giovedì 25 marzo 2010

Il miele climatico sulla lingua biforcuta del Dragone

Il miele climatico sulla lingua biforcuta del Dragone: "

La concorrenza sleale, spiega Wikipedia, è “l’utilizzo di tecniche e mezzi illeciti per ottenere un vantaggio sui competitori o per arrecare loro un danno“. Manca, però, una parola per definire il comportamento di chi si fa concorrenza sleale da sé: se uno diffonde sul suo conto informazioni calunniose, con chi può prendersela se non vende più i suoi prodotti? Paradossalmente, è proprio questo che l’Unione europea sta facendo nel delicato gioco climatico. Lo hanno capito benissimo i cinesi (mentre in tutte queste schermaglie gli americani stanno alla finestra, al momento). Tant’è che l’evoluzione della posizione di Pechino suona molto da presa per il culo di Bruxelles. Solo che Bruxelles non se ne accorge.



Ieri il direttore generale del dipartimento clima della Chinese Development and Reform Commission, Su Wei, ha incontrato la commissaria europea per l’azione climatica (si chiama davvero così!), la danese Connie Hedegaard, una delle principali responsabili del fallimento di Copenhagen (grazie, Connie). Cosa ha detto? Racconta EurActiv:


“The EU wants to maintain a leading role and it should maintain it,” said Wei. “But it should do so under the Bali roadmap,” he added, stressing that China has always favoured a dual-track negotiation process whereby rich countries maintain under the Kyoto Protocol their legally-binding emission reduction commitments and other countries make comparable efforts along the UNFCCC track.


Traduco liberamente:


L’Europa è liberissima di inseguire la sua fola climatica, così indebolirà la competitività dei suoi prodotti sui mercati internazionali. Se poi, inasprendo sempre più le sue politiche, riuscirà a indurre le industrie energivore a delocalizzare, tanto meglio per noi. Quindi, noi appoggiamo con grande convinzione ogni sforzo europeo volto a salvare il mondo, purché nessuno ci chieda di fare lo stesso. Infatti, noi continueremo per la nostra strada, perché lo sviluppo è l’obiettivo prioritario, specie in un momento cruciale come quello attuale in cui il rimescolamento di carte dovuto alla crisi può favorire ancor più la Cina.


Mosso a compassione per l’evidente incapacità della Hedegaard di cogliere implicazioni e sottintesi, Su ha concesso che l’Europa


should go up to 30% but not before the US states its target.


Per rivestire di fervore verde le sue posizioni (qui bene illustrate), Pechino continuerà anche quest’anno a ribadire l’impegno proposto a Copenhagen, di ridurre del 40-45 per cento la sua intensità carbonica (che è cosa ben diversa dalle emissioni, oggetto degli sforzi europei di riduzione, in quanto esprime le emissioni per unità di Pil). Se solo si presta attenzione ai dati, i cinesi hanno proposto nulla di più di quello che accadrebbe comunque (anzi, si sono tenuti sul lato della sicurezza). Il seguente grafico mostra l’andamento dell’intensità carbonica nel 1980-2006 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili), il trend attuale, e due scenari di riduzione del 40 e del 50 per cento dell’intensità carbonica rispetto al 2005.


Senza parole.



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