Intervento sul Corriere della Sera di Pietro Ichino
La “societarizzazione” di questi segmenti della struttura dello Stato mira a renderli più efficienti sottraendoli ai principi di imparzialità e di rendicontazione, al controllo del Parlamento, della Corte dei Conti; e ora anche ai principi di trasparenza totale e di valutazione indipendente sanciti dalla legge Brunetta del marzo scorso. Il risultato, però, è che il solo controllo possibile (poiché si tratta pur sempre di gestione di denaro pubblico) rimarrà quello esercitato dall’autorità giudiziaria contro corruzione, concussione e peculato.
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Devolvere a un’impresa privata queste funzioni, che più pubbliche di così non potrebbero essere, può essere motivato in un solo modo: con l’idea che sottrarle alle regole del diritto amministrativo sia indispensabile perché esse possano essere svolte in modo efficiente.
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Se questo è il problema, invece di eluderlo fingendo che gli interessi pubblici siano diventati privati, non sarebbe molto meglio affrontarlo di petto dicendo pane al pane e vino al vino? Non sarebbe, cioè, molto meglio conservare ciò che del pubblico può e deve essere conservato – obblighi di imparzialità, di rendiconto, di trasparenza totale ‑, eliminando invece tutti i vincoli procedurali che sono di troppo, riducendo l’inamovibilità dei dipendenti pubblici, consentendo ai dirigenti pubblici di riappropriarsi per davvero delle prerogative che devono essere proprie di qualsiasi dirigente d’azienda, ma anche responsabilizzandoli severamente per il raggiungimento dei risultati, con controlli oggettivi, premi per chi i risultati li raggiunge davvero e rimozione per chi si rivela incapace?
La costanza é premiata: ho atteso 37 anni per sentire un parlamentare dire cose intelligenti...
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