sabato 27 marzo 2010

Che cosa ci siamo persi

Che cosa ci siamo persi: "(di Filippo Facci)

Michele, anzi, «Mighele» come ti chiamerebbe uno qualsiasi dei tuoi indignati speciali: fattelo dire, hai perso un’occasione storica. Tu lo sai che io scrivo questo articolo malvolentieri, lo sai che sono uno di quelli che ha sostenuto a gran voce che la sostanziale abrogazione dei talkshow non solo era grave, era gravissima, era una sciocchezza siderale che toglieva definitivamente la maschera al concetto di informazione di buona parte della nostra classe dirigente: ossia politica, politica e solo politica, il loro salottino virtuale a gettone, qualcosa che senza di loro tutto sommato non ha e non aveva ragione d’essere. Certe volte avrei quasi voluto, in questo marzo sospeso, che accadesse magari una calamità, un altro terremoto, un attacco di Al Queda: tanto per vivere la contraddizione demenziale di un Paese che aveva sospeso, frattanto, gli approfondimenti informativi: e solo perché si deve votare in Basilicata o in Piemonte.

Ma l’informazione non è solo politica e ciarleria, non è solo una par condicio tra sciocchezze e contro-sciocchezze che non lasceranno traccia: è il racconto di ciò che succede e che succede comunque, è qualcosa che non sempre puoi racchiudere in telegiornali che dal quinto minuto in poi già ti propinano ricette di cucina o filmati a sensazione tratti da youtube. Pensa a che cosa avresti potuto fare, Michele: dare una lezione a tutti, confezionare un Annozero ineccepibile che facesse comprendere che l’informazione non è rinunciabile, si può e si deve fare sempre,  avresti potuto fare una ricca e preziosa trasmissione di servizio – non ho detto pallosa: utile, intendevo dire – che dimostrasse che lorsignori hanno torto, che l’informazione serve, che si poteva parlare di cento cose e perché no, magari anche delle regionali, visto che in concreto non l’ha fatto nessuno, non l’ha fatto neanche chi avrebbe potuto. Perché in questo periodo si è discusso di Tar, della risibile inchiesta di Trani, di numeri e contro-numeri e manifestazioni e contro-manifestazioni, persino dell’aborto e di pedofilia: ma di temi regionali mai.

E poi arrivi tu, che potevi vincere facilissimo. Potevi fare tutto quello che volevi, potevi imporre quella par condicio naturale che ogni vero giornalista dovrebbe portarsi dentro: invece hai rafforzato i pregiudizi di tutti e hai risvegliato i fantasmi di chi ti considera solo un malcelato arruffapopolo. Ora chi aveva dubbi, anche nel centrodestra, è straconvinto che non mandarti in onda sia stato il minimo, anzi un dovere, un pericolo mancato. Lo so benissimo che hai invitato i vari Cornacchione e Luttazzi e Venditti e Morgan perché avevi un pubblico stra-fidelizzato, schierato, antipolitico, grillino, insomma composto da tutto – pare – fuorché abbonati della Rai. Hai una fatto una scelta di mercato: hai commisurato il linguaggio – perché contenuti quasi non ve n’erano – all’avanguardia/retroguardia che vive di internet, satellite, digitale terrestre, radio e tv in diretta streaming, blog, social network, maxischermi da guardare in allegria e con la birra in mano. E l’applauso scattava automatico. Ma il messaggio veicolato a tutti gli altri – il pubblico vero, pesante, quello che la politica voleva impedirti di influenzare – può aver recepito soltanto una spaventosa parata circense, il tuo peggio, con te che ormai interloquivi direttamente col presidente della Repubblica e sermoneggiavi e ti auto-martirizzavi,  e poi uno come Luttazzi con le sue turbe sodomitiche e le sue coprolalie infantili, e il solito Travaglio borderline, e il grande Benigni che sembrava un comico usato,  e Floris e Lerner un filo imbarazzati perché l’asticella dell’informazione era ormai troppo alta, anzi,  forse non c’è neanche più. Se mancavano Grillo e Di Pietro è solo perché erano sotto elezioni coi rispettivi partiti, avrebbero fatto comizi e non informazione: tu invece che hai fatto, Mighele? Dimmi che quella era informazione. Provaci.

Non è vero che Annozero regala solo voti a Berlusconi: ma un Luttazzi secondo il quale «odiare i mascalzoni è cosa nobile», dimmi, a chi fa un favore? E tu che adombri la P2 dietro la nascita di Mediaset, dimmi, che fai? Servizio pubblico?

Ieri ti è scappata questa, Mighele: «Noi dobbiamo essere ascoltati«. No, guarda, il diritto al nostro ascolto «voi» non l’avete. Avete la facoltà di provarci negli spazi che il mercato vi offrisse. In Rai, se vuoi restarci, devi fare un’altra cosa. Tu sai farla. Non sempre la fai. Ieri, per esempio, non hai detto nulla, ma l’hai detto malissimo. Che delusione, Mighè. Che buffonata.


(Libero, 27 marzo 2010)


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