Gian Adelio Maletti, allora numero due del Sid, ricostruisce gli anni delle stragi in una lunga intervista diventata ora un libro
Tre giovani giornalisti (27, 28 e 30 anni) prendono a loro spese un aereo e vanno in Sudafrica, a Johannesburg, a intervistare un vecchio generale del servizio segreto militare italiano. I tre sono Andrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato. Il generale è Gian Adelio Maletti, numero due del Sid negli anni della bomba di piazza Fontana (1969), del tentato golpe Borghese (1970), della strage di Brescia (1974), della strategia della tensione. Per tre giorni interrogano l’agente segreto, l’ufficiale rimasto (finora) il più alto in grado a sopportare tutto il peso dei depistaggi di Stato sulle stragi. Maletti risponde. Racconta. Non ricorda. Spiega. Nega. Rivela. In maniera obliqua e parziale, ma a suo modo illuminante, ricostruisce la trama della guerra segreta combattuta in Italia in quegli anni. Protagonisti, gli esecutori neofascisti di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale, i loro protettori dentro gli apparati di Stato italiani, le ombre atlantiche. Il lungo colloquio diventa ora un libro, "Piazza Fontana, noi sapevamo", prefazione di Paolo Biondani, edito da Aliberti. Qui ne presentiamo un brano (pubblichiamo anche i video di quattro momenti dell'intervista al generale Maletti, parzialmente inediti, in esclusiva per il lettori dell'Antefatto). In esso, il generale Maletti parla di un informatore del Sid infiltrato nel gruppo veneto di Ordine nuovo, Gianni Casalini, fonte “Turco”. Spiega come il Sid gli impedì di rivelare alla magistratura quello che aveva visto sugli attentati del 1969. E (fatto inedito) di come i carabinieri "ripulirono" il deposito da cui proveniva l’esplosivo americano usato in piazza Fontana a Milano e probabilmente in piazza della Loggia a Brescia. Proprio domani, Maletti sarà interrogato, in videoconferenza, al processo in corso sulla strage di piazza della Loggia, l’ultima occasione giudiziaria per tentare di far quadrare i conti tra verità storica (ormai largamente acquisita) e verità processuale.
Da "Piazza Fontana, noi sapevamo" (Aliberti editore)
Sei anni dopo piazza Fontana, accadde un piccolo episodio che la vide protagonista. Era il 5 giugno 1975. Lei prese un foglio, e scrisse questo breve appunto: «Colloquio con il signor caposervizio. Caso Padova: Casalini si vuol scaricare la coscienza. Ha cominciato ad ammettere che lui ha partecipato agli attentati sui treni nel 1969 e ha portato esplosivo; il resto, oltre ad armi, è conservato in uno scantinato di Venezia. Il Casalini parlerà ancora e già sta portando sua mira su altri gr. Padovano + delle Chiaie + Giannettini. Afferma che operavano convinti appg. Sid. Trattazione futura, chiudere entro giugno. Colloquio con M.D. prospettando tutte le ripercussioni. Convocare D’Ambrosio. Incaricare gr. Cc (Del Gaudio) di procedere». Se ne ricorda?
Se dovessi ricordarmi di tutte le annotazioni che ho fatto, allora sarei un’enciclopedia vivente. Comunque sì, ricordo qualcosa. L’appunto si riferisce a un colloquio con il capo del Sid, che ai tempi era l’ammiraglio Mario Casardi. Lo scrissi piuttosto frettolosamente, come si può notare. Probabilmente, ero nel mio studio, a Forte Braschi, e c’era la macchina che mi aspettava fuori.
Il documento fu scoperto nel 1980, durante una perquisizione a casa sua. Di Gianni Casalini abbiamo già parlato: era un militante del gruppo padovano. Lavorò per il Sid, con il nome in codice “Turco”, dal 1972 al 1975: fino a quando, cioè, lei dispose la chiusura della fonte. Poco fa, lei ci ha detto una cosa importantissima: Casalini, durante la sua collaborazione, vi rivelò un grande segreto. Parlò dell’esplosivo di piazza Fontana, disse che le bombe venivano dalla Germania, che erano di provenienza americana, e che erano state consegnate ai neofascisti veneti. Tutte informazioni che rimasero misteriosamente riservate, almeno per la magistratura. Poi, nel 1975, come se non bastasse, lei prese questa decisione: chiudere la fonte. Perché?
Guardate, la decisione non fu presa da me. Fu presa dell’ammiraglio Casardi, che all’epoca era direttore del Sid. (...) Non solo non l’ha denunciato: ha cercato di evitare che dicesse altre cose. Cose piuttosto scottanti.
Sul suo appunto c’è scritto: «Casalini si vuol scaricare la coscienza».
La riunione del gruppo neofascista
Comunque, cari ragazzi, questo non è più un colloquio amichevole: questo è un tribunale, e io sono l’imputato. E invece non sono imputato.
Ma no, generale, noi non le imputiamo nulla.
No, mi piace mettere le cose a posto. Non voglio che mi si perseguiti con domande alle quali chiaramente io non posso rispondere: non per cattiva volontà, ma per mancanza di agganci mnemonici.
Non si preoccupi. Quand’è così, cercheremo di fornirle qualche nuovo appiglio. Casalini, nel 2008, ha detto molte altre cose. Il 18 aprile 1969, si svolse a Padova una misteriosa riunione: vi parteciparono i massimi esponenti del gruppo neofascista. C’era Franco Freda, Giovanni Ventura, Pozzan, Toniolo e Balzarini. E c’erano due altri personaggi, arrivati da Roma, la cui identità non è mai stata svelata. Fu stabilita ogni cosa: le bombe, gli attentati. Casalini riferì tutto al Sid. E il Sid? Che cosa fece il Sid?
Guardate, non ne ho idea. Sono passati quattro decenni.(...)
Lo scantinato di Venezia
Continuiamo a leggere. Più avanti, sempre nell’appunto, viene citato il nome di Manlio Del Gaudio, capitano dei carabinieri: «Incaricare gr. Cc (Del Gaudio) di procedere». Del Gaudio era il comandante del gruppo carabinieri di Padova.(...) Era amico del padre di Casalini, Mario. Secondo il giudice Salvini, avrebbe dovuto intercedere presso la famiglia del militante neofascista per convincerlo a starsene buono . Cioè a non parlare.
Anche questa direttiva fu impartita da Casardi. Comunque sia: io non sapevo nulla di questa amicizia. Se fosse vero, ciò spiegherebbe molte cose.
Scusi, generale, in che senso? Che cosa spiegherebbe?
Spiegherebbe, tra l’altro, che al padre di Casalini fu ordinato di ripulire alla svelta uno scantinato, un sottoscala.
Quale scantinato?
Lo scantinato di Venezia, no? Lo stesso del quale parlo nel mio appunto...
La strage di Piazza della Loggia
Generale, ci spieghi tutto con calma.
Ok, ragazzi. One should never say never, mai dire mai. Procediamo con ordine: vi spiegherò ogni cosa, una volta per tutte. Io, come dicevo, telefonai al centro di Padova, ordinando che la fonte venisse chiusa. Ordinai, inoltre, che venisse informato il comando dei carabinieri di Padova, per le incombenze del caso. (...) C’era da occuparsi, per esempio, del celebre deposito di esplosivo. (...) Chi abbia materialmente svuotato l’arsenale ha ben poca importanza. Costoro, a mio giudizio, non ebbero alcun timore di essere sorpresi sul fatto.
È un episodio gravissimo, generale. Le forze dell’ordine coprirono l’operazione, e i neofascisti riuscirono a farla franca. Ma cosa c’era, in quell’arsenale? (...) I tir carichi di esplosivo, quelli che giunsero dalla Germania, fecero tappa a Mestre, alle porte di Venezia. A bordo c’erano varie casse di tritolo, provenienti da un deposito americano in Germania: ce lo ha detto lei. È possibile, dunque, che quelle casse fossero conservate nel deposito del quale abbiamo appena parlato?
Certo, direi di sì. È un’ipotesi attendibile.
Nell’arsenale di Venezia, insomma, c’era l’esplosivo di piazza Fontana, l’esplosivo americano. Era stato Casalini, del resto, a indicarne la provenienza: è logico che ne conoscesse anche la destinazione. Questo spiegherebbe tutto: quelle bombe non dovevano essere rinvenute: l’intera strategia statunitense fu sul punto di essere smascherata. È una rivelazione pesantissima...
Io, però, non posseggo alcuna prova.
Certo, generale. Ma c’è un’altra cosa, a questo punto, che vorremmo chiederle. Il deposito restò in funzione per almeno sei anni: dal 1969 al 1975. Nel 1974, ci fu la strage di piazza della Loggia, a Brescia. Secondo le tesi dei giudici, l’eccidio sarebbe stato organizzato dallo stesso gruppo che agì a piazza Fontana: gli ordinovisti veneti. È possibile, a suo parere, che anche l’esplosivo di piazza della Loggia provenisse da quell’arsenale?
Non mi sembra un’ipotesi peregrina. Ma, ripeto, restiamo nel campo delle supposizioni. Non esistono prove.Del Gaudio e i vertici del Sid
Quello che lei non sta smentendo è uno scenario inedito, e decisamente inquietante. Ma ci dica: Del Gaudio agì di sua spontanea volontà? Sappiamo che era un membro della P2, così come i vertici della divisione Pastrengo, che fecero scomparire i rapporti su Casalini. I registi dell’operazione, molto probabilmente, si trovavano in alto: molto più in alto...
Non lo so, non lo so. So solo questo: l’ordine di svuotare l’arsenale non partì dai vertici del Sid. Non sono in grado di dire altro.
Leggi la prefazione al libro, a cura di Paolo Biondani
Da il Fatto Quotidiano del 22 aprile
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.