venerdì 16 aprile 2010

America: Fermare il declino - Ma sull'outsourcing serve un'inversione a U

Sforzandosi di uscire dall'attuale crisi economica, gli Stati Uniti scopriranno un fatto sgradevole: il problema della competitività degli anni 80 e dei primi anni 90 non è mai scomparso. Negli anni della bolla è rimasto nascosto dietro un miraggio di prosperità, ma nel frattempo la base industriale del paese ha continuato a erodersi. L'unico modo in cui Washington può sperare di ripianare i suoi enormi deficit e mantenere o innalzare il tenore di vita dei suoi cittadini è quello di ricostruire la sua macchina generatrice di ricchezza, ripristinando la capacità delle imprese di sviluppare e fabbricare prodotti ad alta tecnologia sul territorio americano. Per invertire la tendenza del declino della competitività saranno necessari due cambiamenti radicali.
Il governo dovrà cambiare il modo in cui sostiene la ricerca sia di base sia applicata, in modo da promuovere quell'ampia collaborazione tra aziende, università e settore pubblico necessaria per affrontare i grandi problemi della società.
Il management delle imprese dovrà rinnovare le proprie prassi e strutture di governance, in modo da smettere di esagerare i vantaggi e di minimizzare i pericoli di esternalizzare la produzione e di tagliare gli investimenti in ricerca e sviluppo.
La questione della competitività è stata considerata risolta negli ultimi vent'anni, ma la realtà è un'altra. A partire dal 2000 la bilancia commerciale Usa di prodotti ad alta tecnologia è andata in rosso, in seguito alla decisione di molte aziende americane di esternalizzare le attività di R&S e produzione verso specialisti collocati all'estero, tagliando così i relativi costi in patria. Puntare sull'outsourcing è stata una mossa consigliata dai principali esperti di strategia aziendale, ma la conseguenza è stata che in molti casi gli Stati Uniti hanno perso le conoscenze, il personale qualificato e l'infrastruttura logistica necessari per produrre molti dei prodotti d'avanguardia ad alta tecnologia che essi stessi hanno inventato.
Il danno che l'outsourcing infligge non è però solo quello della ridotta capacità di produrre di ogni singola azienda, ma anche di tutte le imprese collegate del settore come i fornitori di materiali, attrezzature e componenti avanzati. Si danneggiano, cioè le "capacità collettive" (in inglese i "commons", in italiano i "distretti") che costituiscono una base per l'innovazione e la competitività: le conoscenze e le capacità di R&S; abilità avanzate nell'ingegneria e nello sviluppo di processi; competenze manifatturiere su tecnologie specifiche.
La storia dell'outsourcing dell'elettronica evidenzia come molte perle di saggezza comunemente accettate siano in realtà poco più che leggende. Una di queste è la convinzione diffusa che le economie avanzate come gli Stati Uniti non abbiano più bisogno della produzione manifatturiera, potendo prosperare esclusivamente come hub per la progettazione e l'innovazione ad alto valore aggiunto. In realtà, sono relativamente pochi i settori hi-tech dove il processo manifatturiero è un fattore irrilevante nello sviluppo di prodotti innovativi, soprattutto se radicalmente nuovi.
Infatti, nella maggior parte di questi settori l'innovazione di prodotto e quella di processo vanno di pari passo, quindi il declino della produzione manifatturiera in una regione innesca una reazione a catena. Una volta che la fabbricazione viene data in outsourcing, le conoscenze d'ingegneria dei processi non possono essere mantenute perché dipendono dall'interazione quotidiana con la produzione manifatturiera. Senza la capacità d'ingegneria dei processi, per le aziende diventa sempre più difficile condurre ricerca avanzata sulle tecnologie di processo di nuova generazione. Senza la capacità di sviluppare tali processi, ben presto non si riescono più a sviluppare nuovi prodotti. Nel lungo periodo, quindi, un'economia priva dell'infrastruttura per attività avanzate di fabbricazione e d'ingegneria dei processi perde la capacità d'innovare.
Un altro mito è l'idea prevalente secondo cui la migrazione di settori manifatturieri maturi da paesi sviluppati come gli Stati Uniti faccia parte di un processo sano e naturale d'evoluzione economica, che permette a queste economie di reindirizzare le risorse verso nuovi business ad alto potenziale. Questa logica è stata spinta a un estremo pericoloso. Si è ignorato che i nuovi prodotti d'avanguardia spesso dipendono in misura cruciale dai commons di un settore maturo, perdendo i quali si perde l'opportunità di essere la sede dei business caldi di domani.
Occorre invertire questa tendenza e per farlo sono necessarie azioni chiare e decise. La sfida non è più quella di creare capacità per gestire le grandi imprese verticalmente integrate del 900, bensì quella di sviluppare da zero le capacità operative e tecnologiche necessarie per concepire e produrre beni e servizi ad alto valore aggiunto. Dobbiamo comprendere che la capacità d'intraprendere complesse attività d'ingegneria dei processi o di fabbricazione di prodotti complessi è altrettanto importante quanto la presenza di solide università e di un settore finanziario affermato.
È un peccato che il grido d'allarme degli anni 80 e dei primi anni 90 sia stato ignorato. Molto è andato perso da allora, ma non è troppo tardi per ricostruire le basi industriali. L'America può tornare su un percorso di crescita sostenibile soltanto rinvigorendo le proprie capacità d'innovazione.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/16-aprile-2010/america2-outsourcing-inversione-U.shtml

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