Bossi all'assalto delle banche del Nord: "'Avremo nostri uomini a ogni livello, ce lo chiede la gente'
Bisogna leggerle bene le parole di Umberto Bossi sulle banche. Non sono un auspicio, una boutade, o un’intemperanza verbale, ma una constatazione. Il leader della Lega Nord ha detto ai giornalisti, nei corridoi di Montecitorio: 'E’ chiaro che le banche più grosse del nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice ‘prendetevi le banche e noi lo faremo'. La domanda non è se i leghisti ci riusciranno, ma cosa faranno quando l’assedio avrà avuto successo.
GRANDI PREDE. Le grandi banche, infatti, sono già molto più verdi di quanto sembri a una prima occhiata. Da Luca Zaia, appena arrivato alla guida del Veneto, è partito l’accerchiamento di Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit. L’otto per cento del capitale di Unicredit è sotto l’influenza leghista: il sindaco di Verona Flavio Tosi sceglie quattro consiglieri su 30 in Cariverona, primo azionista di Unicredit con il 5 per cento, e poi ci sono quelli scelti dalla provincia di Vicenza, dalle camere di commercio vicentine e veronesi, da Feltre e da Legnano (in Lombardia). Sono leghiste quasi tutte le istituzioni e gli enti locali che nominano il cda delle fondazioni bancarie, enti senza fini di lucro, versione moderna delle casse di risparmio, inventate da Giuliano Amato quando dovette creare azionisti a cui conferire il controllo sulle banche pubbliche da privatizzare. L’unica fondazione chiaramente non leghista è Cassamarca di Treviso, ma l’ottantenne Dino De Poli che la guida, storico esponente della cosiddetta finanza bianca (cioè cattolica), è in scadenza di mandato.
Dentro Unicredit è già chiaro che l’attenzione al Nord Est è già aumentata: Profumo ha dovuto accettare un country manager, cioè un superdirigente che supervisiona l’attività in Italia, che non è sgradito alla Lega, Gabriele Piccini. Alla sua prima dichiarazione ha ricordato che “abbiamo 600 mila imprese che hanno diritto ad avere delle risposte concrete alla loro domanda di credito”. E’ questo l’obiettivo della Lega: garantire finanziamenti ai piccoli imprenditori che annaspano da un anno e mezzo per la stretta creditizia imposta un po’ dai parametri internazionali di Basilea 2 e un po’ dall’effettiva difficoltà del settore produttivo (che quindi diventa più rischioso e meno meritevole di credito). Unicredit è la preda più grossa, la porta principale da cui la Lega può entrare nella finanza che conta e gestire operazioni di sistema. Che nell’ottica leghista non sono Alitalia e Telecom (appannaggio di Intesa Sanpaolo) ma un’assistenza al territorio, mettendo gli interessi degli imprenditori davanti a quelli degli azionisti.
La conquista, per riuscire, ha bisogno però di un contesto favorevole: Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, dopo essere stato prodiano e tremontiano ora guarda con interesse all’espansione leghista nel credito. E Vincenzo Consoli, che guida l’emergente Veneto Banca, non gradisce l’etichetta di banchiere del Carroccio (ha rilasciato un’apposita intervista alla Stampa per smentirlo), ma il suo istituto si è appena comprato la torinese Bim ed è guardato con simpatia da Zaia. Visto che Giulio Tremonti sembra aver scambiato il sostegno politico di Bossi con un biglietto da visita per l’ingresso nella finanza vera (operazione tentata con scarso successo dalla Lega nel 2005, ai tempi della Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani e delle scalate), l’ascesa finanziaria leghista è quindi possibile. E dopo?
MISSION IMPOSSIBLE. Quando la Lega sarà una potenza finanziaria – o quando gli altri penseranno possa diventarlo davvero, che è lo stesso – come userà la sua influenza? Il problema, infatti, è che le banche in Veneto concedono pochi finanziamenti anche perché molte aziende non li meritano. Cioè sono così provate dalla crisi che molto probabilmente non sopravvivranno abbastanza da restituire i prestiti. E le poche imprese sane stanno immobili ad aspettare che la crisi passi. Anche i Confidi, sono in difficoltà: gli organismi che in Veneto sostengono gli imprenditori nel rapporto con la banca, garantendo parte del prestito, sono quasi senza soldi: l’indicatore di sofferenza è passato dal 33,7 per cento del 2007 al 40 del 2008 fino al 46,7 per cento del 2009. Segnale che i debitori padani sono sempre più a rischio insolvenza. E’ con questo scenario che le grandi banche, una volta conquistate dalle truppe di Bossi, dovranno confrontarsi: allargare i cordoni della borsa per gli imprenditori e i lavoratori che votano Lega pagherà nelle urne ma non nei bilanci delle banche. A pagare il conto , se le cose andranno male, saranno come sempre i piccoli azionisti.
Da il Fatto Quotidiano del 15 aprile"
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