Ho conosciuto, in un paio di occasioni, Lamberto Sposini e ho avuto modo anche di parlargli alcune ore per un’intervista che è poi uscita su L’espresso.
Ora: raramente ho trovato un collega tanto disincantato e moderato. Perfettamente consapevole che per fare comunicazione professionale in Italia, specie in tivù, è necessario quasi sempre accettare tutta una serie di compromessi, di smussamenti, di autocensure. Privo di simpatie berlusconiane ma altrettanto smaliziato verso i vertici del Pd, al punto che da alcuni lustri non andava più a votare. Eppure fiducioso che anche all’interno di questo recinto di mediazioni e di pressioni fosse possibile fare il suo mestiere, magari divertendosi e se possibile non vergognandosene.
Adesso leggo che Sposini sarà rimosso da La vita in diretta, complice un’intervista non abbastanza sdraiata a Ignazio La Russa.
Alla Rai – beh, a Mediaset non ne parliamo – non basta più l’esercizio della prudenza, antico strumento di sopravvivenza dei contesti censori. Alla Rai adesso per perpetuarsi serve solo la militanza attiva, l’asservimento palese: i Minzolini, i Paragone, le Monica Setta.
Si chiama militarizzazione. E chi non si mette l’elmetto è un disertore.
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