giovedì 1 aprile 2010

Il Quirinale ha aspettato le elezioni prima di bocciare il ddl lavoro

Il Quirinale ha aspettato le elezioni prima di bocciare il ddl lavoro: "di Sara Nicoli



Ha aspettato che si chiudessero le urne, per evitare strumentalizzazioni e nuovi attacchi da parte della maggioranza, ma in realtà la decisione di rinviare il disegno di legge sul lavoro alle Camere, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l'aveva già presa definitivamente una settimana fa. Così come – anche se senza grande convinzione – sarebbe ormai orientato a firmare, la prossima settimana, il definitivo via libera al "legittimo impedimento". Confidando, in cuor suo, in un successivo intervento della Corte costituzionale a dare un colpo di spugna a una norma che, di fatto, "già esiste", e che solo in quanto “a tempo determinato” può essere considerata meno pericolosa di quella sul lavoro.



Dovendo scegliere, in poche parole, il minor male tra due provvedimenti "scomodi" arrivati sul suo tavolo, Napolitano (da sempre in prima linea su questi temi, in particolare sulla sicurezza e le morti bianche) ha preferito concentrare i suoi sforzi su quello sul lavoro piuttosto che sulla salvaguardia momentanea del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dai processi di Milano. Non che si sia posta la reale necessità di una scelta, ma di certo la bocciatura di entrambe le leggi alla sua firma sarebbe stata considerata un atto di pesante ostilità verso Berlusconi, con conseguenze possibili pesanti soprattutto dopo l'esaltante risultato del Pdl uscito dalle urne. Una decisione di merito venata di opportunità politica, dunque, quella presa ieri da Napolitano; la possibile firma del legittimo impedimento impedirà il riacutizzarsi di uno scontro istituzionale che, tuttavia, cova sempre sotto la cenere.



Si è capito che il Quirinale aveva deciso di non frimare alcuni giorni fa, quando aveva dato mandato al comitato di valutazione del Colle, composto da Salvatore Sechi, Donato Marra e Loris D'Ambrosio, di approfondire ogni singolo comma del ddl lavoro. E di concentrarsi, in particolare, sulla normativa riguardante il ricorso all'arbitrato invece che al giudice del lavoro, che "anche ad occhio – questa la sua valutazione espressa ad alta voce – non dà sufficienti garanzie ai lavoratori".



Quella porzione di legge era già contenuta nella versione originale della legge Biagi, ma non a caso non aveva mai visto la luce in quella inapplicabile stesura, come puntualmente sottolineato anche ieri da uomini di fiducia del Capo dello Stato. Ai giuslavoristi del comitato, inoltre, Napolitano aveva raccomandato la massima attenzione perchè "in un momento di pesante crisi economica - questa l'intenzione manifestata - non possiamo dare un segnale di non attenzione alla salvaguardia dei lavoratori più deboli".



Insomma, Napolitano voleva bloccare tutto ben prima che alcuni giuslavoristi di prestigio come Luciano Gallino, Umberto Romagnoli, Massimo Paci, Tiziano Treu e giuristi come Massimo Luciani e Andrea Proto Pisani manifestassero pubblicamente il loro sconcerto per la norma attraverso la sottoscrizione di un appello per il blocco del ddl. Soprattutto perchè, anche ad occhio, il ddl appariva "scritto male, può voler dir tutto – avrebbe sottolineato il capo dello Stato – e il contrario di tutto; dove finisce la tutela dei lavoratori?". Sembra che l'unico a conoscere fin dall'inizio le intenzioni di Napolitano sia stato proprio il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Che, via Gianni Letta, avrebbe esercitato pressioni perchè fosse salvaguardato l’impianto dell'arbitrato, spacciato al Colle come "strumento assolutamente necessario e a beneficio della libertà dei lavoratori".



Sacconi non è stato assolutamente ascoltato, anzi. Ma ora mediterebbe una sottile vendetta. Ad di là delle intenzioni di facciata, il ministro del Welfare potrebbe apportare modifiche più di forma che di sostanza alle norme che riguardano il tema sensibile dell’arbitrato, nonché agli altri punti oggetto dei rilievi, ben sapendo che la seconda volta il capo dello Stato non potrà rifiutare ulteriormente la firma del provvedimento. Ma è comunque un percorso ad ostacoli. Il ddl lavoro tornerà in commissione alla Camera l'8 aprile e il rischio che il percorso possa complicarsi c'è, a cominciare dal fatto che il provvedimento deve essere di nuovo approvato articolo per articolo e con votazione finale prima dalla Camera e poi dal Senato. Anche a marce forzate, il nuovo via libera del decreto non potrà avvenire prima di giugno.



Da il Fatto Quotidiano dell'1 aprile"

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