mercoledì 31 marzo 2010
Appunti sull'etica del Successo
Un capitolo di Resistenza e Resa di Dietrich Bonhoeffer è dedicato a questo tema, cruciale per chi si impegna nel lavoro politico, o si trova, come egli stesso si è trovato, a vivere in un Paese dominato da una feroce dittatura. In democrazia la buona politica richiede il consenso a breve termine (il “successo”), indipendentemente dal valore intrinseco delle scelte compiute; e quando si tratta di resistenza al nazismo, quello che conta è il risultato pratico dell’azione, indipendentemente dalla qualità dei mezzi usati. Dove il “vero”, il “buono” e ciò che è storicamente efficace divergono, qual è la scelta giusta?
http://www.pietroichino.it/?p=7885
il Quinto Reich di Feltri
Non so se avete presente quella vecchia barzelletta sui neonazisti tedeschi che ritrovano Hitler, vecchissimo, in Sudamerica, e cercano di convincerlo a tornare in Germania a fare il quinto Reich, e lui si fa un po’ pregare, e poi ancora pregare, e alla fine cede: «Okay ragazzi, torno, ma questa volta cattivi eh!».
Ecco, appunto.
"Intel-Micron JV hiring for delayed Singapore fab
mauro di oggi
"Gli elettori non sanno se il Pd è un partito laico, in un Paese in cui la Chiesa si muove come un soggetto politico; non sanno se è una forza di opposizione, con tutte le offerte di dialogo che alcuni suoi uomini specializzati rivolgono quotidianamente al Cavaliere, qualunque cosa accada; non sanno nemmeno se è di sinistra, in un Paese in cui la destra - e destra al cubo - mostra il suo vero volto in ogni scelta politica, istituzionale o sociale."
"C'è parecchio lavoro da fare, nell'interesse del Paese, per evitare che l'avventura berlusconiana si compia al Quirinale. Non ultimo, cercare un leader che possa sfidare il Cavaliere e vincere, come avvenne con Prodi: e cercarlo in libertà, anche fuori dai percorsi obbligati di età, di appartenenza e di nomenklatura. Forse, anche a sinistra è arrivata l'ora di un Papa straniero."
martedì 30 marzo 2010
Snow Leopard ingrassa
Torna a far paura il vulcano sommerso nel Tirreno
Il silenzio elettorale del Tg5
Un bel servizio, i mattino delle elezioni, dedicato all’ultimo numero Panorama, per mostrare la copertina e il titolone all’interno contro Di Pietro.
(grazie a Iced)
Ps. Enrica segnala che anche il Tg4 ha dato.
"Il centro-destra vince, ma Berlusconi non ride
Passata la sbornia elettorale è inevitabile che qualcuno nel centro-destra si renda conto di tre fatti. Il primo: nel nord è solo la Lega a trionfare. Il secondo: il Pdl perde un mare di voti ovunque, tanto che ora ha difficoltà ad arrivare al 27% (era al 33,3 nel 2008). Il terzo: nessuno dei sei candidati eletti ieri può essere considerato un vero berlusconiano.
Insomma quel plebiscito sulla propria persona, che il Cavaliere invocava come una sorta di giudizio di Dio da contrapporre agli scandali giudiziari e alle trasmissioni televisive 'da chiudere', non c'è stato. Dio (anzi il 35 per cento degli elettori) è rimasto a casa. E come spesso accade il centro-destra ha dato la sensazione di vincere più per la pochezza degli avversari che per i propri meriti.
Se questo è il quadro c'è da scommettere che tra qualche giorno ci ritroveremo con un Pdl come al solito squassato dagli scontri interni. Anche perché Berlusconi ha fretta. I processi di Milano incombono. Ma il presidente Giorgio Napolitano non ha ancora controfirmato la norma (incostituzionale) sul legittimo impedimento ideata per bloccarli.
Sulla giustizia il Cavaliere deve quindi intervenire subito. L'unico accordo finora raggiunto con i finiani è però quello per l'approvazione definitiva della legge (bavaglio alla stampa) sulle intercettazioni telefoniche. Che è abbastanza per far evaporare molte notizie e inchieste sgradite, ma che è troppo poco per fermare i dibattimenti. Servono altri interventi. Altri articoli del codice (o peggio della Costituzione) da cambiare. Ma intanto la crisi economica non finisce, la disoccupazione sale e, anche nel centro-destra vittorioso, la voglia di fronda aumenta."
domenica 28 marzo 2010
Calderoli semplifica..
...
Al di là le polemiche, tuttavia, resta il tema: fra i faldoni bruciati ieri nel cortile di una caserma dei pompieri (lui avrebbe voluto fare lo show a Palazzo Chigi ma Gianni Letta, poco marinettiano, si sarebbe opposto...) c’erano soltanto antichi reperti burocratici quali l’enfiteusi o anche qualcosa di più recente? Prendiamo l’articolo 7 delle norme sul fondo perequativo a favore delle Regioni: «La differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), numero 1, calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell’articolo 6 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l’esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria nonché dall’emersione della base imponibile...». Il ministro Calderoli concorderà: un delirio. Il guaio è che non si tratta di una legge fatta ai tempi in cui Ferdinando Petruccelli della Gattina scriveva «I moribondi del Palazzo Carignano». È una legge del governo attuale, presa mesi fa ad esempio di demenza burocratese da un grande giornalista non certo catalogabile fra le «penne rosse»: Mario Cervi. Direttore emerito del Giornale berlusconiano. Eppure c’è di peggio.
Nel lodevolissimo sforzo di rendere più facile la lettura e quindi il rispetto delle leggi, il governo approvò il 18 giugno 2009 una legge che aveva un articolo 3 titolato «Chiarezza dei testi normativi». Vi si scriveva che «a) ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate; b) ogni rinvio ad altre norme contenuto in disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione, contestualmente indichi, in forma integrale o in forma sintetica e di chiara comprensione, il testo...». Insomma: basta con gli orrori da azzeccagarbugli. Eppure, ecco il comma dell’articolo 1 dell’ultimo decreto milleproroghe del governo in carica: «5-ter. È ulteriormente prorogato al 31 ottobre 2010 il termine di cui al primo periodo del comma 8-quinquies dell’articolo 6 del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, come da ultimo prorogato al 31 dicembre 2009 dall’articolo 47-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31». Cioè? Boh...
...
Magari cercando di non fare gli errori sui quali, nello sforzo di fare in fretta, era incorsa la "ramazza" di Calderoli, la quale, come via via hanno segnalato i giornali consentendo di rimediare alle figuracce, aveva spazzato via per sbaglio anche il trasferimento della capitale da Firenze a Roma, l’istituzione della Corte dei Conti o le norme che consentono a un cittadino di non essere imputato per oltraggio a pubblico ufficiale se reagisce ad atti arbitrari o illegali.
Spionaggio Telecom: "L'avvocato di Tronchetti ci chiese di mentire"
L’avvocato di Marco Tronchetti Provera, il professore Francesco Mucciarelli, avrebbe chiesto di mentire a Fabio Ghioni, nell’interesse della Telecom. L’accusa è stata mossa dallo stesso ex capo del “Tiger Team” (struttura di hacker informatici), davanti al giudice Mariolina Panasiti nell’udienza preliminare a porte chiuse per lo spionaggio illegale della security Telecom, capitanata nel 2003-2005 da Giuliano Tavaroli. Nell’aula è calato il gelo quando Ghioni ha raccontato della vicenda "Kroll", ovvero dell’incursione nel sistema telematico dell’agenzia di sicurezza di Telecom Brasile.
L’hacker imputato, ha detto che nel 2006, in preparazione della denuncia di Telecom Italia per lo spionaggio subito da Telecom Brasile, fu convocato "insieme a un altro gruppo di persone" nello studio del professor Mucciarelli per assicurare "la stessa versione all’autorità giudiziaria", non potevamo certo dire come erano andate le cose [che avevano cioè violato la rete di Kroll per scoprirli, ndr]. A queste parole il gup Panasiti ha chiesto: "Quindi dichiarazioni non vere?". Ghioni: "Non vere". Panasiti: "Ripeta quanto ha detto". Ghioni: il professor Mucciarelli ci aveva convocato per concordare una versione univoca "favorevole a Telecom Italia, ovviamente non vera". Di fronte a un’accusa di questa portata, i pm Nicola Piacente e Fabio Napoleone, hanno assistito in silenzio. Anche quando Ghioni ha raccontato che l’ex dirigente della security Giancarlo Valente, mai indagato, gli avrebbe detto: nessuno mi tocca, "se crollo io, crolla tutta la baracca", "alla Gdf ho dato elementi per far cadere Tavaroli".
Se Ghioni ha detto la verità significa che Tronchetti era al corrente fin nei minimi particolari dell’azione contro Kroll. Ma il presidente di Pirelli ed ex Telecom ha sempre negato di essere a conoscenza delle operazioni illegali della security. Domani, per la terza volta, Tronchetti testimonierà in udienza.
Da il Fatto Quotidiano del 28 marzo
Uomini, il buio oltre la siepe
In questo spazio, che il sabato ospita la rubrica Battibecco, ieri Massimo Fini ha scritto un’invettiva contro le donne, costituendosi alla prima riga: "Sono una razza nemica". Afflitte, proveremo qui, con indulgenza, a rassicurarlo. Dice che abbiamo "la lingua biforcuta", non accorgendosi delle troppe malvagità che il "maschio scrivens" ci dedica nel suo articolo. E poi: "L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco". Dobbiamo sentirci in colpa perché non siamo banali? "Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole": ma, cher ami, non si può prendersela con il "nemico" se ha affinato meglio l’arte della pugna. Certo: più difficile attrezzarsi per la battaglia, più semplice urlare al raggiro.
Capitolo lacrime: pare si abbia - noi e voi - in dotazione il medesimo apparato di secrezione. Se ne produciamo in quantità maggiore è perché tendiamo a non spaventarci appena si affaccia un’emozione, come se fosse il babau. In più le lacrime migliorano la trasparenza ottica. E non è un male avere sguardi nitidi: così, quando ci guardate negli occhi (quando lo fate) si vede meglio. "Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda". Naturalmente, per una legge economica, non è chi detiene l’offerta a dettare la domanda. Il potere comunque non è un peccato, basta usarlo bene. Le signore che con lo sciopero del sesso fanno finire la guerra del Peloponneso nella "Lisistrata" di Aristofane, insegnano.
Sempre sul tema dell’eros: "La cosa interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale". Sul piacere in effetti sembra sia vero: due fonti di godimento sono più di una (il pontefice massimo della sessualità, il dottor Sigmund, però sosteneva che quello clitorideo è infantile). È sull’interesse che si fatica a condividere l’affermazione, specie se giunge dal rappresentate di un genere che spesso -più che dal cervello - sembra farsi guidare da quell’organo che procura il piacere. É stata una terribile fitta al cuore - causa di un capogiro e conseguente mancamento - scoprire nel seguito dell’articolo che "da quando si sono finalmente 'liberate' sono diventate insopportabili. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli".
Ma no, le carrierucce non sono da segretaria. Ci vengono "concessi" anche ruoli diversi. Talvolta capita anche di avere, nei giornali, la responsabilità di servizi e pagine: tra cui perfino questa, quella dei commenti del "Fatto". E lo facciamo volentieri, perfino quando capita di dover titolare qualche corbelleria. Sul diritto di famiglia che accorda - in caso di separazione - il privilegio di tenersi figli e casa, bisognerebbe scrivere un trattato. Son cose che si sanno (tipo: i figli è bene che non siano costretti a cambiare casa, oltre che dinamiche familiari). Dovremmo davvero essere più generose dopo che lui, tra il filo interdentale e lo spazzolino, accidentalmente ci ha detto: "Scusa cara, volevo dirti che sto con Jessica da due anni. Sai, non ti amo più". Anzi, "non ti amo più" non viene nemmeno proferito: l’amore è scansato come una terribile sfiga. È un sentimento pericoloso, inutile e nocivo: si rischia la "dipendenza". Ma è la conclusione che svela la resa dei Fini: "Basta. Meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe". Oltre la siepe c’è, notoriamente, il buio.
Da il Fatto Quotidiano del 28 marzo
Dopo le regionali arriva la manovra lacrime e sangue
Archiviato il voto il governo dovrà trovare 20 miliardi entro l'estate
di Superbonus
"L’ Italia sta uscendo dalla crisi prima e meglio di altre nazioni europee": se le bugie dei politici avessero un costo questa l’abbiamo pagata 2,2 miliardi di euro. Infatti nel piano di salvataggio della Grecia varato dalla Unione europea (impegni bilaterali a prestare denaro ad Atene se le aste di titoli di debito andranno deserte) l’Italia sarà chiamata a contribuire con questa cifra. Come poteva infatti tirarsi indietro una nazione che nelle proprie previsioni è già uscita dalla crisi e che nei prossimi due anni crescerà, secondo il ministro dell’economia, del quattro per cento? Da dove usciranno fuori questi soldi nessuno lo dice.
SENZA VIA D’USCITA. Berlusconi ha sottoscritto l’aiuto alla Grecia senza che abbia avuto l’occasione e l’autorevolezza di dire una parola, condannando se stesso non solo a un pagamento imprevisto ma anche a una manovra economica immediata prima dell’estate. Tremonti aveva tentato di lasciare la totale responsabilità del salvataggio greco al Fondo monetario internazionale con due finalità: risparmiare soldi e riservare l’intervento europeo per una prossima occasione, quando a dover chiedere aiuto potrebbero essere paesi con una dimensione del debito più grande (tipo l’Italia). Fino a quando era stato il nostro ministro dell’Economia a condurre le trattative, l’Italia aveva saldamente mantenuto questa posizione. L’asse franco tedesco tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel dell’ultima settimana ha spazzato via le resistenze di un Berlusconi che, forse troppo impegnato a denunciare complotti delle toghe rosse, non ha capito le implicazioni che ha per l’Italia e per la stabilità del suo governo l’accordo raggiunto sulla questione greca.
IL COMPROMESSO. L’accordo prevede infatti che la Grecia potrà accedere al fondo monetario internazionale per ritirare i primi 10 miliardi nel caso in cui non si riuscisse a finanziare sui mercati internazionali e successivamente si provvederebbe ad una serie prestiti bilaterali con i Paesi europei, Italia compresa. Nessuna creazione di un fondo europeo per le crisi da finanziare con emissioni di titoli obbligazionari europei, nessun intervento solitario di Germania e Francia nessuna azione che potesse escludere dall’intervento i paesi più deboli. Gli investitori internazionali hanno subito capito che questa modalità di salvataggio può funzionare per paesi di piccole dimensioni ma se i problemi dovessero averli Italia o Spagna, allora la musica sarebbe molto diversa.
I CONTI PUBBLICI. La stitica solidarietà europea non potrebbe più manifestarsi e saremmo lasciati soli con i nostri problemi, questo non fa che aumentare la necessità di Tremonti di mettere i conti a posto rapidamente. Nessuno crede più alle previsioni di crescita economica contenute nel Dpef e conseguentemente ale promesse di contenimento del rapporto tra deficit e Pil. I più ottimisti (come la Commissione Europea) dicono che nel biennio 2011/2012 la crescita media dell’economia italiana sarà del 1,4 per cento annuo, altri analisti di mercato sostengono che ci fermeremo al 1 per cento. Se queste stime si riveleranno corrette, a Tremonti mancano dai 20 ai 30 miliardi di euro per far quadrare i conti, come calcolato dal Fatto Quotidiano già a novembre 2009 quando, a chi voleva vederlo, era già evidente che le previsioni economiche del governo erano volutamente taroccate e servivano semplicemente a guadagnare abbastanza tempo per rimandare la stangata a dopo le elezioni regionali.
PIÙ TASSE PER TUTTI. La novità ora è che la manovra non sarà più rimandabile perché, venuta meno la speranza di un solido paracadute europeo, i mercati guardano con crescente attenzione alla nostra finanza pubblica e al suo stato di salute. Nelle prossime settimane sarà molto interessante capire come si muoverà il ministro dell’Economia per reperire le risorse necessarie da inserire nel Dpef 2011/2013. E tagliare le spese, in questo contesto, non sarà facile: i bambini a scuola hanno il grembiulino ma non le insegnanti di sostegno, d’inglese e d’informatica, ai ministeri ci sono i tornelli ma Bertolaso ha assunto 480 persone in 6 anni, le regioni commissariate dal governo per i buchi sulla sanità continuano ad aumentare i debiti ed i comuni sono in rivolta sul patto di stabilità. Visto che fino ad ora gli interventi sulla spesa pubblica sono stati tutti estemporanei senza un piano preciso di razionalizzazione e di rilancio delle strutture pubbliche non possiamo attenderci nulla di diverso. Il dibattito non sarà su cosa tagliare e su quali sprechi ridurre, se fermare o meno la follia del ponte sullo Stretto ma semplicemente su come presentare il conto agli italiani. Come fare in modo che non capiscano che stanno arrivando altri sacrifici sotto forma di tagli ai servizi offerti dallo Stato e dagli Enti Locali o come mascherare un aumento delle tasse facendolo passare per una grande riforma. Certo non è a questo scenario che Berlusconi sembrava alludere quando ha detto che subito dopo le elezioni porterà in parlamento i provvedimenti di "una rivoluzione liberale che prevede la riforma del fisco". In realtà quello di cui sembra aver bisogno questo governo è un bel pasticcio sulle aliquote o sulla base imponibile, utile per confondere le idee e far tornare i conti.
Fino a ora Tremonti ha resistito alla tentazione del blitz fiscale in cui cade ogni tanto Berlusconi ed è arrivato a minacciare le dimissioni quando il presidente del Consiglio si stava impuntando a tagliare l’Irap (che vale 40 miliardi). Continuerà nel suo atteggiamento conservativo o, per salvare la poltrona, sarà disposto a ingannare la piccola borghesia del nord che lo osanna conuna riforma fiscale che serve solo ad aumentare il gettito?
Da il Fatto Quotidiano del 28 marzo"
sabato 27 marzo 2010
Cosa volete che siano 100 mila euro…
Per salvarsi la coscienza l’Agcom infligge 100 mila euro di multa a Tg1 e Tg5 per la clamorosa faziosità filogovernativa che li ha contraddistinti nell’ultima settimana pre-elettorale. Potrebbe anche tirarli fuori personalmente il beneficiario del trattamento, per lui quella cifra è “argent de poche”. Ma vedrete che lascerà provvedere noi contribuenti, per la parte Rai della contravvenzione. Resta il fatto che quei due telegiornali-fotocopia delle reti ammiraglie, diretti dai fedelissimi Clemente Mimun e Augusto Minzolini, rappresentano l’unica fonte d’informazione per una quota maggioritaria di cittadini che non leggono i giornali.
Varrà ben più di 100 mila euro, dunque, il capolavoro della censura imposta alle trasmissioni critiche d’approfondimento mentre si lasciava mano libera ai tg faziosi. State pur tranquilli che le notizie del paese reale vi finiranno edulcorate e nascoste (oggi l’Istat segnala -3,3% nelle vendite dei prodotti alimentari; ieri quantificava 380 mila posti di lavoro perduti nel 2009). Peccato che le autorità di garanzia stiano dando prova di pavidità. Segnalano le infrazioni, ma sottovoce, per non disturbare il manovratore.
Basta pesticidi, arriva l'insetto sessualmente potenziato
http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=12086
Grazie LuPo.
The basics of being Agile in a real-time embedded systems environment: Part 1
Donne, guaio senza soluzione
Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento – quando le cose funzionano – è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale (“Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa” scrive Sartre). La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso femminile. Ma adesso che si sono finalmente “liberate” sono diventate davvero insopportabili.
Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli. Stan lì a “chiagne” ogni momento sulla loro condizione di inferiorità e sono piene zeppe di privilegi, a cominciare dal diritto di famiglia dove, nel 95% dei casi di separazione, si tengono figli e casa, mentre il marito è l’unico soggetto che può essere sbattuto da un giorno all’altro sulla strada. E pretendono da costui, ridotto a un bilocale al Pilastro, alla Garbatella, a Sesto San Giovanni, lo stesso tenore di vita di prima.
Non fan che provocare, sculando in bikini, in tanga, in mini (“si vede tutto e di più” cantano gli 883), ma se in ufficio le fai un’innocente carezza sui capelli è già molestia sessuale, se dopo che ti ha dato il suo cellulare la chiami due volte è già stalking, se in strada, vedendola passare con aria imperiale, le fai un fischio, cosa di cui dovrebbero essere solo contente e che rimpiangeranno quando non accadrà più siamo già ai limiti dello stupro. Basta. Meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe.
Da il Fatto Quotidiano del 27 marzo"
Feltri e noi
Che Vittorio Feltri l’abbia fatta grossa è fuor di dubbio: ha spacciato una lettera anonima sulla presunta omosessualità di Dino Boffo per un’informativa di polizia agli atti del processo all’ex direttore di Avvenire. Dunque la sanzione che gli ha inflitto l’Ordine dei giornalisti, sospendendolo per sei mesi dalla professione, è un atto dovuto. I sei mesi assorbono i due ai quali è stato pure condannato per aver seguitato a pubblicare gli articoli di Renato Farina, il giornalista-spia al soldo dei servizi segreti che a sua volta è stato radiato dall’Ordine e ha patteggiato 6 mesi di reclusione per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar, dunque è stato promosso deputato. Ma questa seconda sanzione, pur dovuta finché esiste l’Ordine, riguarda la burocrazia dei giornalisti e non i lettori (chi scrive è convinto dell’inutilità degli ordini professionali all’italiana, ma questo è un altro discorso). La prima invece può diventare un utile argomento di dibattito pubblico, ma a un patto: che Feltri non diventi l’unico capro espiatorio per una colpa – la pubblicazione di notizie false – che non può essergli addossata in esclusiva.
Intendiamoci: anche se davvero la polizia, esorbitando dai suoi compiti istituzionali, avesse compilato un’informativa sui gusti sessuali di un cittadino, Il Giornale avrebbe dovuto cestinarla: non basta che una notizia sia contenuta in un atto ufficiale per essere pubblicata. I giornali non sono discariche in cui riversare di tutto. E lo stesso vale per le intercettazioni: se un giudice, sbagliando, inserisce fra quelle depositate particolari privi di rilevanza pubblica e lesivi della privacy di una persona, il giornalista non li deve pubblicare. E, se li pubblica, la colpa è anche sua, non solo del magistrato (perciò Il Fatto non ha riportato i nastri su Angelo Balducci e i suoi amichetti).
L’idea che i giornali debbano pubblicare tutto, acriticamente, è folle. Eppure la condanna di Feltri lascia un retrogusto amarognolo. Siamo certi che basti una sanzione esemplare per salvare l’anima all’Ordine dei giornalisti? Sono anni, specie da quando il bipolarismo all’italiana ha ridotto la libertà di stampa a guerra per bande fra destra e sinistra, che si pubblicano notizie false su tv e giornali, e nessuno paga mai. La sanzione a Feltri segnala una svolta dell’Ordine? E’ un monito a tutti i falsari della penna che, d’ora in poi, non ce ne sarà più per nessuno? O è una tantum destinata a restare tale? Nel primo caso, l’Ordine potrebbe persino recuperare una ragione di esistere. Nel secondo, tanto vale annullare la condanna di Feltri e tirare innanzi. Qualcuno pagherà mai per avere raccontato che il primo governo Berlusconi cadde per l’invito a comparire sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza (in realtà crollò per merito di Bossi) e che il secondo governo Prodi cadde a causa dell’indagine di De Magistris su Mastella (in realtà Mastella lo rovesciò col pretesto dell’indagine di S. Maria Capua Vetere poi convalidata dai giudici di Napoli)?
Qualcuno pagherà mai per aver convinto milioni d’italiani (anche lettori di giornali "progressisti" o "indipendenti") che Andreotti fu assolto per mafia, mentre fu miracolato dalla prescrizione per il reato "commesso fino al 1980"? Scoprire che prescrizione non è assoluzione solo quando il Tg1 scodinzolino dà per assolto il prescritto Mills è troppo comodo. Prima di Mills sono stati gabellati per assolti, dunque innocenti perseguitati, i dirigenti prescritti della Juventus accusati di doping e il sei volte prescritto Berlusconi. E quand’è che Minzolini farà un editoriale per rettificare l’ultimo, in cui sosteneva di non essere indagato a Trani? Se, dopo Feltri, l’Ordine intende fare sul serio, benissimo: si scrivano poche regole chiare e comprensibili, che consentano a chi sbaglia in buona fede di rimediare al suo errore, e su chi non lo fa cali pure la mannaia dell’Ordine. In caso contrario, molto meglio procedere all’autoscioglimento di un ente inutile, anzi dannoso.
Da il Fatto Quotidiano del 27 marzo
Fotovoltaico gratis...
Facile farlo a Padova, nella cui provincia si concentra il 60% della produzione di pannelli fotovoltaici in Italia. Ma c’è comunque del merito nell’iniziativa del comune del capoluogo veneto che ha deciso di regalare un impianto per la produzione di energia solare a chiunque dei cittadini patavini ne faccia richiesta per l’installazione sul tette di casa. Una iniziativa possibile per una serie di fattori favorevoli.
...
Come funziona: basta chiamare un numero verde del comune di Padova, prenotare un sopralluogoper verificare la compatibilità tecnica e archiettonica del proprio tetto di casa, il Comune poi provvederà all’installazione eagli allacciamenti.
TrendyDigital WaterGuard, il case per iPad da vasca da bagno
Siamo in Primavera quindi mancano pochi mesi all’Estate. Se vi attendono giorni e giorni in piscina, o semplicemente vi piace rilassarvi nella vasca da bagno, ecco il case per il vostro futuro iPad.
Si chiama TrendyDigital WaterGuard e permette di riparare il tablet dall’acqua tramite la chiusura ermetica. La plastica esterna permette l’uso dello schermo multi-touch. Se vi interessa è su Amazon per 19,99 $, circa 15 €.
Articolo tratta da: Melamorsicata.it
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Apple rimbalza Snowtape, l’applicazione per iPhone che registra la radio
Negli anni ‘90 si usava ascoltare la radio e registrare i brani nelle musicassette. Questo stesso sistema è stato ripreso da un team tedesco portando allo sviluppo di Snowtape, un’applicazione per iPhone e iPod Touch. Il software permette di riprodurre le web radio in streaming, registrarne il contenuto, modificare la traccia per eliminare le parti in eccesso, applicare una copertina e confezionare il proprio file Mp3.
Peccato che Snowtape non vedrà mai la luce. Apple, infatti, ha espressamente vietato l’ingresso nell’App Store. Ufficialmente il motivo è nel fatto che i file confezionati sono trasferibili al computer via WiFi, pratica che secondo Steve Rea, responsabile delle relazioni con gli sviluppatori, non è ammessa. Pratica che in realtà il regolamento non vieta, tant’è vero che molti software permettono di registrare l’audio e passarlo nel computer via WiFi.
Ufficiosamente, invece, la verità è una sola: se una persona ha la possibilità di salvare Mp3 dalla radio nell’iPhone, ricorrerà all’iTunes Store per acquistare musica?
[via vemedio]
Articolo tratta da: Melamorsicata.it
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Ma Feltri, aiuta o danneggia il Popolo della libertà?
Feltri sospeso per sei mesi
dall'Ordine dei Giornalisti
"
Un salvataggio che non convince
Nella giornata di ieri è arrivato l’accordo franco-tedesco sulle misure di sostegno alla Grecia. E’ prevista un’azione “coordinata” tra Fondo Monetario Internazionale e singoli paesi europei, con prestiti concertati e concordati. L’aiuto scatterà solo in caso di “ultima spiaggia” per la Grecia, cioè di impossibilità a finanziarsi sui mercati. A nessuno è venuto in mente che in quel momento sarà troppo tardi, però.
Il prestito sarà a “tassi non sussidiati”, il che vuol dire a tassi di mercato correnti al momento dell’operazione. Vai alla osservazione precedente, con buona pace delle “condizioni medie di mercato” chieste da George Papandreou, che continuerà a incravattarsi a tassi tra 3 e 4 punti percentuali superiori a quelli tedeschi. Non si parla di espulsioni dalla Uem, come invece voleva la propaganda tedesca, anche perché sarebbe servito un trattato ad hoc. Pare poi che il FMI interverrà in quota minoritaria sul complesso del prestito, ma non è chiaro (almeno, a noi) se gli affidamenti bilaterali dei paesi europei (che avverranno pro-rata, in funzione della quota che ogni paese detiene nel capitale della Bce) saranno volontari oppure obbligatori.
Altri dilemmi: quale sarà il ruolo del FMI? Fornirà parte dei fondi e obbedirà alle direttive europee, pur avendo propri protocolli di intervento? Ma in quest’ultimo caso, da chi proverranno tali direttive? E il FMI, che tipo di expertise metterà visto che, “classicamente”, l’istituto guidato da Dominique Strauss-Kahn lavora con paesi che hanno un cambio liberamente fluttuante? C’è anche un aspetto di onere finanziario: se la fornitura di finanziamenti avverrà per ogni paese europeo, pro-rata, l’onere per puntellare la Grecia sarà complessivamente esiguo. Il problema vero è un altro: e se altri paesi finiranno col trovarsi nelle condizioni greche, quanti minuti potrà durare questo framework di salvataggio? E di quanti fondi aggiuntivi avrà bisogno la Grecia, che dalla manovra del 3 marzo otterrà un crollo del Pil del 4 per cento quest’anno (stime degli analisti di Deutsche Bank, ogni settimana che passa più realistiche) e non una lieve contrazione dello 0,8 per cento, quella contenuta nel programma di stabilità che il governo di Atene ha presentato alla Commissione europea?
Il vero problema è la crescita: se la congiuntura si riprenderà, forse i paesi fiscalmente più fragili potranno portare a casa la pelle. Diversamente, prepariamoci a tempi durissimi. Alla fine, ha ragione il vice-governatore della banca centrale cinese, esponente del paese che è rapidamente diventato il primo creditore mondiale, e che per questo motivo sta perdendo il sonno:
“La Grecia è solo un caso, ma è solo la punta dell’iceberg. Il principale timore oggi ovviamente sono Spagna e Italia”
Ovviamente.
"
Però in Rai c’è la par condicio
Questa è la tabella ufficiale dell’Agcom che riassume lo spazio dedicato ai diversi “soggetti politici” dal Tg1 nel periodo tra il 14 e il 20 marzo;
"
La falsa simmetria e le elezioni di domani
Oggi il Corriere della Sera titola beatamente: “Duello Berlusconi-Bersani”. Così, come se fossimo in una normale democrazia occidentale: duello Obama-McCain, duello Cameron-Brown.
Vero niente: ieri, ultimo giorno di campagna elettorale, non c’è stato alcun duello. Si sa: Berlusconi non l’ha voluto.
Quello che è successo nelle ultime ore invece è stata un’invasione feroce da parte del premier di tutte le tivù a sua disposizione, pubbliche e private. Una serie di “interviste” in ginocchio, dove le domande erano (cito da quella di Studio Aperto): «Perché lei ha raccomandato ai moderati di non disperdere il voto?» «Faccia un appello ai giovani: perché dovrebbero votare Pdl?».
E lui, presentandosi su sei diversi tg, ha lanciato un messaggio chiaro: «Il governo aiuterà le regioni governate dal centrodestra a creare ricchezza e lavoro». Non è nemmeno più campagna elettorale: è un ricatto.
Insomma, tanto il metodo quanto il merito dell’invasione di campo finale basterebbero, se fossimo gente irosa e irrazionale, a boicottare queste elezioni birmane: semplicemente perché non sono fair.
Invece no. Invece no per tanti motivi.
Primo, perché non si rinuncia mai allo spazio democratico di cui si dispone. Anche quando è ridotto, anche quando è stuprato dalle scorrettezze dall’avversario. Abbiamo questo spazio di democrazia, usiamolo. Nonostante le balle spudorate e le invasioni di campo. O forse anche per quelle, proprio per quelle. Questo spazio abbiamo – il voto di domani – e questo spazio possiamo usare. Facciamolo.
Secondo, perché altri mezzi non ce ne sono. Semplicemente non ce ne sono, né accettabili per chi ha un’etica nonviolenta né fruttiferi per chi quest’etica non la condivide. C’è solo quello, il voto, e quello va usato.
Terzo, perché se ha infranto così clamorosamente le regole è perché forse ha un po’ di paura. Lo sa anche lui, aldilà delle bufale che rifila, quello che è successo nei due anni in cui ha governato: che non ha prodotto nient’altro che una lunga teoria di leggi per se stesso e qualcuno, fuori, inizia ad accorgersene. Così come sa benissimo che piazza San Giovanni è stato un flop, che il Pdl è una guerra per bande tra cortigiani, che se non ci fossero i suoi soldi il castello sarebbe già crollato. Così come sa che i sondaggi degli ultimi giorni non sono più buoni come un mese fa.
Ed è per questo attacca così furiosamente. E’ per questo che alza l’asticella delle promesse oltre ogni limite – guariremo il cancro entro la fine della legislatura! – ed è per questo che invade in uno stesso giorno sei canali, lui che non ha nemmeno mezz’ora per presentarsi in tribunale.
E’ nervoso, e già questo è uno straordinario motivo per togliergli ultimamente il buon umore, domani, alle urne.
"Clima. Europa pazza, Italia pirla
Con un colpo di mano, la possibilità di alzare dal 20 al 30 per cento il target di riduzione delle emissioni europee entro il 2020, dopo essere uscita dalla porta notturna, rientra dalla finestra mattutina. Ordinaria cronaca di un’incredibile giornata negoziale a Bruxelles, dove oggi si conclude la sessione di primavera del Consiglio europeo. Se la questione di maggior interesse è, ovviamente, l’accordo franco-tedesco sul salvataggio della Grecia, un tema non marginale riguarda appunto le politiche del clima. L’Italia non voleva questa clausola. L’Italia era riuscita a toglierla dalla dichiarazione conclusiva del vertice. L’Italia poi si è voltata dall’altra parte. L’Italia, infine, senza accorgersene ha votato contro se stessa.
Quello che è successo è da manuale dell’idiozia politica. E pensare che le cose si erano messe bene. Grazie anche al presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, la bozza di dichiarazione conclusiva concordata ieri notte non conteneva alcun accenno all’aumento del target, come riferiscono fonti vicine al dossier. La logica è semplice: nel pacchetto energia e clima, approvato alla fine del 2008 dopo una lunga trattativa di cui l’Italia era stata uno dei protagonisti, prevedeva la possibilità di passare dal 20 al 30 per cento se si fosse trovato un accordo globale in tal senso (sottinteso: a Copenhagen, dicembre 2009). A Copenhagen è andata come è andata: quindi, tutto in vacca. Nota non banale: a mandare tutto in vacca è stata, principalmente, l’indisponibilità dei due attori cruciali, cioè la Cina (di cui mi sono occupato qualche giorno fa) e gli Stati Uniti (dove il presidente, Barack Obama, ha investito l’intero suo capitale politico sulla riforma sanitaria e neppure si sogna di piagare i contribuenti con iniziative verdi).
Nonostante ciò, alcuni Stati membri hanno deciso di tentare la carta dell’aumento unilaterale, determinando una frattura in seno all’Europa che si è ricomposta solo, duramente, ieri notte. Tutto bene? Macché. Perché nessuno aveva fatto i conti con la fessaggine negoziale che storicamente contraddistingue il nostro paese. Il Cav. ha pensato bene che la chiusura della campagna elettorale doveva avere la precedenza sulla sua presenza al Consiglio Ue. Nessuno, purtroppo, deve avergli spiegato che, secondo il trattato di Lisbona, un primo ministro assente non può delegare un suo ministro, ma deve per forza farsi rappresentare dal presidente del Consiglio europeo.
Accade così che l’Italia venga rappresentata da Herman van Rompuy. Magari non sta bene, ma nella cosa in sé non ci sarebbe nulla di male. Non ci sarebbe nulla di male se ci si ricordasse di istruire il rappresentante sulle posizioni che il rappresentato vuole che siano, appunto, rappresentate. In assenza di istruzioni, van Rompuy ha fatto di testa sua (chi avrebbe fatto diversamente?) e ha dunque accettato, a nome dell’Italia, l’inserimento del seguente fraseggio:
the EU is committed to take a decision to move to a 30% reduction by 2020 compared to 1990 levels as its conditional offer with a view to a global and comprehensive agreement for the period beyond 2012, provided that other developed countries commit themselves to comparable emission reductions and that developing countries contribute adequately according to their responsibilities and respective capabilities.
E’ una formula abbastanza standard e non avrà gravi conseguenze politiche. Forse non ne avrà nessuna. Però, intanto, una notte di fatica è andata in fumo, visto che viene ancora una volta alimentato l’equivoco, dando agli estremisti l’appiglio per sostenere le loro tesi. E poi, ancora una volta il nostro paese non ha perso l’occasione di dimostrare di che pasta è fatto.
"
Uno, nessuno, un milione
A far notare che l’immagine delle istituzioni è forse nel punto più basso della sua storia, in periodi come questo, si rischia di passare per noiosi. Correrò il rischio. Anche perché goccia dopo goccia, schifo dopo schifo, siamo davvero allo sfascio di ogni baluardo di riferimento, all’inasprimento pressoché definitivo di ogni conflitto istituzionale, alla delegittimazione progressiva degli ultimi basamenti un tempo ritenuti intoccabili come la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica: questo per fermarsi alle tappe finali. Non è che tutto può succedere: succede già.
Il paventato clima incivile si è spalmato su tutto. Il capo dello Stato è finito sulle magliette viola e ci sono ex magistrati falliti e sgrammaticati che gli danno del piduista senza che ormai succeda nulla: solo un anno fa sarebbe stato impensabile. E mentre la Rai tace per l’allucinante abrogazione dei talkshow (contribuendo a un clima sempre più surreale) noi dovremmo convincerci che tutto questo, questa guerra santa urlata sulle macerie delle istituzioni, sia in realtà solo il travestimento di una banale campagnetta elettorale per eleggere un tizio in Basilicata o in Lombardia. Ma non è così, è il contrario. C’è uno Stato che si sta sfasciando e ci sono loro che pensano solo alle regionali.
La verità è che queste elezioni regionali sono una iattura, fanno solo perdere un sacco di tempo e contribuiscono mortalmente al mantenimento di quel perpetuo clima elettorale che ha trasformato questo Paese in un’arena. Anche perché, dopo le europee del giugno scorso e queste regionali, presto o tardi seguiranno altri imperdibili giri di boa (qualche test amministrativo nelle grandi città) e tutto tornerà a congelarsi esattamente com’è ora, col governo fermo chissà perché, i giornalisti ipersensibili a ogni sciocchezza, il Paese virtuale avviluppato in una tensione artificiosa che il Paese reale non percepisce per niente. Occorrerebbe conglobare tutte le elezioni in uno stesso periodo e chiuderla lì, mica pretendere di contaminarci ogni venti minuti coi germi di chi è malato di politica e la vive come un torneo. Ogni ragionamento sui tassi di astensionismo deve partire da questo: dall’impossibilità, anche fisica e psicologica, di ritenere credibile chi di punto in bianco riparla di comunismo e di fascismo quando il problema è governare la Campania o la Lombardia. Ieri un neo sottosegretario – non lo nominiamo – ha detto che «Bin Laden e i terroristi sarebbero contenti se alle regionali vincesse la sinistra». Ha ragione, Bin Laden non pensa ad altro. Anche Obama, dicono, non riesce a prendere sonno. Finalmente un tema concreto. Di corsa a votare.
(Libero 19 e 20 marzo)
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Torti e regioni
Perché i consiglieri regionali del Lazio vanno in pensione a 55 anni e quelli del Piemonte a 65?
Perché il presidente della Calabria – regione in fondo a ogni classifica degli sprechi – guadagna 13mila euro al mese mentre il presidente dell’Umbria solo 7mila?
Perché i consiglieri calabresi vanno in pensione col 40 per cento dello stipendio
mentre i consiglieri pugliesi col 90?
Perché alcune regioni pagano un’indennità di fine mandato di una mensilità all’anno mentre altre regioni pagano il doppio?
Com’è possibile che la Lombardia abbia 0,35 dipendenti pubblici ogni mille residenti e che il Molise ne abbia 2,6?
E come mai il Lazio ha 130 dirigenti pubblici ogni mille residenti mentre il Piemonte solo 62?
Com’è possibile che in Umbria i morti sul lavoro sono calati del 54 per cento mentre in Basilicata sono cresciuti dell’80?
Com’è possibile che i piani casa regionali abbiano smantellato il piano casa di Berlusconi?
Perché la Toscana ha approvato un suo piano casa in soli 37 giorni?
Perché la Calabria non l’ha ancora approvato dopo 330, pur essendo la regione più veloce d’Italia nell’approvare i provvedimenti?
E’ vero che a Crotone ci vogliono 720 giorni per un eco color doppler?
E 1080 giorni per una protesi all’anca?
Ma soprattutto: perché in questi giorni non si parla di queste cose ma solo di numeri della questura, duelli tv, ora l’aborto?
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Che cosa ci siamo persi
Michele, anzi, «Mighele» come ti chiamerebbe uno qualsiasi dei tuoi indignati speciali: fattelo dire, hai perso un’occasione storica. Tu lo sai che io scrivo questo articolo malvolentieri, lo sai che sono uno di quelli che ha sostenuto a gran voce che la sostanziale abrogazione dei talkshow non solo era grave, era gravissima, era una sciocchezza siderale che toglieva definitivamente la maschera al concetto di informazione di buona parte della nostra classe dirigente: ossia politica, politica e solo politica, il loro salottino virtuale a gettone, qualcosa che senza di loro tutto sommato non ha e non aveva ragione d’essere. Certe volte avrei quasi voluto, in questo marzo sospeso, che accadesse magari una calamità, un altro terremoto, un attacco di Al Queda: tanto per vivere la contraddizione demenziale di un Paese che aveva sospeso, frattanto, gli approfondimenti informativi: e solo perché si deve votare in Basilicata o in Piemonte.
Ma l’informazione non è solo politica e ciarleria, non è solo una par condicio tra sciocchezze e contro-sciocchezze che non lasceranno traccia: è il racconto di ciò che succede e che succede comunque, è qualcosa che non sempre puoi racchiudere in telegiornali che dal quinto minuto in poi già ti propinano ricette di cucina o filmati a sensazione tratti da youtube. Pensa a che cosa avresti potuto fare, Michele: dare una lezione a tutti, confezionare un Annozero ineccepibile che facesse comprendere che l’informazione non è rinunciabile, si può e si deve fare sempre, avresti potuto fare una ricca e preziosa trasmissione di servizio – non ho detto pallosa: utile, intendevo dire – che dimostrasse che lorsignori hanno torto, che l’informazione serve, che si poteva parlare di cento cose e perché no, magari anche delle regionali, visto che in concreto non l’ha fatto nessuno, non l’ha fatto neanche chi avrebbe potuto. Perché in questo periodo si è discusso di Tar, della risibile inchiesta di Trani, di numeri e contro-numeri e manifestazioni e contro-manifestazioni, persino dell’aborto e di pedofilia: ma di temi regionali mai.
E poi arrivi tu, che potevi vincere facilissimo. Potevi fare tutto quello che volevi, potevi imporre quella par condicio naturale che ogni vero giornalista dovrebbe portarsi dentro: invece hai rafforzato i pregiudizi di tutti e hai risvegliato i fantasmi di chi ti considera solo un malcelato arruffapopolo. Ora chi aveva dubbi, anche nel centrodestra, è straconvinto che non mandarti in onda sia stato il minimo, anzi un dovere, un pericolo mancato. Lo so benissimo che hai invitato i vari Cornacchione e Luttazzi e Venditti e Morgan perché avevi un pubblico stra-fidelizzato, schierato, antipolitico, grillino, insomma composto da tutto – pare – fuorché abbonati della Rai. Hai una fatto una scelta di mercato: hai commisurato il linguaggio – perché contenuti quasi non ve n’erano – all’avanguardia/retroguardia che vive di internet, satellite, digitale terrestre, radio e tv in diretta streaming, blog, social network, maxischermi da guardare in allegria e con la birra in mano. E l’applauso scattava automatico. Ma il messaggio veicolato a tutti gli altri – il pubblico vero, pesante, quello che la politica voleva impedirti di influenzare – può aver recepito soltanto una spaventosa parata circense, il tuo peggio, con te che ormai interloquivi direttamente col presidente della Repubblica e sermoneggiavi e ti auto-martirizzavi, e poi uno come Luttazzi con le sue turbe sodomitiche e le sue coprolalie infantili, e il solito Travaglio borderline, e il grande Benigni che sembrava un comico usato, e Floris e Lerner un filo imbarazzati perché l’asticella dell’informazione era ormai troppo alta, anzi, forse non c’è neanche più. Se mancavano Grillo e Di Pietro è solo perché erano sotto elezioni coi rispettivi partiti, avrebbero fatto comizi e non informazione: tu invece che hai fatto, Mighele? Dimmi che quella era informazione. Provaci.
Non è vero che Annozero regala solo voti a Berlusconi: ma un Luttazzi secondo il quale «odiare i mascalzoni è cosa nobile», dimmi, a chi fa un favore? E tu che adombri la P2 dietro la nascita di Mediaset, dimmi, che fai? Servizio pubblico?
Ieri ti è scappata questa, Mighele: «Noi dobbiamo essere ascoltati«. No, guarda, il diritto al nostro ascolto «voi» non l’avete. Avete la facoltà di provarci negli spazi che il mercato vi offrisse. In Rai, se vuoi restarci, devi fare un’altra cosa. Tu sai farla. Non sempre la fai. Ieri, per esempio, non hai detto nulla, ma l’hai detto malissimo. Che delusione, Mighè. Che buffonata.
(Libero, 27 marzo 2010)
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Elezioni (oops.... corse di cavalli) (2)
Puglia:
Ippodromo di Nancy
Palesenne in grande difficoltà in questa corsa sul miglio e Fan Vendol in deciso spolvero. Il campione uscente chiude il giro in 48.1'' lasciandosi alle spalle lo stanco puledro azzurro che non va oltre un modestissimo 42 netto sul miglio. Sempre terza la cavalla centrale Ipson de Borton che ormai pare stabile a quota 9''.
Ippodromo di Frizzy
E' certamente una pista più favorevole a Palesenne che infatti chiude la gara con soli due secondi di ritardo. Fan Vendol fa segnare un discreto 46'' ma il cavallo azzurro non demorde e finisce a due incollature dal rivale. Sempre a quota nove, la centralissima Ipson de Borton.
Campania:
Il cavallo azzurro Caldenne è il grande favorito e vince abbastanza in scioltezza, tagliando il traguardo in 50'' netti e lasciandosi dietro sia Fan DeLuc fermo a 44'' che General Ferrer che non riesce ad andare oltre un poco soddisfacente 2.7''.
Le squadre a sostegno di Caldenne fanno segnare un ottimo 52.1, mentre i sostenitori di Fan DeLuc annaspano a 42.1'' al miglio.
Lazio:
Ieri, in ogni caso, all'Ippodromo di Frizzy si è svolta un'importante gara di riscaldamento, che ancora una volta si è risolta al photofinish. Ricordiamo che, nella media delle ultime prestazioni sul miglio, Fan Bonin poteva contare su un vantaggio nel confronti di Polverenne di poco superiore alla singola lunghezza (1.2" per la precisione), ma che la cavalla azzurra - dopo un avvio di stagione stentato - aveva sempre fornito buonissime prestazioni all'Ippodromo di Frizzy. E non si è smentita neppure questa volta, staccando la rivale rossoverde di una lunghezza e mezza e tagliando il traguardo in 49.8" contro il 48.3" della rivale, che ormai molti vedono come favorita d'obbligo dopo la squalifica della scuderia principale di Varenne.
Elezioni (1) : Iraq
Tomorrow morning, the final results of the parliamentary election in Iraq will be announced. As it stands now, at least 9 coalitions will earn seats, and no clear leading party. With about 95% polling stations having reported, Iraqi Prime Minister Nouri Al-Maliki's State of Law coalition has about 25.8 percent of the national vote, while challenger Ayad Allawi's Iraqiya list holding just barely more, with 25.9 percent nationally.
As we previewed back in January, several major fault lines in Iraqi society are made clear through the political polarization. "Moderate" Shia voters, many associated with leading cleric Ali al-Sistani have generally voted with the State of Law coalition. More radical Shia voters, mostly from the southern Baghdad slums and south eastern border provinces with Iran, have tended toward the National Iraqi Alliance, who are headlined by the populist junior cleric Moqtada al-Sadr (known better for his well-armed militia than his Islamic learning).
venerdì 26 marzo 2010
Bosch opens billion-dollar wafer fab
Apple guadagna, grazie al Mac
Quest'ultima strategia starebbe però perdendo efficacia. Whitmor fa notare come Toshiba e Sony, visti gli scarsi introiti maturati negli ultimi tempi, potrebbero essere i primi big a dare l'addio al mercato dei computer, un settore dove attualmente è la triade composta da Hp, Apple e Dell a dettare i tempi.
Internet Explorer 6 e 7 sotto attacco
made in spinoza
L’Agcom multa il Tg1. Per pubblicità ingannevole.
Da Italia Oggi - Alfano: via le lenzuolate
«Intendo convocare dopo la pausa pasquale gli stati generali dei professionisti italiani , che rappresentano oltre 2 milioni di partite Iva, per rimuovere dalla legislazione italiana tutte quelle norme introdotte con Bersani; le sue lenzuolate, con il finto intendimento di proteggere i cittadini, hanno solo penalizzato tutti i professionisti italiani».
Lo ha detto il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ieri pomeriggio a Sulmona. Secca la replica dell'ex ministro dello sviluppo economico Pierluigi Bersani: «L'intento del ministro e un'indietro tutta»
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1650111&codiciTestate=1
E tutti noi che temevamo il governo "iper-"liberista, delle mani libere.. ^_^.
giovedì 25 marzo 2010
Almeno un po’, fatela soffrire
Ieri il consiglio superiore della Sanità, organo del Ministero della Salute, ha deciso che in Italia la Ru486 si potrà prendere solo in ospedale, con un ricovero.
«Quindi, nel nostro Paese – diversamente da ciò che normalmente accade da anni in tutti i paesi della Ue (con l’eccezione dell’Irlanda e del Portogallo), negli Usa e in Canada – si autorizza una pillola che ha come funzione quella di evitare un gravoso ricovero ospedaliero, ma se ne vincola l’uso al ricovero ospedaliero: Con l’incredibile paradosso che la donna che abortirà chirurgicamente lo potrà farà in day hospital, mentre quella che avrebbe preferito evitare il bisturi e inghiottire una pillola lo dovrebbe invece fare restando chiusa in ospedale – senza motivo e con evidente stress psicologico – per almeno tre giorni». (Minerva-Fassari)
Oggi la Cei ha ringraziato: schierandosi contro Emma Bonino e Mercedes Bresso, invitando a votare in Piemonte e Lazio i candidati di Berlusconi.
Nel documento scritto da Bagnasco si fa riferimento preciso all’interruzione di gravidanza, e si sottolinea che «la Ru486 banalizza l’aborto perché l’idea di pillola è associata a gesti semplici, che portano un sollievo immediato».
Cei e centrodestra, belli uniti per impedire alle donne che vogliono interrompere la gravidanza di diminuire la loro sofferenza.
"Il miele climatico sulla lingua biforcuta del Dragone
La concorrenza sleale, spiega Wikipedia, è “l’utilizzo di tecniche e mezzi illeciti per ottenere un vantaggio sui competitori o per arrecare loro un danno“. Manca, però, una parola per definire il comportamento di chi si fa concorrenza sleale da sé: se uno diffonde sul suo conto informazioni calunniose, con chi può prendersela se non vende più i suoi prodotti? Paradossalmente, è proprio questo che l’Unione europea sta facendo nel delicato gioco climatico. Lo hanno capito benissimo i cinesi (mentre in tutte queste schermaglie gli americani stanno alla finestra, al momento). Tant’è che l’evoluzione della posizione di Pechino suona molto da presa per il culo di Bruxelles. Solo che Bruxelles non se ne accorge.
Ieri il direttore generale del dipartimento clima della Chinese Development and Reform Commission, Su Wei, ha incontrato la commissaria europea per l’azione climatica (si chiama davvero così!), la danese Connie Hedegaard, una delle principali responsabili del fallimento di Copenhagen (grazie, Connie). Cosa ha detto? Racconta EurActiv:
“The EU wants to maintain a leading role and it should maintain it,” said Wei. “But it should do so under the Bali roadmap,” he added, stressing that China has always favoured a dual-track negotiation process whereby rich countries maintain under the Kyoto Protocol their legally-binding emission reduction commitments and other countries make comparable efforts along the UNFCCC track.
Traduco liberamente:
L’Europa è liberissima di inseguire la sua fola climatica, così indebolirà la competitività dei suoi prodotti sui mercati internazionali. Se poi, inasprendo sempre più le sue politiche, riuscirà a indurre le industrie energivore a delocalizzare, tanto meglio per noi. Quindi, noi appoggiamo con grande convinzione ogni sforzo europeo volto a salvare il mondo, purché nessuno ci chieda di fare lo stesso. Infatti, noi continueremo per la nostra strada, perché lo sviluppo è l’obiettivo prioritario, specie in un momento cruciale come quello attuale in cui il rimescolamento di carte dovuto alla crisi può favorire ancor più la Cina.
Mosso a compassione per l’evidente incapacità della Hedegaard di cogliere implicazioni e sottintesi, Su ha concesso che l’Europa
should go up to 30% but not before the US states its target.
Per rivestire di fervore verde le sue posizioni (qui bene illustrate), Pechino continuerà anche quest’anno a ribadire l’impegno proposto a Copenhagen, di ridurre del 40-45 per cento la sua intensità carbonica (che è cosa ben diversa dalle emissioni, oggetto degli sforzi europei di riduzione, in quanto esprime le emissioni per unità di Pil). Se solo si presta attenzione ai dati, i cinesi hanno proposto nulla di più di quello che accadrebbe comunque (anzi, si sono tenuti sul lato della sicurezza). Il seguente grafico mostra l’andamento dell’intensità carbonica nel 1980-2006 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili), il trend attuale, e due scenari di riduzione del 40 e del 50 per cento dell’intensità carbonica rispetto al 2005.
Senza parole.
"
Il bando agli Ogm ci costa miliardi. Le stime dell’USDA
L’United States Department of Agricolture ha stilato un rapporto sulla nostra agricoltura che già dal titolo è tutto un programma: The financial cost to corn growers of Italy’s ban on biotechnology. Questo è un breve estratto dalla presentazione:
Italian conventional corn growers lose an estimated €175 to €400 per hectare because they are not allowed to grow Bt corn, resulting in total annual losses of €150 million to €350 million. Since 1998 the total loss to Italian farmers due to the prohibition on Bt corn alone is estimated at €2.4 and €5.1 billion. Farmers of conventional crops have lower profits because of higher pesticide costs and lower yields due to pest damage.
The Council of State’s recent ruling in favor of Futuragra, the pro-biotech farmers’ association that brought the Ministry of Agriculture to court over its ban on the cultivation of biotech crops in Italy, threw into relief the financial implications of prohibiting biotechnology. By using conventional seeds, Italian farmers lose millions each year from unnecessary pesticide costs and crop damage.
Ma il nostro Ministero delle Politiche Agricole ha, evidentemente, altre informazioni ed altri consulenti, se il ministro Zaia ha deciso comunque di opporsi in ogni modo alla sentenza del Consiglio di Stato.
Un’ultima annotazione (ad uso di coloro che ritengono di rappresentare gli interessi degli agricoltori): se l’USDA stima che ogni anno le perdite per ogni ettaro di mais convenzionale in Italia si aggirino tra 175 e 400 euro, lo stesso ettaro di terra riceve una cifra oscillante tra zero e 360 euro l’anno circa di sussidio.
(Grazie a BBB per la segnalazione)
"
Il 70% degli sviluppatori abbraccerà Android entro 6 mesi
Gli sviluppatori per dispositivi mobili saranno sempre più orientati verso Android. E’ questa la conclusione di un’indagine svolta da AdMob, una società di vendita di spazi pubblicitari nei cellulari acquistata da Google qualche mese fa. Aumentano coloro propongono le loro applicazioni su più piattaforme.
Se prima il baluardo per eccellenza era l’App Store, però, adesso l’Eldorado sembra Android che vedrà un numero di dispositivi disponibili sempre maggiore. Bisogna evidenziare che nell’App Store ci sono 170.000 applicazioni e nell’Android Market solo 30.000, quindi la tendenza è giustificata dalla necessità degli sviluppatori di aumentare il canale distributivo.
[via AdMob]
Articolo tratta da: Melamorsicata.it
Il 70% degli sviluppatori abbraccerà Android entro 6 mesi
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mercoledì 24 marzo 2010
Il costo della Casta
Via le malignità. Basta con le cattiverie. Stop al qualunquismo. Anche in Italia c’è un posto di lavoro dove le regole di sicurezza vengono rispettate. Tutte. E non esistono morti bianche. Guarda un po’. Dove è disponibile un medico; dove la mensa non serve piatti vecchi o riciclati. Anzi, vengono effettuati continui controlli sanitari. Dove anche la cura dell’immagine diventa un valore, pari a 307 mila euro l’anno di foto. Sì, esiste, basta farsi eleggere alla Camera dei Deputati, piazza Montecitorio, Roma. Quindi ecco uno stipendio di quasi 20 mila euro al mese, altri 7 mila per i collaboratori, 2 mila per i viaggi e 5 mila per un affitto. Più tanto, tanto altro.
Per scoprirlo è stato necessario lo sciopero della fame di Rita Bernardini, deputata radicale, tenace nel mettere alle corde i tre questori della Camera ("riluttanti a consegnare quanto richiesto, nonostante il regolamento", racconta la stessa) e a strappare l’appoggio del presidente della Camera "che mi ha scritto: 'Sarà lo sciopero della fame più breve della storia. Domani avrai quel che chiedi, giustamente. Con stima Gianfranco Fini'".
Così è stato. Ed ecco consegnata al popolo una lista lunga 17 pagine, con su scritti tutti i fornitori, i servizi erogati e i prezzi pagati. Risultato? I radicali quantificano in altri 9.000 euro al mese il costo impiegato per ogni deputato "nemmeno al Grand Hotel un ufficio costerebbe così tanto!" incalza la Bernardini. Ecco alcune delle voci: quasi 7 milioni di euro per la ristorazione, comprensivi anche del "monitoraggio alla qualità dei servizi" (126 mila euro); oltre 600 mila per il noleggio delle fotocopiatrici; 400 mila per "agende e agendine", 292 mila per la somministrazione cartoncini, carte e buste personalizzate, 300 mila per i corsi di lingue.
Fino al vero "gruzzolo", composto da oltre 51 milioni per le locazioni: "Sono gli uffici a disposizione per ognuno di noi – continua la radicale. Sono dislocati attorno a Montecitorio, e lì abbiamo a disposizione tutto quanto è necessario". E di più, ancora. "Non solo, dentro il personale svolge lo stesso ruolo dei commessi della Camera, ma con uno stipendio, e benefit, decisamente inferiori: 800 euro al mese. Li vedo arrivare la mattina presto vestiti con tuta e armati di strofinacci per le pulizie. Quindi si cambiano, indossano gli abiti ufficiali, ed ecco la rappresentanza. Assurdo. Soprattutto perché gli uffici vengono utilizzati pochissimo".
Già, la Camera lavora tre giorni la settimana, dal martedì al giovedì, e molti deputati arrivano da fuori, quindi non restano a Roma durante il periodo di inattività. Comunque, protagonista alla voce "canone di locazione" è la società Milano 90 srl, con ben quattro lotti assegnati per la cifra complessiva di circa 45 milioni. "Fa capo all’imprenditore Scarpellini, prosegue la Bernardini. È un costruttore romano, impegnato nella realizzazione di un quartiere alla Romanina e dello stadio della Roma calcio. Ah, comunque, le posso dire anche un’altra cosa: i lavoratori suddetti, nonostante lo stipendio da fame, sono segnalati dai partiti stessi. Insomma, c’è una sorta di lottizzazione. Nella lista consegnata ci sono anche altre voci interessanti".
Vero. Sotto la categoria "manutenzioni" finiscono le punzonatrici: per la loro efficienza, solo per quella, la cifra è di quasi 4 mila euro; o 99 mila per l’arredo verde dei terrazzi, giardini e cortili. E ancora un milione e 200 per le tappezzerie e falegnameria. Nonostante tutto questo "il bilancio della Camera – conclude la deputata radicale – è omertoso, l’ho detto in aula e lo ripeto: in virtù del principio di autonomia costituzionale, la Camera è esente da qualsiasi controllo contabile e gestionale esterno". "Il controllo interno – ricordano i Radicali in un documento – dovrebbe essere esercitato dai questori (...) supportati dal Servizio per il controllo amministrativo, gerarchicamente subordinato al segretario generale, cioè al soggetto che dovrebbe essere controllato. Dunque è lecito dubitare della reale efficacia della funzione di controllo, comunque esclusivamente formale, dato che l’assenza della contabilità analitica non permette di istituire controlli sull’efficienza e l’efficacia della gestione".
Un giro di parole per dire, semplicemente, che chi detta le regole, si giudica; chi emette o assegna un lotto, si auto-controlla. Chi ci guadagna, invece, sorride.
Da il Fatto Quotidiano del 24 marzo
L'Aquila: propaganda elettorale shock
Nelle cassette della posta del Piano C.A.S.E. all’Aquila è comparso questo volantino. Che è uno degli esempi di come si faccia comunicazione-shock in un’area emergenziale. Le 17mila persone che hanno avuto gli appartamenti del piano C.A.S.E. ricevono in prima persona la campagna elettorale del premier e del suo PdL. Una campagna personalizzata e impietosa, che specula, una volta di più, sulla facciata positiva e buona del Governo del Fare. Ricordiamo ancora una volta cosa significhi, all’Aquila, "aver fatto". Punto primo. “Fare”, durante un’emergenza, è un dovere, non un favore. Le case del Progetto C.A.S.E., imposte dall’alto con decreto, pensate pochi giorni dopo il terremoto e formalizzate il 28 aprile 2009, sono in comodato d’uso; sono costate più o meno 2700 euro al metro quadro; sono state costruite in deroga a vincoli urbanistici e leggi sugli appalti; sono temporanee nell’assegnazione agli sfollati ma permanenti quanto a consumo del territorio; sono state gestite e costruite secondo la logica dell’emergenza e dell’urgenza e dell’indifferibiità dei lavori proprie della Protezione Vivile; hanno visto – come relazionano i Servizi Segreti in parlamento il primo marzo, come scrivono su Terra, come sosteneva da mesi il giornalista di Libera Angelo Venti su Site.it - il forte interesse delle ditte mafiose o con rapporti con la mafia; sono state sbandierate ai quattro venti, con numeri falsati e gonfiati; nascono come “non luoghi”, in quanto non integrati nel tessuto sociale, economico e paesaggistico; 4 siti su 19 scaricano (o perlomeno hanno scaricato per mesi) le acque scure nel fiume Aterno; genereranno all’Aquila un sovradimensionamento abitativo di circa 4500 appartamenti. Il tutto in una città di settantamila abitanti. Un vero e proprio patrimonio da gestire e a rischio fallimento.
Ma nel frattempo, le case del progetto C.A.S.E. vengono anche utilizzate per la facciata governativa: fuori dall’Aquila, per mostrare quanto sia forte questo governo del fare. Dentro l’Aquila, vengono usate per riscattare il “dovuto” ringraziamento da parte di chi ha avuto le C.A.S.E. Con il voto. Esattamente come Denis Verdini, coordinatore del PdL indagato per l’inchiesta sul sistema gelatinosi, chiedeva il ringraziamento degli Aquilani in piazza alla manifestazione del PdL. Il confronto, poi, con l’Umbria e le Marche del 1997, è ridicolo e continua a non tener conto del fatto che con minor tempi e minor costi si poteva dare alle persone una sistemazione provvisoria che le rendesse attive per la propria ricostruzione. Senza usare i container del 1997, ma utilizzando Moduli Abitativi Rimovibili.
Infine. In Umbria i Sindaci e gli enti locali e i cittadini sono stati i veri protagonisti della ricostruzione. Per ricostruire, in sicurezza, com’era e dov’era. Con il volantino, cala il sipario: è l’ultimo attto dell’operzione mediatica sull’Abruzzo, è un volantino che ha il sapore della propaganda a ogni costo, anche sulle vite altrui. E forse anche della beffa, per gli sfollati che sono strumento e oggetto di pubblicità.
Da shockjournalism.com
"NON SIAMO NOI A DOVERCI VERGOGNARE. Per tutti quelli che non hanno avuto la mia stessa sorte.Per le tasse, che torneremo a pagare al 100% ad un anno dal terremoto...". Vai al blog di Federico D'Orazio
Aggiornamenti ORE 18.00 : (Ansa) La giunta regionale dell'Umbria ha deliberato di dare mandato al proprio ufficio legale "per denunciare il Pdl dell'Aquila per falso e danno all'immagine della Regione Umbria". "Ciò perché - spiega un comunicato della Regione Umbria - ad opera del Pdl dell'Aquila sono in distribuzione cartoline elettorali comparative che mostrano l'immagine di terremotati umbri ancora oggi nei container. L'eventuale risarcimento danni che dovesse essere riconosciuto sara' devoluto a favore delle popolazioni terremotate dell'Abruzzo"
VIDEO: Strumentalizziamoci. Un filmato sulla rimozione delle macerie del 14 Marzo 2010 di Luca Cococcetta
Mozilla: Firefox 3.6 ha un buco
Bill Gates investe sul futuro del nucleare
Quante spese per gestire una camera...
"Open Camera": I conti segreti della Camera dei Deputati resi "liberi"
Questi dati sulle collaborazioni e le consulenze della Camera dei deputati vigenti al 1° gennaio 2010, e l'elenco delle ditte con le quali sono in corso contratti di lavori, forniture e servizi, sono stati ottenuti da Rita Bernardini, parlamentare radicale eletta nelle liste del Pd, dopo una vera e propria battaglia durata mesi culminata in uno sciopero della fame. L'unico formato in cui le sono stati consegnati è quello cartaceo. Rita Bernardini ha deciso di rendere pubblici questi dati in "formato aperto", secondo quanto previsto dal programma di governo regionale di Emma Bonino e delle liste Bonino Pannella. Questa iniziativa si inserisce all'interno della storica campagna radicale per l'anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati.
Fiat: tagli e spin-off ...
In gergo si chiama "operazione downsize" ed è il trattamento che gli ingegneri Fiat riservano in laboratorio ai motori tradizionali per ridurne la cilindrata e aumentarne contemporaneamente la potenza. Una cosa simile accadrà nei prossimi cinque anni agli stabilimenti italiani del gruppo: fabbriche più piccole, con meno addetti ma con maggiore produzione. Nel dettaglio, le indiscrezioni sul piano parlano di una Fiat profondamente modificata sia negli stabilimenti di assemblaggio finale (le classiche linee di montaggio) sia nella produzione di motori e cambi.
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La rivoluzione più profonda sarà a Pomigliano dove la Panda comincerà la produzione delle preserie nell'autunno del 2011. Il Lingotto pensa di spendere 750 milioni nella riconversione della fabbrica che cesserà di produrre le Alfa per passare all'utilitaria. Le due linee oggi in funzione (quella della 147 e quella della 159 e Gt) saranno sostituite da almeno due linee di Panda destinate a realizzare 250 mila auto all'anno. Ma nessuno riesce a prevedere quali effetti avrà questa rivoluzione sull'indotto, tutto calibrato sui modelli di fascia medio-alta del Biscione. I sindacati temono che anche tra i dipendenti diretti si avrà una riduzione di 500 persone sugli attuali 5.100 addetti
http://www.repubblica.it/economia/2010/03/24/news/a_un_passo_la_separazione_del_gruppo_gli_agnelli_accelerano_lo_scorporo-2856464/
John Elkann ha detto un paio di settimane fa di sognare "una Fiat grande in Italia e nel mondo". Sergio Marchionne sta facendo di tutto per accontentarlo e il 21 aprile spiegherà come. E dopo? Dopo questa data, il passo più importante sarà quello dello spin off, ovvero dello scorporo delle attività automobilistiche (o altro?) e della loro quotazione in Borsa. Ci saranno da quel momento due Fiat in un contesto che molti temono possa coincidere con un processo di "deitalianizzazione" del gruppo.
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L'argomento è già sotto i riflettori degli analisti e se ne parla all'interno della famiglia. Anche se si farà di tutto per evitarlo nell'assemblea di venerdì, diventerà un passaggio obbligato dell'investor day del 21 aprile o subito dopo. Perché c'è già chi assicura che allo spin off si procederà la prossima estate. Anche perché le condizioni, almeno quelle indicate al suo primo annuncio da Marchionne, ci sono già tutte prima che il piano strategico Fiat-Chrysler vada a regime nel 2014: il Lingotto e la sua controllata americana già oggi sono molto oltre la soglia di 4 milioni di vetture prodotte all'anno con previsione di andare presto sopra i 6 milioni.
In questa prospettiva si dice che a comandare la parte auto non potrà non essere Marchionne in quanto protagonista della rinascita Fiat e del suo sbarco in America. A quel punto sarà interessante capire che cosa resterà dell'"altra Fiat" e quale sarà il suo futuro. Un Lingotto senza l'auto, secondo gli analisti più attenti, potrebbe infatti consigliare a Exor di riprendere il dossier della diversificazione che circolava all'epoca della crisi Fiat, prima ancora che avesse inizio la cura Marchionne. Naturalmente oggi lo si farebbe in condizioni più favorevoli poiché l'operazione non sarebbe dettata da uno stato di necessità e inoltre disporrebbe di capitali più robusti.
martedì 23 marzo 2010
Altai scaricabile dal sito
[Weekly info]DRAM Industry enters positive circle and profit in next 3 years is expected
Toshiba to add NAND fab in Japan
lunedì 22 marzo 2010
Piazza Affari e il male oscuro del capitalismo italiano
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La Borsa italiana oggi è fatta da pochissime grandi imprese. Le 40 del Ftse/Mib rappresentano l'87% della capitalizzazione totale (valore di mercato di tutte le imprese quotate). Dei primi 150 titoli del listino, la metà ha una capitalizzazione inferiore ai 696 milioni. Il numero delle società quotate è limitato, non molto distante da quello di 25 anni fa. L'intero mercato azionario italiano vale, ai prezzi attuali, solo il 30% del Pil 2009. Non è neppure pensabile un confronto con gli Stati Uniti: basti ricordare che negli USA, anche dopo la crisi, il rapporto tra valore della Borsa e Pil è al 103%, e nelle prime 150 società, la metà vale più di 25 miliardi euro. Ma siamo il fanalino di coda anche dell'Europa Continentale: il nostro rapporto borsa/Pil è meno della metà di quello francese (74%), ed è inferiore anche a quello tedesco (40%), anche se in Germania, tradizionalmente le imprese si sono sviluppate al di fuori del mercato azionario; ma dove, tra le prime 150 società, la mediana è grande il triplo della nostra.
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Ma è la composizione settoriale delle maggiori società quotate che ci distacca maggiormente dal resto dell'Eurozona, per non parlare degli Stati Uniti. Da noi, anche dopo la crisi, il 35% dell'indice è costituito da banche e servizi finanziari: quasi il doppio di Francia e Germania. Negli Usa, dove la bulimia del settore finanziario aveva innescato la crisi, banche e finanza pesano oggi la metà che in Italia. Un ridimensionamento drastico quanto salutare.
Il resto di Piazza Affari è fatto di servizi di pubblica utilità ed Eni: insieme alle banche, fanno quasi l'80%. È il retaggio del peso dominante nella nostra economia dello Stato imprenditore. Un peso però ancora presente, dato che il 41% delle aziende nel Ftse/Mib ha un'azionista di riferimento pubblico, Stato o Ente locale (tra le banche ho considerato il solo Monte Paschi). Se a queste aggiungiamo le società interamente cedute dallo Stato ai privati (come Autostrade, Sme, Telecom o le genco dell'Enel), si arriva all'assurdo che il 69% delle nostre grandi aziende quotate è pubblica o nata dalla mano pubblica. Inevitabile in un capitalismo storicamente senza capitali? No. È vero che 20 anni fa, senza mobilità internazionale dei capitali, il risparmio degli italiani doveva necessariamente finanziare il deficit pubblico. E in mancanza di un mercato finanziario, tutto passava per le banche. Ma l'Euro, le liberalizzazioni, lo sviluppo e l'integrazione dei mercati, avrebbero dovuto liberare i nostri capitalisti dallo storico vincolo della carenza di capitali.
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L'ultimo elemento della fotografia che dovrebbe far riflettere è la totale assenza in Italia di grandi imprese nei settori a maggior crescita della produttività: non solo tecnologia, informatica e farmaceutica (39% negli Stati Uniti) ma anche settori tradizionali che incorporano innovazione tecnologica e manageriale come i beni di largo consumo per il tempo libero e la grande distribuzione. In questo, anche il resto dell'Europa non tiene il passo degli Usa, e non sembra capace di sfruttare la crisi per cambiare il modello produttivo. In Italia il gap sembra incolmabile. Ma, purtroppo, il reddito delle generazioni future dipende proprio dalla capacità di spostare le risorse nei settori a maggior crescita della produttività.