sabato 27 marzo 2010

Clima. Europa pazza, Italia pirla

Clima. Europa pazza, Italia pirla: "

Con un colpo di mano, la possibilità di alzare dal 20 al 30 per cento il target di riduzione delle emissioni europee entro il 2020, dopo essere uscita dalla porta notturna, rientra dalla finestra mattutina. Ordinaria cronaca di un’incredibile giornata negoziale a Bruxelles, dove oggi si conclude la sessione di primavera del Consiglio europeo. Se la questione di maggior interesse è, ovviamente, l’accordo franco-tedesco sul salvataggio della Grecia, un tema non marginale riguarda appunto le politiche del clima. L’Italia non voleva questa clausola. L’Italia era riuscita a toglierla dalla dichiarazione conclusiva del vertice. L’Italia poi si è voltata dall’altra parte. L’Italia, infine, senza accorgersene ha votato contro se stessa.



Quello che è successo è da manuale dell’idiozia politica. E pensare che le cose si erano messe bene. Grazie anche al presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, la bozza di dichiarazione conclusiva concordata ieri notte non conteneva alcun accenno all’aumento del target, come riferiscono fonti vicine al dossier. La logica è semplice: nel pacchetto energia e clima, approvato alla fine del 2008 dopo una lunga trattativa di cui l’Italia era stata uno dei protagonisti, prevedeva la possibilità di passare dal 20 al 30 per cento se si fosse trovato un accordo globale in tal senso (sottinteso: a Copenhagen, dicembre 2009). A Copenhagen è andata come è andata: quindi, tutto in vacca. Nota non banale: a mandare tutto in vacca è stata, principalmente, l’indisponibilità dei due attori cruciali, cioè la Cina (di cui mi sono occupato qualche giorno fa) e gli Stati Uniti (dove il presidente, Barack Obama, ha investito l’intero suo capitale politico sulla riforma sanitaria e neppure si sogna di piagare i contribuenti con iniziative verdi).


Nonostante ciò, alcuni Stati membri hanno deciso di tentare la carta dell’aumento unilaterale, determinando una frattura in seno all’Europa che si è ricomposta solo, duramente, ieri notte. Tutto bene? Macché. Perché nessuno aveva fatto i conti con la fessaggine negoziale che storicamente contraddistingue il nostro paese. Il Cav. ha pensato bene che la chiusura della campagna elettorale doveva avere la precedenza sulla sua presenza al Consiglio Ue. Nessuno, purtroppo, deve avergli spiegato che, secondo il trattato di Lisbona, un primo ministro assente non può delegare un suo ministro, ma deve per forza farsi rappresentare dal presidente del Consiglio europeo.


Accade così che l’Italia venga rappresentata da Herman van Rompuy. Magari non sta bene, ma nella cosa in sé non ci sarebbe nulla di male. Non ci sarebbe nulla di male se ci si ricordasse di istruire il rappresentante sulle posizioni che il rappresentato vuole che siano, appunto, rappresentate. In assenza di istruzioni, van Rompuy ha fatto di testa sua (chi avrebbe fatto diversamente?) e ha dunque accettato, a nome dell’Italia, l’inserimento del seguente fraseggio:


the EU is committed to take a decision to move to a 30% reduction by 2020 compared to 1990 levels as its conditional offer with a view to a global and comprehensive agreement for the period beyond 2012, provided that other developed countries commit themselves to comparable emission reductions and that developing countries contribute adequately according to their responsibilities and respective capabilities.


E’ una formula abbastanza standard e non avrà gravi conseguenze politiche. Forse non ne avrà nessuna. Però, intanto, una notte di fatica è andata in fumo, visto che viene ancora una volta alimentato l’equivoco, dando agli estremisti l’appiglio per sostenere le loro tesi. E poi, ancora una volta il nostro paese non ha perso l’occasione di dimostrare di che pasta è fatto.


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