domenica 31 gennaio 2010
“Sono io l’infiltrato dentro la tana di Provenzano”
Gli succede sempre più spesso di ripetere il proprio nome fino a storpiarne il senso e il suono. Lo ripeterà altre cento volte, tutte le volte che sarà necessario: davanti ai carabinieri, ai giudici che lo interrogheranno, in un’aula di tribunale. Di [...]"
Così Consorte va a giudizio assieme al Pd
Alla vigilia del processo, il furbetto rosso comincia a sparare i suoi fuochi d’artificio. Lunedì prossimo Gianni Consorte salirà i gradini del Palazzo di Giustizia di Milano per la prima udienza del dibattimento sulla scalata Bnl, in cui è imputato di aggiotaggio assieme all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e altre 19 persone. Ha scelto il quotidiano Mf per aprire le ostilità. Difendendo il suo operato: 'La nostra corsa a Bnl fu del tutto legittima, non ci fu un patto occulto'. Ma soprattutto per buttarla in politica: 'Unipol perse perché fu vittima di un complotto'.
E per chiamare in causa i leader di partito che l’hanno prima difeso e poi abbandonato: 'Voglio che venga in aula a deporre il gotha del Partito democratico e in particolare gli ex Ds'. A Mf ha anche annunciato di aver preparato una lunghissima lista testi (180 persone) che comprende banchieri, finanzieri, advisor, ma soprattutto politici: quelli che nell’estate 2005 lo sostennero (Massimo D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino, Ugo Sposetti, Pier Luigi Bersani, Vincenzo Visco...) e quelli che lo avversarono (Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Giuliano Amato).
Rivincita pubblica. Saranno i giudici, naturalmente, a decidere chi ammettere e chi no. Ma intanto Consorte fa sapere che vorrebbe trasformare il dibattimento nella sua rivincita pubblica: 'Vogliamo chiedere la ripresa televisiva del processo'.
La scalata a Bnl, nel 2005, avrebbe dovuto essere l’ingresso nel mondo della grande finanza di Unipol, di cui era presidente, e delle coop rosse che lo sostenevano. Invece per lui è stata l’inizio della fine. La scalata è fallita, è stato rinviato a giudizio e ha dovuto lasciare la guida della compagnia d’assicurazioni.
Ha poi tentato una ripartenza con la banca d’affari Intermedia, ma non senza difficoltà. Ora in aula dovrà difendersi dalle accuse del pm Luigi Orsi. Nell’estate dei furbetti, la Bnl stava per essere acquisita, attraverso un’offerta pubblica di scambio, dal Banco di Bilbao (Bbva).
Consorte, con il sostegno del governatore Fazio, si mette di traverso e fa fallire l’offerta. L’accusa sostiene che il manager abruzzese ha battuto i concorrenti rastrellando azioni Bnl attraverso accordi sotterranei, sottratti alla trasparenza e al mercato.
Con la Popolare dell’Emilia Romagna già dal 17 maggio 2005. Con la Popolare di Verona dal 28 giugno. Con la Carige dal 4 luglio. Con i cosiddetti contropattisti Bnl (Caltagirone, Ricucci e altri) dal 5 luglio. Con Deutsche Bank dal 18 luglio.
La telefonata. Solo il 18 luglio 2005, a cose ormai fatte, Consorte informa il mercato e annuncia l’opa obbligatoria. Non prima di aver telefonato a Piero Fassino, allora segretario dei Ds, il quale esclama, felice: 'Allora, siamo padroni di una banca?'.
Il processo, dunque, sarà tecnico: l’accusa dovrà dimostrare che gli accordi, i contratti, i patti, gli 'spot hedge' erano precedenti alle comunicazioni di legge e sottratti al controllo del mercato. Un pacchetto di azioni tra il 2 e il 3 per cento – quello che i fratelli Lonati, grandi amici del finanziere bresciano Chicco Gnutti, vendono a Bper – viene tenuto nascosto fino all’ultimo momento, non viene comunicato neppure il 18 luglio. Eppure Consorte ostenta sicurezza: 'Tutto regolare'.
E conta di far pesare in aula un paio di sentenze (civili, però) con cui le corti d’appello di Roma e di Genova hanno annullato le sanzioni inflitte dalla Consob a Deutsche Bank e Carige.
A colpi di Tuf. Se il processo sarà tecnico, tutto a colpi di articoli del Tuf, il Testo unico sulla finanza, sarà però la politica ad aleggiare pesantemente su Consorte e i suoi coimputati. Il manager, sanguigno com’è, non si tira indietro. Annuncia battaglia.
Ha voglia di fare i conti con chi non lo ha difeso, con chi, dopo la sconfitta, lo ha scaricato.
Lui ha già pronta la sua spiegazione per quello che è successo: l’assalto della finanza rossa a una banca avvenne nel pieno del dibattito sulla nascita del futuro Partito democratico, durante le trattative per la fusione a freddo tra Ds e Margherita; con tanto di polemiche sulla questione morale dentro i Ds sollevate dai vertici della Margherita (Arturo Parisi, Francesco Rutelli...). Così, secondo Consorte, i Ds sotto attacco furono costretti ad abbandonarlo pur di non far saltare il tavolo con Rutelli e i centristi.
Spiegazione macchinosa. In realtà Parisi e i prodiani nell’estate 2005 criticarono quello che intuirono subito, e cioè una commistione tra affari e politica che puntava a costruire attorno a Unipol, con la benedizione di D’Alema, un polo finanziario forte, approfittando di un’oggettiva alleanza bipartisan con chi, a destra, stava realizzando le altre due scalate dei furbetti, ad Antonveneta (realizzata da Gianpiero Fiorani) e al Corriere della Sera (protagonista Stefano Ricucci). Una silenziosa, segreta 'bicamerale degli affari'.
25 milioni. Consorte, naturalmente, nega: 'A noi ci hanno messo assieme alla scalata di Fiorani, ma non c’entravamo niente, erano solo contemporanee', dichiara a Mf.
Eppure per Antonveneta l’ex presidente di Unipol ha chiesto di patteggiare una pena di 11 mesi di reclusione e ha messo a disposizione 12 milioni e mezzo di euro. Non ha mai spiegato del tutto, infine, che cosa fossero (e a disposizione di chi) quei 25 milioni di euro che i magistrati gli hanno trovato all’estero, frutto – sostiene Consorte – di una 'consulenza' da lui resa a Gnutti nel 2002, durante la vendita di Telecom Italia dai 'capitani coraggiosi' di Gnutti e Roberto Colaninno alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera.
Anche di questo si parlerà nel processo che inizia lunedì a Milano, del mistero rosso che sta alle radici delle scalate dei furbetti.
Da il Fatto Quotidiano del 28 gennaio"
La verità sulla Pax Mafiosa
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Bertolaso non doveva, però…
In prima pagina su Le Monde reportage-denuncia dei medici francesi a Haiti contro i colleghi del Texas dalla “sega facile”: avrebbero amputato centinaia di arti in modo arrischiato, in fretta e furia, senza considerare possibili interventi alternativi, e senza adottare le precauzioni necessarie per consentire poi l’innesto di una protesi.
In prima pagina sul New York Times lo scandalo della sospensioni dei voli che dovevano portare i feriti di Haiti in Florida: nessuno vuole pagare il costo degli aerei, Washington e lo Stato della Florida si rimpallano le responsabilità.
Non toccava a Bertolaso salire in cattedra perché ha creato l’incidente diplomatico dando un’immagine di arroganza dell’Italia.
Lo sforzo messo in campo da Obama è comunque immenso (15.000 soldati più tutto il personale civile) e un governo alleato non può trattarlo con sufficienza.
Ma che la macchina dei soccorsi americana sia piena di gravi inefficienze, i mass media Usa sono i primi ad ammetterlo.
Solo che di mass media americani ad Haiti ce n’è sempre meno: passata l’emozione iniziale, Cnn e le altre smobilitano.
"iPad, rivoluzione a metà
Microsoft, un trimestre di Windows 7
Firefox for Mobile Now Available on Nokia’s Maemo Platform!
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Firefox for mobile is packed with your favorite features, including:
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Firefox is the first mobile Web browser to support add-ons. With add-ons, you can customize your Firefox by adding features that help make your browser your own. Add-ons like AdBlock Plus, URL Fixer, TwitterBar, language translators, and geo guides become especially handy when you’re out and about on your mobile device. You can both discover and install add-ons directly from your Nokia N900. There are currently more than 40 Firefox add-ons available for mobile and the number is growing every day.
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"Tra "Pigs" e Paesi Baltici Eurolandia teme l'effetto domino
Tra 'Pigs' e Paesi Baltici Eurolandia teme l'effetto domino
dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI
(09:39 31/01/2010)
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Git for Subversion users, Part 1: Getting started
sabato 30 gennaio 2010
Ipotesi di autocomplotto
Da Il Fatto Quotidiano del 30 gennaio 2010
Grazie a Massimo Tartaglia, il collega squilibrato che l’ha colpito con un souvenir, il Banana era riuscito a far dimenticare Veronica, le euroveline, Noemi, Patrizia e i ponti aerei di gnocca aviotrasportata su voli di Stato nelle sue varie residenze. Svanite anche le dieci domande di Repubblica, dopo le dieci non-risposte date nel libro di Vespa e i casi Marrazzo e Delbono. Grazie a D’Alema, poi, la Puglia era tornata a essere un caso politico e non un serbatoio di escort presidenziali. Poi, due giorni fa, è uscito Panorama con lo scoop dell’indagine di Bari sul complotto internazionale, subito smentita dalla Procura e confermata da Panorama (quindi una balla). E il caso Banana-D’Addario è tornato al centro dell’attenzione. Anche perché la patacca è stata rilanciata dal Giornale e da Libero. Ora persino Minzolini potrebbe scoprire l’esistenza di Patrizia.
Ancora una volta, non bastando i casi Boffo e Fini, i signorini grandi firme rovinano le strategie comunicative del pover’ometto che li paga. “Esclusivo. Il piano organizzato a tavolino per mettere alle corde Berlusconi. I registi: politici, magistrati e giornalisti. E un gruppo di personaggi disposti a tutto” (anche a portarsi la D’Addario nel lettone di Putin e a candidarla a Bari).
Il Giornale: “Complotto contro il premier. Panorama rivela un’indagine segreta” (così segreta che nemmeno la Procura ne sa nulla). Libero: “Sputtanata. Crollano le accuse della D’Addario. Toghe, politici e giornali d’accordo per rovinare Silvio. Patrizia era l’esca” (chi fosse il tonno è superfluo precisarlo). Cogliamo fior da fiore dagli articoli di Giorgio Mulè, sagace direttore di Panorama, e di Giacomo Amadori, autore dello scoop mondiale. “A noi – comunica Mulè restando serio – interessano i fatti”. Perbacco. “Gli inquirenti sono sul punto di alzare il coperchio su una trama maleodorante”. Slurp. “Berlusconi vittima di complotto, la D’Addario ‘agente provocatore’ manovrata da Tarantini, Tarantini ‘terminale’ di spregiudicati burattinai politici, a loro volta legati a giornalisti”. Ma “sotto la lente degli inquirenti” (e dove, se no?) “ci sarebbero perfino magistrati in servizio a Bari”. Roba forte, anche perché “il capo della Procura Laudati è tutto fuorché uno sprovveduto”: “si muove coi piedi di piombo” ed “estrema riservatezza” (per questo smentisce: è schivo), è “affilato e distinto”, usa un “metodo investigativo che, per giungere alle conclusioni, si basa sui fatti e sull’analisi di tutti i particolari che gravitano intorno a essi”. Mica bruscolini.
Dunque la Mata Hari del Tavoliere fu “selezionata e consegnata a Tarantini” perché la infilasse nel lettone di Putin. Quella sera l’anziano premier stava ultimando la consueta partita a rubamazzo con Bondi, Cicchitto e Capezzone, che perdevano apposta per non farlo star male, quando la maliarda, intrufolatasi a Palazzo Grazioli travestita da Bonaiuti, lo sorprese alle spalle e lo violentò. “No, no, vade retro Satana”, urlava lui dimenandosi come un ossesso nel suo curioso accappatoio bianco, “io penso solo a Veronica e ai valori della famiglia di Santa Romana Chiesa!”. Ma non ci fu nulla da fare, complice una pozione magica a base di Cialis e Viagra trovata nel comodino. Resta da capire chi montò un filmato col sosia del Banana che pareva piuttosto entusiasta della cosa, quale imitatore telefonò più volte alla signora nei giorni seguenti e come fu che lei finì in lista alle comunali di Bari.
Ma lo scopo del complotto è evidente: “Compromettere la reputazione del premier” e “ridicolizzarlo oltreconfine” più di quanto non faccia lui da solo. Una mission impossible. Nulla però è impossibile a queste misteriose entità, legate a “intermediari internazionali, diretti a loro volta da politici italiani rimasti per ora nell’ombra”, anche se “è logico pensare che i burattinai vadano ricercati nel campo avverso al Pdl”. Visto che si proponevano di rovesciare il premier, si esclude pure che appartengano al Pd. Si batte la pista dei venusiani.
(Vignetta di Fifo)
Commento del giorno
di Alessandro - lasciato il 29/1/2010 alle 18:52 nel post Ambrogio Mauri, una vittima vera
Secondo il 'Principio di Peter', best-seller degli anni '70 scritto dallo psicologo canadese Laurence Peter, ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere. E fu così che il nano ebbe l'illuminazione: Bertolaso ministro.
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Ladytron
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Vi racconto gli affari bulgari di Delbono
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Dal giudice via libera alla coltivazione di mais ogm. E Zaia sragiona
Zaia dixit. La reazione del ministro pro tempore delle Politiche Agricole e Forestali alla sentenza del Consiglio di Stato – che, su ricorso dell’ottimo Silvano Dalla Libera di Futuragra, riconosce il diritto degli agricoltori di seminare varietà di mais ogm iscritte al catalogo comune, in linea con la normativa comunitaria – è di quelle che lasciano esterrefatti.
Secondo Zaia, il giudice amministrativo sconfesserebbe con la sua decisione la “volontà della stragrande maggioranza dei cittadini e delle Regioni italiane”. Tra questi, continua la nota del ministro leghista, “quegli agricoltori, ancora una volta la stragrande maggioranza, che non vogliono OGM nei loro campi, consapevoli, innanzitutto, che è il valore identitario delle loro produzioni ad essere messo a repentaglio, la fertilità del loro futuro”.
Non contento, Zaia aggiunge che la coltivazione e la commercializzazione di ogm determinerebbero una nefasta divisione dei consumatori “in abbienti che hanno la possibilità di alimentarsi con cibi biologici e certificati e di classi socialmente disagiate che devono adattarsi al cibo geneticamente modificato”.Il primo dei due argomenti del ministro è un concentrato di populismo, corporativismo e nazionalismo. Anzitutto, ciò che vuole la maggioranza degli italiani, a detta di Zaia, prevarrebbe sulle norme, con buona pace di secoli di fini discussioni sul primato della legge e cose simili. Il principio della dittatura della maggioranza si applicherebbe addirittura per la categoria degli agricoltori, dove i più (ammesso che siano tali, andrebbe verificato quanto il sentimento degli agricoltori sia coincidente con quello delle politicizzatissime associazioni di settore) dovrebbero essere in grado di limitare la libertà d’iniziativa economica degli altri. Il riferimento al “valore identitario” delle produzioni, infine, è un concetto che Mussolini avrebbe molto apprezzato.
La seconda tesi zaiana è degna di un trattato di microeconomia bolscevica. Immettere nel mercato prodotti a basso costo, soggetti a controlli di qualità rigorosi, costringerebbe i meno abbienti a mangiare cibi diversi dai sofisticati, costosi e chiccosi prodotti da agricoltura biologica, appannaggio dei ricchi. Or bene, da questo deriva forse che non consentire il commercio di ogm permetterà ai poveri di assaporare lo stesso cibo dei ricchi? Non potendo spendere meno, le famiglie con un reddito più modesto saranno quindi libere di spendere di più?
A marzo ci sono le elezioni regionali e Luca Zaia è il candidato della coalizione di centrodestra per il Veneto.
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Granata:"Pomicino meglio di Cosentino"
'Chi ha responsabilità di governo, in questi casi, deve fare un passo indietro. La mia posizione su Cosentino resta identica e anzi, è rafforzata'. La posizione in questione è quella di Fabio Granata, vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia in quota Pdl. Politicamente vicino al presidente della Camera Gianfranco Fini, Granata a novembre, in occasione della richiesta di arresto da parte del gip di Napoli per il sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione camorristica e rapporti con il clan dei Casalesi, chiese le dimissioni dell’esponente di governo.
Onorevole Granata, dopo la sentenza della Cassazione che conferma l’ordinanza di custodia cautelare per Cosentino, il suo parere è rimasto lo stesso?
'La mia risposta sarà lapidaria: ritengo inopportuna la permanenza nel governo di un esponente politico gravato da queste accuse'.
Ma la Camera ha negato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
'Io non metto assolutamente in discussione la presunzione d’innocenza di Cosentino bensì la sua appartenenza al governo con una funzione delicata. Davanti ad accuse di questo genere bisogna fare un passo indietro fino a quando non si dimostra la propria innocenza'.
Adesso cosa auspica?
'Che la palla passi in mano alla politica. Non vorrei rimpiangere la Prima Repubblica quando Cirino Pomicino si dimise per un avviso di garanzia con l’accusa di abuso d’ufficio'.
Ieri, insieme alla sua compagna di partito, Angela Napoli, ha proposto un “certificato antimafia”. Di cosa si tratta?
'Di un controllo preventivo sulle candidature, a partire dalle prossime elezioni regionali”.
Allora siete d’accordo con Beppe Grillo quando chiede ai pregiudicati di non partecipare alla vita politica.
'Secondo noi non è più sufficiente non mettere in lista pregiudicati, ma bisogna anche evitare di candidare o dare responsabilità dirigenziali a soggetti che, per contesto familiare o sociale, hanno contatti con le organizzazioni mafiose. Non capisco perché una persona che non può fare l’imprenditore possa fare il consigliere regionale. Solo con classi dirigenti rinnovate ed al di sopra di ogni sospetto, la politica potrà fare un passo avanti decisivo nella lotta alle mafie'.
A chi vorreste estenderlo?
'Alla selezione delle rappresentanze parlamentari, di governo e di partito'.
Quindi secondo lei anche Berlusconi dovrebbe fare un passo indietro?
'Sul premier credo che sia necessario introdurre il legittimo impedimento. Alla fine del suo mandato si farà poi processare'.
Si è parlato anche d’immunità. Se fosse in vigore, Cosentino non solo non sarebbe stato arrestato, ma nemmeno indagato.
'Non credo che quella sia la soluzione giusta, anche se è presente in quasi tutti i paesi europei. Comunque la preferisco al processo breve'.
Lei è uno dei pochi nemici giurati del processo breve nel centrodestra. Perché?
'Il processo breve rompe l’equilibrio del sistema giudiziario senza migliorarlo. Semplicemente è da evitare'.
da il Fatto Quotidiano del 30 gennaio"
D’Addario, tutti i misteri del complotto
I pm smentiscono "Panorama", ma restano troppe ombre e si allarga l'ombra del complotto. Dietro la escort che ha infangato Berlusconi una rete inquietante di magistrati, politici e giornalisti. Mossi dall'odio e da tanti soldi. L'esperto di 007: "I servizi stranieri hanno reclutato Patrizia"
Così i servizi stranieri hanno reclutato Patrizia
Campania, Pd: "Il candidato è De Luca" Ma l'Idv non ci sta: "E' impresentabile"
Il candidato del centrosinistra alle prossime elezioni regionali in Campania sarà Vincenzo De Luca, attuale sindaco di Salerno. Lo hanno comunicato i vertici del Pd: "Le primarie non saranno svolte". Ma la candidatura spacca la coalizione, De Magistris: "Non lo appoggiamo, è improponibile: su di lui in corso processi delicatissimi
Google contro Microsoft "Non supporteremo più il browser Explorer 6"
Gli attacchi degli hacker, partiti dalla Cina nelle settimane scorse, continuano a mietere vittime. Ma questa volta il colosso dei motori di ricerca, individuato l'anello debole, passa al contrattacco: dal 1° marzo limitazioni ad alcune applicazioni della Microsoft
FREE DOWNLOAD: "Multithreaded Algorithms" chapter from Introduction to Algorithms
Hot Off The Press: The award-winning Introduction to Algorithms (coauthored by our own Charles E. Leiserson) is the leading textbook on computer algorithms and the most cited reference in all of computer science.
In the 'Multithreaded Algorithms' chapter, the authors extend the algorithmic model to encompass parallel algorithms, which can run on a multiprocessor computer that permits multiple instructions to execute concurrently. In particular, the authors explore the elegant model of dynamic multithreaded algorithms, which are amenable to algorithmic design and analysis, as well as to efficient implementation in practice.
Contents:
- Dynamic multithreaded programming
- The basics of dynamic multithreading
- A model for multithreaded execution
- Performance measures
- Scheduling
- Analyzing multithreaded algorithms
- Parallel loops
- Race conditions
- Multithreaded matrix multiplication
- Multithreaded merge sort
(And we would love to hear your feedback on it!)
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Tolkien e i Cohabiters
I narratori passano, le storie restano e continuano a essere raccontate. L'autore è un ricettore, un elaboratore di archetipi e stilemi che l'hanno preceduto e che gli sopravvivranno."
Il premier all'Aquila annuncia: farò Bertolaso ministro
«Credo che tutti possono immaginare che dopo l'exploit straordinario che Guido ha fatto in questi 10 mesi il minimo che possiamo dargli come riconoscimento in merito è la nomina a Ministro», dice il premier e torna, nel contempo, ad attaccare i quotidiani: «L'Italia che ama», quella che si è vista in Abruzzo dopo il terremoto, «è in grado di fare cose straordinarie e mirabili, e non quello che leggiamo su troppi quotidiani che sono diventati fabbriche di invidia sociale e anche di odio».
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Vietare il burqa non aiuta a liberare le donne
Primo punto fermo per me è che il burqa è una prigione, una forma violenta di sopraffazione maschile, un modo per annientare la personalità della donna, per farla scomparire, nasconderla, negarle l’identità. È certo che rappresenta una tradizione e che ha poco a che fare con la religione. Nel mondo occidentale certamente essa contrasta coi principi dell’eguaglianza e della pari dignità fra uomini e donne. Ma io sono convinta che la scelta del divieto per legge sia sbagliata perché non aiuterebbe le donne nell’emancipazione. Anzi, ne rafforzerebbe la segregazione all’interno della famiglia. L’uomo che obbliga la moglie al burqa sarebbe così facilmente disposto a concederle di uscire senza?
Il paragone con la situazione francese tiene fino a un certo punto. La Francia ha una legge sulla laicità da più di un secolo, nel 2004 ne è passata un’altra che vieta di indossare simboli religiosi a scuola, il termine laicità compare nella Costituzione. In Italia, dove peraltro non mi risulta che l’uso del burqa sia così diffuso, la laicità e la libertà femminile non sono proprio gli elementi più condivisi e sostenuti nella destra. Allora, il problema non esiste? Certo che esiste; ma la via, che non ha alternative, e che trovo più efficace è quella di utilizzare tutte le norme già esistenti, come la legge del 1975 che prescrive di essere e identificabili nei luoghi pubblici e affidare il resto a ulteriori regolamenti della Pubblica amministrazione. Tra l’altro, c’è da sottolineare che una legge di divieto non avrebbe senso senza una sanzione (alcune proposte prevedono addirittura l’arresto!), che in questo caso sarebbe doppiamente punitiva nei confronti delle donne. I comportamenti delle giovani, che arrivano a ribellarsi alle famiglie tradizionali, purtroppo talvolta anche a costo della vita, sono la prova che si può lavorare su un processo intelligente di integrazione che comprenda le donne e il loro bisogno di liberazione. Occorre puntare sull’educazione anche degli uomini, sul dialogo con l’associazionismo islamico e sulla scuola, con regole certe su diritti e doveri delle persone immigrate. Ma prima di tutto bisogna abbandonare la cultura della demonizzazione degli immigrati e avere comportamenti più inclusivi."
A caccia tutto l'anno, l'ultima follia del Pdl
Oggi, all’inizio dell’anno dedicato dall’ONU alla Biodiversità, si cerca di riaprire un tema che, grazie alla Legge sulla Caccia, approvata con grande maggioranza nel 1992, si riteneva ormai accantonato.
Tra le norme della Legge vigente c’è quella, importantissima, che limita, stando alle indicazioni dell’Unione Europea, il periodo venatorio dai primi di settembre al 31 gennaio.
Ieri, al Senato, nel corso del dibattito per la legge comunitaria - nonostante il parere negativo del Ministero dell’Ambiente, quello dell’Istituto Superiore Per la Ricerca e la Protezione Ambientale, la bocciatura, per ben tre volte, nel 2009, del Governo e di varie Commissioni parlamentari, le proteste di personaggi come il Ministro Michela Brambilla, Dacia Maraini e infine la denuncia di più di 100 associazioni ambientaliste e culturali, contrarie a un’estensione dei termini per l’attività venatoria - l’emendamento proposto dal Senatore Santini (Pdl) ora divenuto articolo n°38, sostenuto dal ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi, è passato.
Questa norma tende a ridare alle Regioni (una volta approvata dalla Camera) la possibilità di autorizzare l’attività delle doppiette anche prima di settembre e dopo il 31 gennaio, andando a colpire animali ancora immaturi e uccelli migratori in viaggio verso i siti di riproduzione. Oltre a questo, il 90% dei cittadini che si sono espressi contro l’ampliamento del periodo di caccia, saranno obbligati, in tempo di vacanze, a sopportare le sparatorie dei cacciatori, favoriti oltretutto da un articolo del Codice Civile che autorizza (unico Paese del mondo) ai soli cacciatori a penetrare senza permesso nei terreni altrui.
E poi si considera inaccettabile il fatto che una minoranza di 700.000 persone, circa l’1% della popolazione, possa arrogarsi il diritto - facendo leva su una classe politica più sensibile ai voti che alle esigenze collettive - di disporre a suo piacimento della fauna che la legge definisce “patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”. A parte i danni che questo provvedimento, se promulgato, arrecherà alle specie che, grazie a una tregua ventennale son tornate a nidificare nel nostro Paese, c’è da aspettarsi che l’Unione Europea, vedendo ignorate le proprie richieste, infligga all’Italia pesanti sanzioni economiche, addossando all’intera popolazione sanzioni di cui solo i cacciatori e i loro sostenitori politici sono in realtà responsabili.
Le Associazioni ambientaliste e culturali che costituiscono il volontariato (ricordo che queste, stando a un recente sondaggio, sono al primo posto tra le varie istituzioni di cui gli italiani hanno più fiducia) dovranno, ancora una volta, movimentarsi con manifestazioni, denunce e costosi ricorsi contro chi, per il proprio interesse, attenta a un patrimonio di tutti. Ma sarà una fatica dura. Anche perché sono alle porte altre indecenti proposte, come la licenza di caccia ai sedicenni, la caccia nelle aree protette, l’aumento del numero delle specie cacciabili e altre piacevolezze.
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La verità su B. raccontata dal suo ex avvocato
«Conosco bene il modo con cui Berlusconi chiede ai suoi legali di fare le leggi ad personam, perché fino a pochi anni fa lo chiedeva a me. E, contrariamente a quello che sostiene in pubblico, con i suoi avvocati non ha alcun problema a dire che sono leggi per lui. Per questo oggi lo affermo con piena cognizione di causa: quelle che stanno facendo sono norme ad personam».
Carlo Taormina, 70 anni, è stato uno dei legali di punta del Cavaliere fino al 2008, quando ha mollato il premier e il suo giro – uscendo anche dal Parlamento – a seguito di quella che lui ora chiama «una crisi morale». Ormai libero da vincoli politici, in questa intervista a Piovonorane dice quello che pensa e che sa su Berlusconi e le sue leggi.
Avvocato, qual è il suo parere sulle due norme che il premier sta facendo passare in questi giorni, il processo breve e il legittimo impedimento?
«La correggo: le norme che gli servono per completare il suo disegno sono tre. Lei ha dimenticato il Lodo Alfano Bis, da approvare come legge costituzionale, che è fondamentale».
Mi spieghi meglio.
«Iniziamo dal processo breve: si tratta solo di un ballon d’essai, di una minaccia che Berlusconi usa per ottenere il legittimo impedimento. Il processo breve è stato approvato al Senato ma scommetterei che alla Camera non lo calendarizzeranno neanche, insomma finirà in un cassetto».
E perché?
«Perché il processo breve gli serve solo per alzare il prezzo della trattativa. A un certo punto rinuncerà al processo breve per avere in cambio il legittimo impedimento, cioè la possibilità di non presentarsi alle udienze dei suoi processi e di ottenere continui rinvii. Guardi, la trattativa è già in corso e l’Udc, ad esempio, ha detto che se lui rinuncia al processo breve, vota a favore del legittimo impedimentoı».
E poi che succede? Che c’entra il Lodo Alfano bis?
«Vede, la legge sul legittimo impedimento è palesemente incostituzionale, e quindi la Consulta la boccerà. Però intanto resterà in vigore per almeno un anno e mezzo: appunto fino alla bocciatura della Corte Costituzionale. E Berlusconi nel frattempo farà passare il Lodo Alfano bis, come legge costituzionale, quindi intoccabile dalla Consulta».
Mi faccia capire: Berlusconi sta facendo una legge – il legittimo impedimento -che già sa essere incostituzionale?
«Esatto. Non può essere costituzionale una legge in cui il presupposto dell’impedimento è una carica, in questo caso quella di presidente del consiglio. Non esiste proprio. L’impedimento per cui si può rinviare un’udienza è un impegno di quel giorno o di quei giorni, non una carica. Ad esempio, quando io avevo incarichi di governo, molte udienze a cui dovevo partecipare si facevano di sabato, che problema c’è? E si possono tenere udienze anche di domenica. Chiunque, quale che sia la sua carica, ha almeno un pomeriggio libero a settimana. Invece di andare a vedere il Milan, Berlusconi potrebbe andare alle sue udienze. E poi, seguendo la logica di questa legge, la pratica di ottenere rinvii potrebbe estendersi quasi all’infinito. Perché mai un sindaco, ad esempio, dovrebbe accettare di essere processato? Forse che per la sua città i suoi impegni istituzionali sono meno importanti? E così via. Insomma questa legge non sta in piedi, è destinata a una bocciatura alla Consulta. E Berlusconi lo sa, ma intanto la fa passare e la usa per un po’ di tempo, fino a che appunto non passa il Lodo Alfano bis, con cui si sistema definitivamente».
Come fa a esserne così certo?
«Ho lavorato per anni per Berlusconi, conosco le sue strategie. Quando ero il suo consulente legale e mi chiedeva di scrivergli delle leggi che lo proteggessero dai magistrati, non faceva certo mistero del loro scopo ad personam. E io gliele scrivevo anche meglio di quanto facciano adesso Ghedini e Pecorella».
Tipo?
«Quella sulla legittima suspicione, mi pare fossimo nel 2002. Gli serviva per spostare i suoi processi da Milano a Roma. Lui ce la chiese apertamente e noi, fedeli esecutori della volontà del principe, ci siamo messi a scriverla. E abbiamo anche fatto un bel lavoretto, devo dire: sembrava tutto a posto. Poi una sera di fine ottobre, verso le 11, arrivò una telefonata di Ciampi».
Che all’epoca era Presidente della Repubblica.
«Esatto. E Ciampi chiese una modifica».
Quindi?
«Quindi io dissi a Berlusconi che con quella modifica non sarebbe servita più a niente. Lui ci pensò un po’ e poi rispose: “Intanto facciamola così, poi si vede”. Avevo ragione io: infatti la legge passò con quelle modifiche e non gli servì a niente».
Pentito?
«Guardi, la mia esperienza al Parlamento e al governo è stata interessantissima, direi quasi dal punto di vista scientifico. Ma molte cose che ho fatto in quel periodo non le rifarei più. Non ho imbarazzo a dire che ho vissuto una crisi morale, culminata quando ho visto come si stava strutturando l’entourage più ristretto del Cavaliere.
A chi si riferisce?
«A Cicchitto, a Bondi, a Denis Verdini, ma anche a Ghedini e Pecorella. Personaggi che hanno preso il sopravvento e che condizionano pesantemente il premier. E l’hanno portato a marginalizzare – a far fuori politicamente – persone come Martino, Pisanu e Pera. E adesso stanno lavorando su Schifani».
Prego?
«Sì, il prossimo che faranno fuori è Schifani. Al termine della legislatura farà la fine di Pera e Pisanu».
Ma mancano ancora tre anni e mezzo alla fine della legislatura…
«Non credo proprio. Penso che appena sistemate le sue questioni personali, diciamo nel 2011, Berlusconi andrà alle elezioni anticipate».
E perché?
«Perché gli conviene farlo finché l’opposizione è così debole, se non inesistente. Così vince un’altra volta e può aspettare serenamente che scada il mandato di Napolitano, fra tre anni, e prendere il suo posto».
Aiuto: mi sta dicendo che avremo Berlusconi fino al 2020?
«E’ quello a cui punta. E in assenza di un’opposizione forte può arrivarci tranquillamente. L’unica variabile che può intralciare questo disegno, più che il Pd, mi pare che sia il centro, cioè il lavorio tra Casini e Rutelli. Ma se questo lavorio funzionerà o no, lo vedremo solo dopo le regionali».
Tensione tra Cina e Stati Uniti
http://www.ilgiornale.it/esteri/pechino_rapporti__a_rischio_usa_danno_armi_taiwan/armi-cina-obama-taiwan-pechino/30-01-2010/articolo-id=417960-page=0-comments=1
I delinquenti norvegesi e il falso di Granzotto
Stamattina a Radio24, nell’apertura di Alessandro Milan, ci si è a lungo esercitati nella decriptazione della frase di Berlusconi sugli extracomunitari, peraltro correttamente fornita nella sua versione originale dalla stessa emittente e facilmente reperibile su YouTube.
Voleva proprio dire solo «extracomunitari» o voleva dire «clandestini», visto che a questi ultimi si era riferito nella frase immediatamente precedente?
Quel che voleva dire ovviamente lo sa lo solo lui e ci importa pochissimo: perché, comunque sia, in quello che ha detto non c’è niente di strano né di così nuovo: siamo in campagna elettorale, lui è alleato-concorrente del partito i cui leader urlano «Padania bianca e cristiana» e «pulizia etnica contro i bambini dei zingari», quindi quel che ha detto ha scopi chiari a tutti, e cioè gli immigrati ci stanno sulle balle, non vogliamo un’Italia multietnica etc.
Dopodiché, semmai, potremmo divertirci a considerare le conseguenze paradossali dell’outing berlusconiano valutandone entrambe le interpretazioni.
Se voleva dire solo «extracomunitari», si tratta di un razzista molto eccentrico e anomalo, perché attribuendo la tendenza alla criminalità a tutti coloro che hanno un passaporto non Ue porta a dedurre, ad esempio, che un norvegese tenda a delinquere più di un romeno, tesi che forse farebbe rizzare i capelli a più d’uno tra i suoi elettori.
Se invece intendeva dire che a delinquere di più sono gli irregolari – o clandestini che dir si voglia – il cavaliere ha ammesso quel che tutti sappiamo da anni: e cioè che – se non viene loro data la possibilità di regolarizzarsi – molti immigrati finiscono nei giri della criminalità. Ovvio: chi (in quanto clandestino) non può essere assunto regolarmente da nessuna parte neanche se ha due lauree, ha la scelta se finire schiavo a Rosarno o spacciare hashish in piazza Vetra, e mi chiedo quante persone, di qualsiasi etnia, preferirebbero la prima ipotesi. Il sillogismo berlusconiano quindi si chiude – se appunto intendeva riferirsi solo ai clandestini e non agli extracomunitari nella loro totalità – con un’esigenza pressante di regolarizzazione: il che non mi pare esattamente nei suoi programmi.
In tutto ciò, tuttavia, vorrei far notare che sul tema anche la destra italiana – o meglio, quel gruppo d’interessi che da quindici anni ha rubato il nome alla destra – si è divisa verticalmente.
Così “Libero” oggi titola a pagina 16: «Il Cav ha i numeri:”Meno stranieri meno reati”»: insomma, non si tenta di imbellettare la frase del Cavaliere, anzi la si peggiora perché il premier ha detto “extracomunitari” e non “stranieri”, ma chissenefrega.
Assai più divertente è il fatto che invece il Giornale si affidi alla penna di Paolo Granzotto per rifare i connotati alla frase berlusconiana, sostenendo la veridicità un virgolettato interpolato (ha aggiunto proprio la parola “clandestini” dove non c’era) e quindi accusando quei biechi della sinistra di aver usato il bianchetto. Eppure basta confrontare il testo di Granzotto con l’audio su YouTube e, ahimè, non c’è più nulla da discutere: o Granzotto è un falsario oppure è un pazzo, perché ha lanciato la stampella contro il nemico senza aver né visto il video né sentito l’audio del Cavaliere.
Ci si chiede quindi che cosa farà adesso, quando forse qualche pietoso collega di via Gaetano Negri gli farà vedere il video su YouTube. Si suiciderà per la vergogna come un ufficiale giapponese? Si scuserà pubblicamente con i suoi lettori? O se ne fotterà tranquillamente e farà finta di niente, senza degnarsi nemmeno di pubblicare uno straccio di rettifica?
"Odio e amore ai tempi di Feltri
Vittorio Feltri, cui è stata indirizzata nei giorni scorsi, e peraltro recapitata a un indirizzo sbagliato, una busta contenente una misteriosa polverina bianca, addebita questo gesto intimidatorio, assieme all’attentato di Tartaglia e al fermo di un tipo che si aggirava nei pressi di una delle abitazioni di Berlusconi, al 'clima d’odio' che si è creato in questo paese ad opera di coloro che si oppongono al Cavaliere.
Scrive Feltri: “Questo comunque è il bel clima che si è creato in Italia negli ultimi anni grazie al contributo di tanti odiatori professionali. Ciascuno porta il suo sassolino ‘odioso’ e presto avremo davanti agli occhi una montagna di odio e a quel punto ci accorgeremo che è troppo tardi per evitare un funerale”. Insomma un 'delitto Matteotti' alla rovescia. Vittorio Feltri, che è sempre stato un giornalista di battaglia e che ha sempre usato, e usa, toni forti e molto spesso violenti, dovrebbe avere la cortesia di spiegarci oltre quale limite la critica diventa odio.
Il Codice penale come limite alla libertà di espressione non contempla l’odio, ma l’ingiuria, la diffamazione e la calunnia. E allora, essendo l’odio un sentimento, e come tale non misurabile, come facciamo a regolarci? Tutto ciò che è ostile a Berlusconi può essere odio. Anche il Palavobis, i 'girotondi', il grande raduno di piazza San Giovanni di qualche anno fa che raccolse un milione di persone, non certo tutte di sinistra, contro le leggi “ad personam” e che si svolsero sempre nel modo più pacifico e controllato, senza il bisogno di ambigui 'servizi d’ordine', sono stati bollati come “manifestazioni di odio” non solo da Pierluigi Battista ma dal ben più autorevole Marco Barbone, uno degli assassini di Walter Tobagi, che scriveva: 'I girotondi costituiscono, che gli piaccia o no, il milieu culturale al cui interno una scelta sciagurata come la lotta armata trova appoggio, silenzio, conformismo omertoso di stampo mafioso' (Quotidiano Nazionale, 29/3/2002).
E così siamo sistemati. È fin troppo evidente che la categoria dell’odio serve per zittire ogni critica al manovratore, col ricatto di essere i mandanti morali di qualsiasi cosa accada allo stesso manovratore o ai suoi fedeli. Se si accetta questa intimidazione anche quel poco di libertà di stampa che è rimasta in Italia ha chiuso. Io non accetto la categoria dell’odio.
Ma visto che i berluscones ci trascinano per i capelli mi metterò sul loro stesso piano. Il più grande seminatore d’odio in questi anni è stato proprio Silvio Berlusconi. Non più di qualche giorno fa ha chiamato ‘plotone d’esecuzione’ i magistrati di Milano, dichiarazione che ne segue infinite dello stesso tenore. Sono manifestazioni d’amore? Qualche mese fa, da Praga, ha bollato come 'farabutti' tutti coloro che nei giornali, nelle tv, in Parlamento gli sono ostili. Sono dichiarazioni d’amore? Tempo addietro definì 'criminali' Luttazzi, Travaglio e Freccero.
Sono manifestazioni d’amore? Di Di Pietro disse 'è un uomo che mi fa orrore'. È una dichiarazione d’amore? In terra di Spagna, a proposito di Mani Pulite, parlò di 'guerra civile', così evocandola. Ma soprattutto ha spaccato l’Italia in due: fra i suoi e gli altri, tutti comunisti e, naturalmente, “odiatori”.
Comunque sia è la prima volta nella Storia che il Capo di un paese pretende di essere amato. Hitler e Stalin volevano essere temuti, non pretendevano di essere anche amati. Sembrava troppo persino a loro. Noi invece dobbiamo voler bene a Berlusconi, ci è vietato detestarlo, questo vecchio, caro, simpatico, amorevole, innocente ragazzo, pena la discesa nel girone infernale degli 'odiatori professionali'. Feltri, vai 'a dar via i ciapp', pirla. Ti odio.
da il Fatto Quotidiano del 30 gennaio"
Intel, Micron take NAND lead, roll 25-nm chip
Nokia sta un po' meglio
Crisafulli: lasciato solo, vado a morire in Belgio
Risultati? Praticamente nessuno: una manciata di ore di assistenza settimanali garantite. Più una presa in giro, che un’assistenza. C’è il fisioterapista, c’è l’infermiere, ma non c’è nessun piano individualizzato, nessuna possibilità reale di una seria assistenza domiciliare: «Non ci sono soldi», dicono dal comune e dalla regione, «Non possiamo fare nulla», dicono dal governo. E l’assistenza necessaria (24 ore, o almeno 12, al giorno) rimane un miraggio. E allora, ecco l’ultimo disperato tentativo: praticamente un ultimatum, per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità.
La “sfida” allo Stato si chiama eutanasia: Salvatore Crisafulli morirà e il governo, le regioni, le Asl saranno ben contenti perché “potranno risparmiare”. Vicino Bruxelles, in una clinica, con la televisione belga a raccontare la vicenda. Il gesto estremo, disperato, finale. A meno che… A meno che, ma ormai non pare crederci neppure il fratello Pietro Crisafulli, non arrivi una risposta immediata e forte dal governo. Un decreto, come quello che un anno fa, di questi tempi, occupava le prime pagine dei giornali: quel decreto legge che avrebbe dovuto salvare la vita di Eluana Englaro e che si insabbiò di fronte alla contrarietà del capo dello Stato. Un decreto, vale a dire un segno del governoper garantire un’assistenza degna alle persone in stato vegetativo e a quelle con disabilità gravissime che vivono «abbandonate da tutti» nel silenzio delle loro abitazioni. Non altre promesse. No, quelle ci sono già state, e non hanno portato a niente.
«Parlano di vita, difendono la vita, ma la difendono solo a chiacchiere: dovrebbero vergognarsi», dice Pietro Crisafulli, che incalza: «Che lottiamo a fare per una vita così? Se non esiste soluzione, se non si può fare nulla, così come dicono, perché non ci sono soldi, e allora facciamoli morire e basta». Programmi individualizzati di assistenza domiciliare ne esistono, per rendere meno gravosa la situazione dell’intera famiglia Crisafulli, che già provata dall’esperienza di Salvatore ha dovuto fare i conti, alla vigilia del Natale appena trascorso, con un nuovo dramma, quello di Marcello. Fratello di Pietro e Salvatore, Marcello Crisafulli è stato investito a Catania il 24 dicembr. Un dramma nel dramma, nel mezzo dei giorni di festa, con le inevitabili conseguenze fisiche e psicologiche sull’intera famiglia. Aggravate, a fine anno, dalla sospensione a livello regionale del piccolo servizio di assistenza che garantiva la presenza di un operatore vicino a Salvatore per due ore al sabato e una alla domenica. E lui, venuto a sapere dell’incidente al fratello, dopo aver per lungo tempo gridato la sua voglia di vivere, ora ha deciso di lasciarsi andare.
(da Redattore Sociale.it)
"
Adobe si lamenta di Linux
Mike Melanson, capo progetto per portare flash player su linux, ha iniziato una battaglia contro le api per l’accelerazione video sotto linux.
Critiche che potrebbero avere anche un fondamento, ma portate da chi non ha mai dato segno di impegnarsi seriamente nello sviluppo sembrano più una scusa per dire che la colpa è di altri.
Melason ripete più volte che il player Flash è diverso dalle normali applicazioni video per Linux che devono solamente riprodurre filmati perché deve svolgere più lavoro rispetto a queste ultime come una conversione aggiuntiva YUI-RGB.
Come se non bastasse Melanson afferma anche che non c’è supporto per il coprocessore Broadcom Crystal HD perché i driver per linux non sono ancora pronti. Driver che sono open source e già utilizzati dal progetto XBMC per la decodifica dei video 1080p.
Forse non c’è molto da stupirsi se non esiste una versione decente di flash se a dirigere lo sviluppo è uno che afferma cose come questa. Cosa ne pensate voi?
Via | Phoronix
venerdì 29 gennaio 2010
La Russa, il bar e quel socio estorsore
Milano, le relazioni pericolose dei notabili di An
di Davide Milosa
Mafia, soldi e brutti affari. L’inciampo riguarda il ministro della Difesa Ignazio La Russa e uno dei suoi fedelissimi, il deputato Pdl, già assessore alla regione Lombardia, Massimo Corsaro, entrambi, ancora oggi, presenti in due società assieme a un imprenditore pizzicato a fare estorsioni con gli uomini della ‘Ndrangheta milanese.
Lo scenario emerge dalla requisitoria del pm Celestina Gravina che il 16 dicembre scorso, nell’ambito di un processo contro le cosche calabresi, per quell’imprenditore ha chiesto e ottenuto 6 anni di carcere aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso. Facciamo un passo indietro.
È il 18 settembre 2007, quando per la prima volta il pentito Luigi Cicalese inizia a raccontare una storia: 'Quella dei tre che truffarono un bar'. Due anni dopo, durante la requisitoria, il pm prosegue, puntualizza. Prima di tutto: 'Si tratta del Gibson bar, un bellissimo locale nel centro di Milano in via Castel Morrone, angolo via Ristori'.
Bello, ma soprattutto ben frequentato. 'Dai primi anni 2000 è diventato il bar di elezione dell’avvocato, ma già onorevole Ignazio La Russa che lo frequentava con il suo entourage'. Allora onorevole, oggi ministro della Difesa di Berlusconi e uomo forte all’interno del Pdl, dopo la svolta del predellino in piazza San Babila, anno 2007.
Questa storia inizia però nel 2002. Racconta di strani rapporti d’affari tra La Russa e alcuni usurai legati a un 'padrino' della ‘Ndrangheta, Giuseppe Onorato da Reggio Calabria, con trentennale presenza sotto la Madonnina.
Mafia e politica. Anche se, va detto, il ministro della Difesa e l’onorevole Corsaro con l’estorsione 'a quei tre che truffarono il bar' non c’entrano, ma c’entrano con le società legate al mandante di quell’episodio, tale Sergio Conti imprenditore di Brugherio, ex titolare di garage, condannato per estorsione con l’aggravante dell’articolo 7. In poche parole l’utilizzo del metodo mafioso, perché per recuperare quel credito dai 'tre che truffarono un bar', circa 300.000 euro, lui si è rivolto a Onorato e ai suoi uomini. Per i due notabili del Pdl, invece, nessuna responsabilità penale, ma certo molta distrazione nello stringere relazioni pericolose.
Di quel bar, il New Gibson, il titolare è un milanese brillante. La Gibson due snc ne detiene le quote fino al luglio del 2003. 'Dall’onorevole La Russa – si legge nella requistoria del pm – deriva la vicenda che questo bar diventa un po’ il luogo di ritrovo di An e quindi ci sono feste e bella gente'. Il titolare e La Russa entrano in confidenza. Poi, improvvisamente nel 2003, alla gestione societaria subentra una signora romena che cambia denominazione in New Gibson due. Alla base dello strano passaggio di proprietà c’è 'la parte oscura' di quel brillante titolare ormai entrato nelle confidenze dei notabili di An.
Il signore, infatti, è gravato da debiti e per questo da tempo è in mano agli usurai. Sul suo libro paga l’elenco degli strozzini è lungo: l’ultimo della lista, nota il pm 'è un tal Ciriello, che però, non è solo perché nell’affare ha portato dentro Conti, il suo finanziatore' . L’ormai ex titolare del Gibson, però, grazie “alla sua faccia illuminata” ottiene addirittura l’aiuto dallo stesso La Russa e da Corsaro. I due notabili di An, infatti, si danno da fare per l’amico e lo aiutano ad aprire un’enoteca. Il locale si trova dalla parte opposta di via Ristori sempre all’angolo con Castel Morrone.
Posto elegante e clientela sofisticata, l’enoteca è di proprietà della Gibson vini srl, società costituita nel 2002. Inizialmente le quote sono divise tra la moglie dell’ex titolare del Gibson, uno degli usurai e lo stesso Conti. Quasi subito la proprietà passa in mano a La Russa, Corsaro e allo stesso Conti, neo condannato per estorsione e amico dei boss. Attualmente l’impresa riporta il medesimo assetto societario. Di più: non è chiusa, né fallita, ma semplicemente in liquidazione volontaria.
Da questi rapporti d’affari con il ministro, Conti sembra cavarci poco e quindi cerca altre strade per recuperare il credito. Alla fine, la migliore porta agli uomini di Giuseppe Onorato. I primi approcci avvengono tramite un notissimo commerciante di carne legato alla ‘Ndrangheta. Attraverso di lui, il messaggio viene recapitato al boss che dà mandato a Emilio Capone, – un napoletano molto elegante –, di iniziare il recupero credito. Assieme a lui ci sono i luogotenenti del boss, Vincenzo Pangallo, detto Jimmy e Tonino Ausilio.
Nel mirino della mafia ci finisce soprattutto l’ex brillante titolare del Gibson. Con i calabresi, Sergio Conti stabilisce che il 50% di quel denaro finirà nelle tasche di Onorato. Nel frattempo l’ex patron del locale di via Castel Morrone sembra scomparso. È terrorizzato, tanto che per precauzione ha spedito la famiglia in una località segreta. Alla fine, siamo nel 2008, anche lui cadrà nella rete ordita da Conti.
L’incontro avviene vicino ai Navigli e lui che ben conosce quegli uomini si fa accompagnare da dodici amici. Particolare che secondo il pm prova l’aggravante del metodo mafioso utilizzato da Conti. L’ex garagista così viene condannato. Eppure non è finita perché , nonostante questa condanna, ancora oggi La Russa e Corsaro risultano in società con Conti. Lo sono nella Gibson vini, ma anche in una società immobiliare, la Gibson immobiliare, con sede in via Ciro Menotti 11, ad oggi semplicemente inattiva.
Da il Fatto Quotidiano del 28 gennaio
La Rai perde 118 milioni nel 2010, Mauro Masi festeggia
Il rosso è meno del previsto : si temevano 245 milioni Sul digitale pochi investimenti. Aumentano i dipendenti
L’'ultima geniale pubblicità di Mauro Masi: come festeggiare il passivo nei conti.
Il direttore generale della Rai annuncia con clamore il rosso di 118 milioni di euro previsto nel 2010. Dicono: un successo insperato, a fronte di una tendenziale di -245 milioni.
Le tendenze durano poco, il tempo di una stagione o di un trimestre di cassa. Eppure i 118 milioni – destinati a lievitare con i nuovi contratti (Maurizio Belpietro, Maurizio Costanzo...) e le liquidazioni – sono pur sempre il doppio dei circa 50 del 2009 (secondo Masi) che, soltanto in aprile, saranno inseriti nel bilancio consolidato.
Il Cda. Il consiglio di amministrazione della Rai – con sei voti a favore, due astenuti (Rodolfo De Laurentiis e Giorgio Van Straten) e un contrario (Nino Rizzo Nervo) – ha approvato il cosiddetto budget: nella manovra finanziaria da oltre 3 miliardi, tra una sforbiciata ai capitali per radio e tv (il 5 per cento) e un aumento del costo del lavoro (il 2,5), l'unica certezza sono le perdite.
E con una mossa di abilità, per cercare un consenso unanime, Masi ha ritirato il piano industriale che, tra cifre e asterischi, è il solo documento che può illustrare le strategie aziendali.
Rizzo Nervo fa a brandelli l'entusiasmo: "Il budget prevede un risultato economico negativo e interventi di una certa importanza concentrati sul prodotto. Il testo è stato presentato come il primo passo verso il piano industriale del prossimo biennio: non l'hanno definito né consegnato".
La Rai è affogata dai debiti verso società terze e tenta di appigliarsi a creditori interni, satelliti del gruppo che soffrono la medesima depressione.
La gestione Masi ha ereditato i milioni "fisiologici" degli ammortamenti e i costi esterni per realizzare le trasmissioni: se i dipendenti crescono di 156 unità e salari e stipendi sfiorano i 950 milioni (più incentivi e pensioni siamo oltre il miliardo per il bilancio), le risorse per le tre reti generaliste e la radiofonia scendono in media del 5 per cento.
Un risparmio di circa 20 milioni presto dirottato sulle assunzioni forzate e le promozioni (in particolare a Radio1 di Antonio Preziosi).
Il buco. Il settembre scorso, in commissione di Vigilanza, Masi aveva pronosticato un buco di 600 milioni sino al 2013: aveva il desiderio – sorvegliato dal governo – di fare bella figura.
Così ieri, deciso che 118 milioni in rosso per quest’anno era un buon risultato, l'azienda ha salvato cinque sedi estere in chiusura: le remote corrispondenze dall'Argentina e dal Kenya.
Tra opere strutturali e incentivi per i palinsesti, il digitale terrestre – che a fine anno raggiungerà il 67 per cento degli italiani – avrà circa 65 milioni di euro per l’acquisto di contenuti.
La pubblicità dovrebbe aumentare del tre per cento, ma era reduce da un crollo del quattro. Non cambia molto in Rai, tranne il passivo che raddoppia.
Presidio a Milano. La novità è l’ufficio del Tg1 ordinato dal direttore Augusto Minzolini a Milano e affidato al vice Enrico Castelli, affiancato da una collega di Raisport (Federica Balestrieri) e una redattrice (Elena Fusari).
L'assemblea del sindacato ha deciso all’unanimità un giorno di sciopero per protestare contro l'invasione minzolinana e per proteggere la testata regionale.
Da il Fatto Quotidiano del 29 gennaio
È morto Salinger, ma Holden vive ancora
Samsung revenue up 19% on strong chip sales
Chip makers swing to profitability
ST owns EU-registered iPad trademark
Soaring DRAM prices push Elpida into Q3 profit
Motorola posts Q4 profit even as sales decline
PD e la riforma del diritto del lavoro - Proposte a confronto
Cina: Android, avanti
Cosentino va arrestato
La Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza di cattura verso l’esponente del Pdl. E il Tg1 censura
Nicola Cosentino, se fosse un cittadino normale, domani mattina dovrebbe presentarsi ai carabinieri per farsi accompagnare in carcere.
Lo ha stabilito la Cassazione rigettando il ricorso contro l’ordinanza di cattura nei suoi confronti presentato dai legali del sottosegretario all’economia.
Ora sono 8 i magistrati che concordano nel voler tenere dietro le sbarre l’uomo al quale il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha conferito le deleghe per il Comitato Interministeriale Programmazione economica e per le frequenze radio-tv.
I pm napoletani Giuseppe Narducci e Alessandro Milita, il gip Raffaele Piccirillo, e ora anche i cinque ermellini di lunga esperienza che compongono la prima sezione della Corte di Cassazione concordano nel volere arrestare questo 51enne che mastica pane e politica dal 1978, quando fu eletto consigliere a Casale di Principe.
Alla luce della decisione della Cassazione vale la pena di rileggere gli ultimi due paragrafi dell’ordinanza confermata ieri (ma bloccata nella sua esecuzione il 10 dicembre scorso dalla Camera con il diniego dell’autorizzazione a procedere).
In poche pagine il gip Raffaele Piccirillo, con una chiarezza rara nei documenti giudiziari, elenca gli elementi a carico e, tra parentesi, i nomi dei pentiti che li hanno riferiti. Le 'convergenze' del loro racconto sono 'significative' su questi fatti:
'a) il sostegno offerto dal clan dei Casalesi a Nicola Cosentino in occasione delle elezioni provinciali casertane del 1990 (dichiarazioni dell’imprenditore dei rifiuti Gaetano Vassallo e del cugino del boss dei Casalesi, Nicola Schiavone detto Sandokan, Carmine Schiavone);
b) il sostegno offerto in occasione delle elezioni regionali dell’anno 1995 (tre pentiti: Dario De Simone, Raffaele Ferrara e Domenico Frascogna);
c) il sostegno nelle elezioni politiche del 2001 (ancora Gaetano Vassallo e il suo socio in affari Michele Orsi);
d) la disponibilità esplicitata da Cosentino verso i supporters elettorali di estrazione camorrista (Gaetano Vassallo, Dario De Simone, Domenico Frascogna);
e) il rapporto di protezione e confidenza con il boss Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ’e mezzanotte, e con il cugino Bernardo Cirillo (dichiarazioni di Gaetano Vassallo, Anna Carrino, Domenico Bidognetti);
f) il sistema di individuazione dall’alto del candidato da sostenere e la diramazione del messaggio ai capizona (dichiarazioni di Domenico Bidognetti, Dario De Simone, Raffaele Ferrara, Domenico Frascogna)'.
In sostanza, secondo il gip e la Cassazione che ne ha confermato il provvedimento, 'è provato – al livello di gravità indiziaria richiesto per l’arresto – lo scambio ‘voti contro favori’' tra i clan e il sottosegretario.
Secondo i giudici, Nicola Cosentino ha stabilito dal 1990 un rapporto con il boss del clan Bidognetti, Francesco, detto Cicciotto ‘ e mezzanotte, ricevendo i voti dei clan in almeno tre elezioni, in cambio del suo aiuto per favorire i loro affari. La carica politica per i giudici, non esclude la pericolosità. Anzi. Cosentino 'risulta essere stato sostenuto dall’organizzazione criminale” in troppe elezioni per non pensare a un “debito di gratitudine'.
Ora che la massima magistratura ha dato ragione ai pm, Cosentino e Berlusconi, dovrebbero prenderne atto con le immediate dimissioni. Invece il Pdl non ha battuto ciglio. E, a parte l’eccezione di un paio di parlamentari più sensibili come Laura Garavini del Pd o Luigi Li Gotti dell’Idv, l’opposizione è stata tiepida.
Eppure per i giudici napoletani e della Cassazione, il problema è concreto e urgente: Cosentino deve andare in carcere perché 'è un politico di caratura medio-alta in costante ascesa che controlla molte delle amministrazioni comunali che (in materia di rifiuti, ndr) conferiscono alla società mista gli affidamenti diretti' e che – secondo i giudici – agli affari dei clan – 'ha prestato il proprio contributo'.
Il problema è talmente attuale che da poco la procura ha presentato una seconda richiesta di arresto, rigettata però dal gip, per corruzione, sempre nel settore rifiuti. A ben vedere, le motivazioni della richiesta di arresto da parte dei magistrati sono le stesse della grande gratitudine del premier che continua a coprire il suo uomo in Campania: Cosentino è stato l’interfaccia tra la malapolitica e i clan nella gestione del problema rifiuti.
Il premier lo premia con il suo appoggio incondizionato perché ricorda con gratitudine le immagini di Napoli liberata dai rifiuti.
I pm lo vogliono in carcere perché pensano di avere scoperto cosa si nasconde dietro le quinte di quel successo mediatico. Sulla sentenza della Cassazione, da segnalare l’ennesimo censura del Tg1 di Minzolini.
Da il Fatto Quotidiano del 29 gennaio
Why The iPad Is Crap Futurism [Rant]
Inviato da Antonio Furno tramite Google Reader:
The real question about Apple's new multitouch pseudo-computer, dubbed the iPad, is not whether it sucks or rocks. What all of us really want to know is whether it will change the future. The answer? Yes, but badly.
The iPad And The World Of Tomorrow
For those who spent yesterday glued to the State of the Union address instead of tech news feeds, Gizmodo has a terrific summary of Apple's new device. To break it down: The iPad looks basically like an iPhone, but with a 9.7 inch screen. It runs the same software as the iPhone, can connect to the internet, and seems to work nicely for reading books, newspapers and magazines, watching video, checking Google maps, reading your email, surfing the web, and casual gaming. Like the iPhone, it has no keyboard - you can touch-type on the screen. (It also has a keyboard attachment that you can buy separately.)
Why is this outsize version of the iPhone so important that the internet basically exploded over it yesterday? Mostly because Apple's last two new mobile devices - the iPod and the iPhone - changed the way people think about computers. They really did change the future, by making it glaringly obvious that computing devices are not all desktop PCs - they can be specialized music players, or telephone/internet toys that put the web in your pocket. They are the beautiful, cool poster gadgets for the mobile computer generation; they are what we imagine when we think of tomorrow's machines.
The Mythical Convergence Device
The iPad promises to be just as revolutionary as its predecessors, for one reason. It embodies, as much as possible, the mythical convergence device that technophiles have been craving for almost two decades. The convergence device, which people began to discuss seriously in the 1990s, would be a unified gadget where you could consume many kinds of media, especially TV and the web, with the same gadget.
This is exactly what the iPad does, helped along by the fact that so much television is available online already. And you can add books to this convergence, too (possibly even with a Kindle app). The iPad is also the perfect shape for a convergence box. Its screen is about the size of a quality paperback or small television set. There's none of that scrunching your forehead as you peer into the teeny screen of the iPhone to read a book or watch YouTube.
What I'm saying is that the iPad appeals to a very deep and longlived fantasy in the consumer electronics world: A device that does it all. At least, if all you want to do is consume media.
And there's the problem.
Reinventing The Television
Apple is marketing the iPad as a computer, when really it's nothing more than a media-consumption device - a convergence television, if you will. Think of it this way: One of the fundamental attributes of computers is that they are interactive and reconfigurable. You can change the way a computer behaves at a very deep level. Interactivity on the iPad consists of touching icons on the screen to change which application you're using. Hardly more interactive than changing channels on a TV. Sure, you can compose a short email or text message; you can use the Brushes app to draw a sketch. But those activities are not the same thing as programming the device to do something new. Unlike a computer, the iPad is simply not reconfigurable.
The iPad emulates television in another way, too: You can channel surf through the Apps Store, but you can't change what's playing. Every single app that's available for the iPad has to be approved by Apple first, just like apps for iPhones. That means censorship of "offensive" apps, no apps that compete with Apple (i.e., no Google Voice), and no random app somebody wrote to do whatever obscure shit you want to do. So you've got thousands of channels and nothing on. You can only keep flipping through the channels, hoping in vain to see something other than reruns of Cheaters and Alf.
If you want something new, there are very limited ways of getting it. You can write an app, and it might be accepted to the Apps Store. Or you can write your own (unacceptable) app and hand it out to a few friends, if you and they are technically savvy enough. But most users won't be in that position.
As futurist Jamais Cascio told io9:
This is Apple's big push of its top-down control over applications into the general-purpose computing world. The only applications that will work with the iPad are those approved by Apple, under very opaque conditions. On a phone, that's borderline acceptable, but it's not for something that is positioned to overlap with regular computers.
The iPad has all the problems of television, with none of the benefits of computers.
Back To The Shopping Mall
So if it's not a computer, what exactly is the iPad? It could be just a really tarted-up ebook reader, which would make sense if you consider that the iPad is competing with Amazon's Kindle. So it's a reinvention of the book, a fairly old technology, but in a gleaming new package. Except that package isn't even very new, as futurist and science fiction author Karl Schroeder pointed out. He told io9 that the iPad isn't about brilliant hardware innovation, and that in fact the device doesn't even use state-of-the-art ebook tech like e-ink.
Speaking to us via email, Schroeder said:
What Apple has done (again) is seize the moment with a combination of a device and a business model . . . even if e-ink provides a better reading experience for books (reading on an iPad will continue to literally mean staring into a lamp, just like reading on a computer screen), it doesn't matter because it's the total package of iTunes, iBookstore, 3G, games, apps etc. that will pull ebook readers along with it. Consider that the iPad is a closed platform that doesn't even multitask; if the technology mattered, those would be major considerations for the buyer. But they won't be, because when you buy an iPad, you buy access to the whole Apple business ecology.
Looked at from this angle, the iPad isn't so much new technology as it is a shiny, pretty doorway to a mall where you can buy everything from books to movies.
The iPad hasn't brought us forward into the future. It's taken us backward to a world of strip malls and televisions.
Another Vision Of The Future
So the iPad takes us back to the 1980s, or maybe even the 1950s. It's likely to be a device that changes our future, but what that means is we're facing a tomorrow where true innovation is sidelined by a device that represents a convergence of old media and shopping.
But as John Connor would say, we can change the future. That might be as simple as pushing Apple to change its App Store policies to make iPads less like TVs and more like computers. As Lifehacker's Adam Pash put it, "The App Store isn't exactly the problem-it's the way Apple runs and limits the App Store." He suggests that Apple could create a special "Restricted section" for its App Store. He continues:
Rather than reject applications that it feels may confuse the user (like they claimed Google Voice or Google Latitude might), or applications that allow users to access naughty pictures, or even applications that it hasn't had time to vet for the App Store proper, [Apple] put those applications in the Restricted section. Before a user is able to install applications from the Restricted section, that user has to agree that the application may confuse their feeble minds, offend their delicate sensibilities, or even slow down their device. Is this such a problem? . . . Even better, [the iPad] could work like the package manager it actually is and allow users to add their own trusted repositories as sources for other applications . . . The point is, users should at least be allowed to flip some switch, somewhere on the machine, that says, "Hey computer, I'm an adult, and I take responsibility over how I use this machine."
A convergence device that can also be reprogrammed the way computers can? Now we're in the twenty-first century.
Another possibility would be for developers and investors to focus on hardware that truly is innovative and futuristic. Schroeder says:
There's really nothing in the iPad that's new; if you want truly new, disruptive tech that would be at a similar price point if commercialized, look at Pranav Mistry's SixthSense and related projects.
SixthSense is a gesture-controlled mobile device with a projector - you can see its telephone app at work above. You project the phone onto your hand and press the buttons. You can also use gestures to take pictures. This is truly the next step in mobile computing, and will likely revolutionize computer networks in ways we can't yet imagine.
What Is To Be Done?
I know a lot of otherwise-savvy consumers and hackers who are already drooling over the iPad and putting in their orders. They hate the idea of a restricted device, but they love the shiny-shiny. I'm not saying that they should deprive themselves of this pretty new toy. What I am saying is that this toy represents a crappy, pathetic future. It is no more revolutionary than those expensive, hot boots I bought at Fluevog, and only slightly more useful.
The only way iPads can truly become futuristic devices is if we hack them so that we can pour whatever operating system we want inside. We need to jailbreak these media boxes so we can install the apps we want, not the ones provided by the Apple shopping mall.
Do not be content with a television when you can have a computer.
Do not be content with yesterday's machines, because the future is before you. Ready to be hacked.
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