di Superbonus
Immaginate di avere un mutuo di 100 mila euro a 20 anni sulla vostra casa e pagate il 4% di tasso. Si presenta da voi un banchiere internazionale e vi propone di darvi 20 mila euro subito, che potete spendere come vi pare. In cambio alzerà il tasso del vostro mutuo al 5%. Mentre tutti i vostri vicini continueranno a pagare il 4% e magari, se i tassi sono bassi, potranno passare dal tasso fisso al tasso variabile voi continuerete a pagare il 5% ed i 20 mila euro li avrete già spesi. È questo, grosso modo, che ha fatto la Grecia con la banca d’affari Goldman Sachs ed è questo che sembra avere fatto l’Italia con JP Morgan.
Il New York Times che ha riportato la notizia che, grazie ai derivati, dal 1996 l’Italia avrebbe truccato i conti non ha trovato né conferma né smentita dal nostro governo. In realtà sul Fatto Quotidiano del 19 dicembre 2009 avevamo segnalato la stranezza del fenomeno che si osservava intorno al debito pubblico italiano: i tassi di interesse scendevano, ma lo Stato continuava a pagare sempre lo stesso tasso sullo stock di debito. Ci eravamo chiesti se tale anomalia non fosse data dall’uso della "finanza creativa" per far rientrare il nostro paese nei parametri europei, taroccando di fatto i conti con l’aiuto di qualche banchiere compiacente e ben pagato. La questione non è di poco conto per due motivi. Il primo è di ordine politico: il derivato che il New York Times sostiene essere stato stipulato nel 1996 con JP Morgan è un derivato bipartisan, perché da Carlo Azeglio Ciampi in poi, tutti i ministri delle Finanze successivi devono esserne venuti a conoscenza.
Il trucco contabile, se davvero ci fosse, non sarebbe mai stato denunciato e quindi il dibattito sui conti pubblici italiani si sarebbe sviluppato per anni intorno ad una bugia contabile ben custodita dentro il ministero di via XX Settembre, dal direttore della Finanza della Cassa depositi e prestiti Matteo Del Fante, all’epoca dei fatti banchiere di Goldman (secondo la ricostruzione del Nyt).
Il secondo motivo riguarda la moralità e trasparenza delle istituzioni poste a guardia della correttezza dei conti e della trasparenza verso gli investitori internazionali. Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha lavorato a Goldman Sachs negli anni in cui la Grecia ha realizzato lo swap con la banca d’affari. La stessa banca si è affrettata a smentire che Draghi abbia avuto un qualsiasi ruolo nella vicenda. Esiste tuttavia una singolare coincidenza: Draghi era anche direttore generale del Tesoro nel 1996 e se avesse realmente realizzato l’operazione di maquillage contabile spostando al futuro il debito, sarebbe anche lecito pensare che tale expertise possa essere stata messa al servizio di altri paesi europei una volta passato nelle file di Goldman Sachs. Ma i condizionali e i periodi ipotetici, ovviamente, sono obbligatori in attesa di riscontri concreti.
Goldman Sachs in Italia ha poi potuto vantare come consulenti nomi del calibro di Romano Prodi, Gianni Letta, Mario Monti e addirittura un Goldman boy, Massimo Tononi, era stato nominato sottosegretario al Tesoro nel 2006. Che fine a fatto Tononi? È tornato a lavorare per Goldman Sachs che lo ha riassunto con un lauto stipendio proprio mentre infuriava la bufera finanziaria e venivano licenziati centinaia di bancari a New York e Londra. Bastano questi esempio per capire perché ci sia l’impressione diffusa che nei luoghi deputati al controllo della trasparenza e della correttezza delle operazioni finanziarie dello Stato siano state installate porte girevoli che permettono agli uomini delle banche d’affari americane di entrare e uscire quanto vogliono. Se esista o meno questo gigantesco swap che ha gravato, o ancora grava sui nostri conti pubblici non è più una questione economica finanziaria, ma diventa una questione di credibilità della nostra classe dirigente.
L’inchiesta giornalistica del New York Times ha messo in allarme la city londinese. Ora anche il Financial Times e il Wall Street Journal sono a caccia dello scoop, sognando di smascherare il più grande falso contabile della storia. Forse sarebbe opportuno che, per la prima volta nella storia, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti si presentasse in Parlamento e svelasse esattamente lo stato delle finanze italiane scoprendo quello che sembra essere il segreto meglio custodito della storia recente: la posizione complessiva in derivati del Tesoro e le relative controparti. Meglio sapere subito se dobbiamo stringere la cinta a causa di una classe dirigente scriteriata che ha ipotecato il nostro futuro piuttosto che scoprirlo a mercati aperti con conseguenze disastrose per i nostri titoli di Stato e i nostri risparmi.
Se i derivati ci sono e alterano i nostri conti possiamo ancora correre ai ripari. Ma per favore ci si risparmi la tiritera che sono stati stipulati in condizioni di emergenza, è una scusa che non regge per le vicende di Bertolaso figuriamoci se vale per chi entra ed esce da una banca d’affari.
Da il Fatto Quotidiano del 20 febbraio
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