Io ho sempre pensato che Cossiga abbia trattato con i veri rapitori di Moro per far loro avere ciò che cercavano, che non era soltanto Moro, ma segreti militari pesantissimi e che poi sia stato beffato dai rapitori veri (che non erano quei quattro straccioni invasati delle sedicenti brigate rosse) i quali si presero i documenti e anche la vita di Aldo Moro che Cossiga (credo non da solo) tentò di salvare andando molto oltre il lecito.
Come faccio a sostenere una tale tesi? Grazie a tre elementi.
Il primo: durante il rapimento Moro sparirono dalla cassaforte del ministro della Difesa tutti i documenti militari più segreti, compresa la famosa Gladio, ovvero l’Operazione Stay Behind. Quei documenti riapparvero poi come per miracolo qualche tempo dopo la mmorte di Moro.
Secondo: la rogatoria internazionale che nel dicembre 2005 la Commissione Mitrokhin, di cui ero presidente, compì a Budapest su invito della locale Procura Generale portò alla nostra conoscenza il fatto che una parte dei cosiddetti brigatisti rossi era certamente al servizio del KGB attraverso una catena di comando che partiva dall’Organizzazione Separat del terrorista Carlos, che viveva a Budapest ai tempi del caso Moro, la quale organizzazione era diretta e monitorata dalla Stasi della DDR che rispondeva all’ufficio di collegamento con il KGB a Dresda, nella Germania Orientale. Uno dei nomi di brigatisti-KGB è quello di Antonio Savasta il quale, che io sappia, è svanito nel nulla. Il referente della Stasi era l’ufficiale del KGB Vladimir Vladimirovic Putin.
Terzo: Cossiga quando seppe dell’uccisione di Moro ebbe una reazione da shock del tutto ingiustificata: chiunque abbia una persona cara in mano ai terroristi, o una persona amatissima che sta per morire, soffrirà le pene del dolore quando il fatto si verifica, ma non avrà un trauma da sopresa, come l’improvviso incanutimento e la comparsa di una malattia somatica della pelle che si chiama vitiligine, che coprì gran parte del corpo di Cossiga e lì rimase fino alla fne. Poi Cossiga andò in peregrinazione in tutte le carceri a parlare con i brigatisti arrestati, vietò con alte grida che si parlasse di collegamenti internazionali, impose che si dicesse che le BR erano sole e formate da sanguinari bo scouts della rivoluzione, e infatti tutta quella masnada fu poi liberata in fretta e oggi siede su varie cattedre e ricopre uffici dettando le memorie e facendo persino lezioni all’università.
Questi fatti mi hanno sempre ritenere che Cossiga sapesse quel che aveva combinato e che avesse coperto le sue proprie tracce, esponendosi però a ritorsioni e ricatti interni ed esterni di cui il caso Gladio fu una prima avvisaglia. Quel grave fatto fu la madre di tutti i misteri e di tutte le coperture.
Quanto al resto, ecco l’intervista che ho rlasciato all’Espresso e che è reperibile sul sito del settimanale.
Francesco Cossiga e Paolo Guzzanti“Cossiga, un uomo solo” è il titolo del libro che Paolo Guzzanti, giornalista e parlamentare (oggi nel Pli ma eletto con il Pdl) ha dedicato nel 1991 all’ex presidente della Repubblica. Guzzanti di Cossiga era amico e studioso. A lui abbiamo quindi chiesto un ricordo-ritratto dello statista appena deceduto.
In che rapporti era con Cossiga?
«Provavo grande affetto e amicizia per lui. Vivemmo una stagione drammatica. Io lo so perché ero il giornalista di cui più si fidava. Diceva tutto prima a me e io lo dicevo alle televisioni. Gli volevo bene. Ne abbiamo passate tante. L’ultima volta che l’ho sentito è stato perché Sabina voleva intervistarlo per il suo ultimo film. ‘Ma certo venite vi aspetto’, ci disse. Poi però abbiamo avuto dei ritardi e l’intervista non è più andata in porto. Peccato, l’avrei rivisto».
Cossiga è stato un uomo dai mille volti. Come e per cosa sarà ricordato?
«Ognuno ne ricorderà un aspetto. Il mio ricordo è di un uomo onesto, fantasioso, un cavaliere errante pieno di visioni fantastiche che ha unito letteratura e poesia. Io non ho mai creduto fosse matto. Quando “La Stampa” per cui lavoravo e “L’espresso” hanno tirato in ballo l’idea che fosse malato e andasse sostituito da un comitato di garanti io non ero d’accordo. Cossiga non è mai stato matto. Lui lo sapeva e anzi si è fatto furbo, ha usato questo suo ’stile’ bizzarro come strumento di comunicazione e come mezzo per giustificare molte sue azioni stravaganti e discutibili. Come quando decise che avrebbe picconato il sistema politico. Non era follia, quella. Ma un’intuizione. Sapeva che il sistema era malato ed i partiti pure. Era convinto che il sistema politico di allora fosse legato alla guerra fredda e che, una volta finita, i partiti politici italiani sarebbero crollati. Disse qualcosa che non piaceva ai suoi nemici e nemmeno agli amici. Si sbagliava? L’attualità politica dice di no».
Nel suo libro lei lo disegna come un “uomo solo”. Cosa vuole dire?
«L’ho sempre visto come un solitario, un don Chisciotte visionario e in questo mi sento simile a lui. Messi insieme eravamo due matti da legare. L’hanno lasciato solo perché diceva qualcosa che faceva paura. La sua era una solitudine politica, ma anche morale, intellettuale. Solo pochi hanno capito che dietro le sue ‘picconature’ c’era una visione del mondo politico italiano e hanno avuto il fegato di sostenere le sue idee. Cossiga era un uomo solo e ?€˜forte’ della sua solitudine».
Ma oltre che ’solo’, quali aggettivi userebbe oggi per ricordarlo?
«Intuitivo fino alla genialità: aveva capito che il regime italiano si muoveva verso il presidenzialismo e gridava che bisognava guidare quel processo in senso democratico e parlamentare. Ma i partiti stavano ffondando e non vollero sentire: oggi abbiamo un presidenzialismo di fatto che calpesta la Costituzione proprio perché Cossiga non è stato ascoltato. Il secondo aggettivo è Incorruttibile (ma non so se non fosse ricattabile per la vicenda Moo) e il terzo: un gran pasticcione. Cossiga era un casinaro quando si metteva in testa di sapere cose di cui invece sapeva poco e male. Dopo la strage del 2 agosto 1980 a Bologna, come nel caso di Ustica, sostenne tutto e il contrario di tutto rincorrendo ipotesi e voci che raccoglieva. A me chiese disperato se io potevo dargli la dritta giusta e gli dissi quel che pensavo di Ustica: bomba araba, nessun missile. Ma lui tirò in ballo francesi, americani, complotti bizzarri e sempre così, a cavolo, senza uno straccio di pezza d’appoggio. L’amara verità è che lo “spione Cossiga” di servizi segreti non ha mai capito niente. Era un ‘orecchiante’. A lui piaceva parlare con i cellulari di ultima generazione. Forse qualche volta, davanti allo specchio, si sarà anche anche atteggiato a barba finta, a 007. Ma era in materia di intelligence era un amateur dalle molte conoscenze».
Ora e riporto delle frasi tratte da “Fotti il Potere – manuale sul potere politico”, scritto dallo stesso Cossiga e lei mi risponde che cosa ne pensa. Pronto? Cominciamo; ‘La bomba di piazza Fontana fu opera degli americani’.
«Balla sesquipedale, ma di gran moda da decenni».
‘La politica è una droga che non prevede disintossicazioni’.
«Una frase stupida. Anche Omero sonnecchia, figurati Cossiga».
‘Governare è far credere’.
«Dipende da chi governa. Obama e Sarkozy, per fare due esempi politicamente opposti, si sono presentati agli elettori con un grande appeal sia politico che personale: dietro al fascino c’era anche un programma di governo».
‘I politici sono marionette nelle mani dei banchieri’.
«Credo di no. Ma se lui ne ha fatto esperienza nel suo partito allora vuol dire che è vero. Ma insomma, ognuno parli per sé».
‘Non c’è leader politico che non possa essere arrestato per tangenti’.
«Dipende da in quale epoca ci troviamo. Berlusconi di certo non le ha mai prese. Semmai le paga».
‘La mafia ci appartiene, tanto vale accettarla’.
«Orrendo. Ecco, vedete, Cossiga ha questi lati oscuri. Come quando diceva di accettare l’integralismo islamico e di essere d’accordo sul fatto che le donne islamiche in Italia devono andare in giro col burka solo perché lo dice la loro religione»
‘Oltre all’Fbi, fu il mondo economico a mettere in piedi Mani Pulite’.
«Ah bé, se lo dice lui. Avrebbero fatto comodo, anche qui, le pezze d’appoggio. Pasticcione.
‘Esistono tradimenti doverosi e persino morali’.
«Questa è una frase tipicamente cossighiana. Forse si riferiva al caso Moro».
A proposito di Moro: perché si dimise dopo l’uccisione del presidente della Dc?
«Perché fece carte false e penso assai poco onorevoli pur di salvarlo. Per questo quando Moro venne ammazzato ebbe un trauma. Dolore, certo ma forse anche vergogna perché quel che fece, non da solo, non servì a salvare Moro: fu beffato e per questo ebbe il trauma che lo fece incanutire in un attimo e coprire di vitiligine, la malattia psicosomatica della pelle. Purtroppo si porterà con sé questa e altre verità nella tomba: io avevo sperato fino all’ultimo che prima di morire le raccontasse al Paese la verità vera, a lui piaceva giocare a fare il Talleyrand, a mentire in nome dello Stato. Ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, rievocare il caso Moro vuol dire entrare in un tunnel di segreti e vergogne, benché la verità sia accessibile, come ho potuto dimostrare nella Commissione Mitrokhin, cosa che ha scatenato anche contro di me l’inferno».
Torniamo agli anni ‘70. Sui muri di certe città si leggono ancora oggi scritte contro Cossiga, provocatoriamente scritto con la K. Ma a lui piaceva essere ricordato così. Perché?
«Per civetteria. Negli anni settanta, a causa di un film intitolato “L’AmeriKano”, venne la moda di mettere il kappa per alludere alla Cia. A lui questo piaceva, era il suo giocattolo. Ma gli americani sfruttarono questa sua passione americana, che condivido anch’io, come dimostra il fatto che quando gli americani gli chiesero di portare D’Alema alla presidenza del Consiglio, lui lo fece organizzando lo sgambetto del 9 ottobre 1998 a Prodi. Così Clinton poté fare la guerra contro la Serbia usando le basi italiane senza timore di blocchi organizzati dall’ex Pci contro le basi e la guerra. Missione compiuta, ma non ne andrei così fiero. Però, avendo sponsorizzato D’Alema a Palazzo Chigi, batté Scalfari e si riqualificò a sinistra. Anche questo era Cossiga».
Se potesse, cosa direbbe Cossiga della transizione in atto, di Fini contro Berlusconi?
«Non lo so, ma posso raccontarle una cena dell’aprile del 1993 al Grand Hotel di Roma. Cossiga spinse personalmente Berlusconi alla politica partecipando a quella cena a cui partecipava anche Agnelli, Rossignolo, il segretario del Pli Altissimo, il professor Scognamiglio, e naturalmente Berlusconi. Lo scopo era sbarrare la strada ad Occhetto, e alla sua pretesa ?€˜gioiosa macchina da guerra’. Cossiga sosteneva Berlusconi ma era incazzato nero perché poi Berlusconi rifiutava di farsi guidare da lui. A quei tempi sosteneva anche Fini e anzi fu proprio lui a sdoganarlo, prima di Berlusconi. Mentre per la sinistra italiana Fini, antagonista di Rutelli al Comune di Roma, era sempre solo un fascista, mica come oggi che è l’eroe della resistenza al nuovo duce. Quelle di oggi sono le conseguenze delle azioni di 10-15 anni fa. Cossiga sapeva che in Italia sarebbe andata a finire così. E lo sapeva perché era intuitivo e incorruttibile, ma sempre un gran casinaro, un pasticcione, l’anima del pastore sardo nel corpo di uno statista bizzarro».
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