi che produci. Ma questo non è il lavoro del PIL, e quindi l'obiezione che il PIL ''non tiene conto delle cose veramente importanti'' è senza senso. Se qualcuno è capace di misurare le fluttuazioni nel livello di amore e felicità di una nazione si faccia avanti, come economisti siamo interessati (sul serio, si veda dopo). Ma il PIL fa un altro lavoro. Almeno finché, oltre all'amore, ci interessa anche cosa mangiamo, se possiamo viaggiare, che vestiti possiamo comprarci e amenità del genere, il PIL non lo possiamo ignorare.
Secondo, anche quando parliamo strettamente della produzione di beni e servizi il PIL non è proprio perfetto. Tanti beni e servizi che vengono prodotti non sono misurati o sono misurati male. Praticamente alla prima lezione di contabiltà nazionale ti raccontano la storiella di quello che si sposa la sua badante e in tal modo fa calare il PIL, dato che la badante continua a fornire gli stessi servizi ma da moglie non remunerata. Pertanto, i suoi servizi diventano statisticamente invisibili. Senza pensare a servizi pubblici, come difesa e sanità, che vengono valutati a costo non essendo possibile calcolarne in altro modo il valore aggiunto. Si raccontano queste cose esattamente per far capire che il PIL è un indicatore rozzo e sintetico. Allo stesso modo è banale osservare che, se sei avverso al rischio e i mercati sono incompleti, tassi di crescita bassi ma costanti possono essere meglio di tassi mediamente più alti ma variabili. Allo stesso modo ancora, come spiegava Trilussa, il PIL pro capite non descrive le disuguaglianze di reddito nella popolazione. Sono tutte cose che si sanno e si raccontano da prima che nascessimo, e non siamo proprio appena usciti dalla culla.
Visto che il PIL è un indicatore imperfetto, sono anni che statistici ed economisti provano a sviluppare altri indicatori quantitativi del benessere economico di un paese, sia per quanto riguarda la produzione materiale sia per quanto riguarda altri aspetti ''non materiali''. Si vedano per esempio gli indicatori sviluppati dall'ONU; ma esistono anche misure soggettive di benessere e di felicità, costruite sulla base di sondaggi internazionali (si veda qui, pp. 4 e ss.). Se si riesce a farlo bene è chiaramente una buona idea: vari indicatori, anche se imperfetti, sono meglio di un solo indicatore imperfetto. Ma la cosa interessante (e forse non molto nota) è che tipicamente questi indicatori finiscono per essere molto correlati al PIL, che è la ragione per cui questo è rimasto l'indicatore principale. Guardate le due figure in questo post del blog Freakonomics (ebbene sì, leggiamo anche Freakonomics ogni tanto!): la correlazione fra PIL pro capite e misure soggettive di benessere è 0,82; quella fra il ranking di ciascun paese per il PIL pro capite e per l'indice di sviluppo umano dell'ONU è addirittura pari a 0,95!! (Nota per i non-amanti della statistica: la correlazione fra due misure assolutamente identiche è pari a 1; sono quindi valori molto alti, che ci dicono, ad esempio, che l'indice di sviluppo umano dell'ONU fornisce praticamente quasi le stesse informazioni del PIL pro capite sulla "graduatoria" dei paesi).
su questo tema, un interessante articolo di Tito Boeri su Repubblica
RispondiEliminaCondivisibile quanto detto da Boeri: leggasi "la volpe e l'uva".
RispondiEliminaMagari l'idea di non perseguire la massimizzazione del PIL "tout court" merita qualche discorso in piu' come dice "noise" stessa. Poi per quanto riguarda il discorso del piu' consumi (condizione quantomento favorevole alla crescita del PIL) meglio si sta, vediamola come vogliamo ma un limite va pure posto (non so come, io ci provo sempre, ragionadone a voce alta, non si sa mai) a meno che non mettiamo in discussione la finitezza delle risorse a disposizione. Credo anche che il mercato da solo non sia sufficiente ad evitare danni non facilmente reversibili come il degrado dei territori e delle risorse, forse perche' spesso non sono messi nel conto i costi, pubblici (nel senso che prima o poi li pagano tutti anche economicamente), di tali danni (danni sempre dal mio punto di vista integralisticamente ambientalisti...ovvio).