domenica 31 ottobre 2010

Android, il miglior affare di Google

Android, il miglior affare di Google: "



David Lawee, vice presidente in Google, ha definito l’acquisizione di Android Inc. il miglior affare di sempre.


Anche se non tutti lo sanno l’azienda dietro Android e fondata da Andy Rubin fu acquisita da Google nel 2005 per una cifra non pubblica, ma che in molti sostengono si aggiri attorno ai 50 milioni di dollari. Ora si stima che il ricavato degli annunci pubblicitari sui cellulari porti nelle casse dell’azienda circa 1 miliardo di dollari all’anno. Da questa cifra vanno, però, tolti i 750 milioni utilizzati per l’acquisizione di AdMob.


Considerando la cifra relativamente bassa per l’acquisizione ed il mercato che ha consentito di generare siete d’accordo con Lawee?


Via | VentureBeat



Android, il miglior affare di Google é stato pubblicato su ossblog alle 16:00 di sabato 30 ottobre 2010.

Firefox 4 rimandato al prossimo anno

Firefox 4 rimandato al prossimo anno: "

firefox 4 2011Firefox 4, che era atteso per novembre o eventualmente per fine anno, vedrà la luce solamente nei primi mesi del 2011, nonostante le sei beta già rilasciate e l’ottimo comportamento del browser.


La notizia è stata riportata da The Register, che afferma di averne parlato con rappresentanti di Mozilla.


La beta 7 di Firefox 4, attesa inizialmente per settembre, al momento è schedulata a novembre, cose si evince dalla nuova roadmap.



Ecco quanto si legge in un messaggio postato da Mike Beltzner, director of Firefox, nella mailing list di mozilla.dev.planning:


As those who have been tracking our nightly builds know, great things are happening with Firefox 4. The user interface changes are converging, the graphics and layout features are wrapping up, and recently the JavaScript engine was dramatically improved. The result is a fast, capable Firefox that provides better speed and responsiveness for web applications and users. Completing this work is taking longer than initial estimates indicated as we track down regressions and sources of instability. As part of our commitment to beta users, we will not ship software before it is ready.


La scelta di Mozilla è di rilasciare Firefox 4 solo quando sarà completamente finito, come riporta Computer World, ricordando che comunque non è la prima volta che Mozilla rinvia un rilascio (era già capitato per Firefox 3.6 un anno fa).


In ogni caso, per chi è interessato a testare la nuova release (che onestamente va già benone), la sesta beta è già disponibile per il download.



Firefox 4 rimandato al prossimo anno é stato pubblicato su ossblog alle 00:57 di giovedì 28 ottobre 2010.

Linux 2.4, addio e grazie per tutto il pesce

Linux 2.4, addio e grazie per tutto il pesce: "

Linux 2.4 è arrivato fra noi all’inizio del lontano 2001 poco dopo la bolla delle .com in un mondo IT che sembra preistoria.


Per la prima volta chi utilizzava Linux aveva a disposizione funzionalità come il supporto per USB e l’ISA “Plug and Play” a cui dopo si aggiunsero LVM, software RAID ed il filesystem ext3. Il supporto a più processori era presente già dalla versione 2.0.x, ma solo con la serie 2.4 ci fu quel balzo prestazionale che fece crescere Linux ancora più velocemente nel settore enterprise.


Attualmente l’ultimo kernel di questa serie è il 2.4.37.10 ed è gestito da Willy Tarreau, ma ci sono sempre meno sistemi che non sono ancora passati al 2.6.x. Quindi, se non ci saranno bug di particolare gravità a settembre 2011 sarà dichiarato EOL, End Of Life. Linux 2.4, addio e grazie per tutto il pesce.


Via | Marc



Linux 2.4, addio e grazie per tutto il pesce é stato pubblicato su ossblog alle 13:00 di domenica 31 ottobre 2010.

Il giorno di MeeGo 1.1

Il giorno di MeeGo 1.1: "Disponibile il nuovo aggiornamento del giovane sistema operativo Intel-Nokia. Per smartphone, netbook, TV e navigatori satellitari che lavorano con ARM o Atom"

Ultime da Londra: ciao ciao Keynes

Ultime da Londra: ciao ciao Keynes: "

Dice un vecchio detto keynesiano che tagliare la spesa pubblica in un momento di ristagno del ciclo è un grave errore, perché deprime la domanda e rallenta ulteriormente le attività economiche. E’ la via seguita da mister Obama, e tutto fa pensare gli costerà cara alle elezioni del Midterm. E’ la via che esagitati alla Paul Krugman vorrebbero seguire ancor più di quanto non sia avvenuto in America. Ed è la via che in Italia è sempre andata per la maggiore, con la differenza che noi l’abbiamo applicata sia negli anni di recessione sia negli anni di crescita. Cioè praticamente sempre, visto che nell’intera serie storica dell’Italia repubblicana in tre soli anni è avvenuta una diminuzione della spesa pubblica in termini reali. Senonché, la buona notizia per i liberisti-mercatisti impenitenti come chi qui scrive, è che finalmente abbiamo le prove che il vecchio adagio keynesiano non vale più. Non ho detto che non vale mai, perché sarebbe una sciocchezza ideologica e grazie al cielo qui abbiamo tanti difetti ma dell’ideologia cerchiamo di fare a meno. Diciamo che l’evidenza di una riclassificazione degli episodi di crisi degli ultimi decenni nei paesi avanzati – curata per esempio da economisti come Alberto Alesina – nonché andamenti in corso oggi in alcuni Paesi, provano finalmente in maniera chiara che è una solenne sciocchezza, non tagliare il deficit pubblico quando le cose vanno male. Ad alcune condizioni.


Nei Paesi ad alto deficit e debito pubblico, e in quelli ad alta intermediazione pubblica del reddito nazionale cioè ad alta spesa pubblica e pressione fiscale, quando l’economia va male un taglio energico alla spesa pubblica non produce effetti depressivi, ma tonificanti. A patto che sussistano almeno tre condizioni aggiuntive. La prima è che l’economia privata abbia una buona componente orientata all’export di beni e servizi. La seconda è che i tagli siano – cioè appaiano agli operatori economici – come duraturi. La terza è che i contribuenti non sentano puzza di ipocrisia da parte della politica, non pensino cioè che quel che all’inizio si presenta come taglio diventerà domani aumento delle tasse.


A onor del vero, per essere corretti sino in fondo bisogna dire che questa conclusione non smentisce solo Keynes, ma anche un fondamento della teoria detta delle aspettative razionali, e cioè il principio di equivalenza ricardiana (anzi equivalenza Ricardo-Barro, per gli addetti) per il quale la scelta della politica di finanziare la spesa attraverso il debito o le tasse non avrebbe effetti sul livello della domanda.


Qual è l’ultima conferma evidente che impugnare la scure contro il leviatano pubblico è un bene? Viene dal Regno Unito. Dopo un’ottima crescita dell’1,2% del Pil nel secondo trimestre 2010, i più si aspettavano una frenata drastica nel terzo, in considerazione dei tagli energici alla spesa pubblica che tutti immaginavano sarebbero stati varati dal governo guidato da David Cameron. Al contrario, nel terzo trimestre la crescita si è rivelata più che doppia delle attese, dello 0,8%. Il ritmo superiore al 2% annuo in due trimestri consecutivi e del 2,8% sull’anno precedente è il migliore del Regno Unito da 10 anni a questa parte. Eppure, il governo Cameron ha varato la più dura manovra taglia deficit dell’intero dopoguerra britannico. Con il deficit pubblico che scenderà dall’11% di Pil quest’anno al 2%, entro soli 4 anni: ben 94 miliardi di euro di tagli alla spesa, 32 miliardi di nuove entrate. In media, ogni ministero subisce un taglio del 19%, ma la logica non è quella lineare adottata in Italia. Il governo Cameron sceglie le sue priorità. Dunque non è vero che le riduzioni in termini reali di spesa pubblica non si possono fare. Non è vero che, facendole, non si debba scegliere che cosa tagliare tantissimo e che cosa tagliare comunque, ma meno o anche per nulla.  L’età pensionabile viene innalzata di 2 anni da 64 a 66 a cominciare dal 2020, cioè 6 anni prima di quanto previsto, e 30 miliardi di pounds sono riservati a un piano straordinario per le infrastrutture , soprattutto ferroviarie. Ben 490 mila dipendenti pubblici usciranno dal perimetro degli occupati pagati dal contribuente britannico. Ci pensate, a qualcosa di simile in Italia? Non c’è solo la Germania, a indicare la via della crescita nel rigore attraverso l’alta produttività della manifattura e dell’export. Il segnale che viene da Londra è di grande speranza. Debiti pubblici galoppanti e banche centrali che li monetizzano sono un mix disastroso, che alla lunga malgrado le illusioni stataliste porta alla sconfitta politica, oltre che alla stagnazione economica.

"

Disoccupazione giovanile e colpe delle famiglie

Disoccupazione giovanile e colpe delle famiglie: "

Viogliamo dirlo che in realtà gran parte della diosoccupazione giovabnile nel nostro Paese è figlia di un colossale errore culturale, più e prima che della debolezza del nostro tessuto produttivo? A me par proprio così, anche se è impopolare dirlo. E mi sembra sia confermato dall’indagine Excelsior Unioncamere rielaborata da Confartigianato di cui ha scritto oggi il Corriere della sera.


Ogni anno, agli studenti in università, sottopongo questionari su svariati argomenti. Non sono tenuti a rispondere, e garantisco naturalmente l’anonimato, ma chiedo loro di farlo per consentirmi di conoscere meglio chi mi trovo di fronte, che cosa pensi e quali idee si sia fatto non solo delle materie che studia, ma soprattutto della professione per la quale ciascuno ha in mente di prepararsi, del mondo del lavoro e dell’Italia più in generale. Anno dopo anno, accumulo questi piccoli test su un campione di un centinaio di studenti quasi sempre alla fine della laurea di specializzazione, ragazzi che in media hanno più 26 o 25 anni che 23 o 24 come dovrebbe essere. Chiedo anche che esperienza di lavoro abbiano accumulato, chi di loro abbia trascorso almeno più di quattro settimane impegnandosi in lavori a tempo o part time, reperiti come e con quale soddisfazione. Il test comprende anche una domanda sulla prima retribuzione attesa, per un’eventuale occupazione a tempo indeterminato. E poi una sulla remunerazione che sarebbe da ciascuno considerata ragionevole e giusta per lavorare a tempo pieno, al di là di quella ottenibile.


Nel mio campione annuale, gli universitari giungono a fine studi senza avere un’esperienza di lavoro vera in circa i due terzi dei casi, e in alcuni anni si sale addirittura a tre quarti. L’anno scorso, la media delle risposte alla domanda “ma tu quanto davvero riterresti giusto esser pagato, per un lavoro che credi di poter svolgere al meglio”, ha barrato la casella 2600-2800 euro. Netti, s’intende. Commentando, dissi scherzando che se mi indicavano in quale galassia stesse il pianeta in cui poteva avvenire una cosa simile, li avrei seguiti nel viaggio siderale. Seriamente, aggiunsi, le vostre aspettative sono così grossolanamente distanti dal vero perché conoscete poco la realtà del lavoro, ne avete un’idea sbagliata e per questo ancor più frustrante di quanto la realtà del mercato sia problematica in sé.


E’ impopolare dirlo, in un Paese dove a prevalere – anche nell’informazione – è la continua denuncia del lavorio sfruttato, del precariato che rapina presente e speranze future di famiglia dei giovani, e delle imprese che pagano poco e vogliono molto. Ma a me sembra che la difficoltà del lavoro giovanile molte volte dipenda da altro. Da un enorme condizionamento culturale, figlio del balzo in avanti nel benessere avvenuto in una sola generazione – tra fine anni 70 e soprattutto negli 80 – mentre per altri Paesi ha richiesto decenni. Moltissime famiglie – anche tra i redditi medi e bassi – tengono artificialmente i propri figli il più a lungo possibile “protetti” da ogni esperienza concreta di lavoro, da ogni seria consapevolezza delle remunerazioni realmente percepite per mansione e qualifica. La licealizzazione e l’università di massa realizzano così un doppio paradosso: un esercito di studenti (e d’insegnanti) frustrati poi perché le scelte d’indirizzo non corrispondono affatto né alla realtà del mercato del lavoro italiano, né tanto meno alle sue remunerazioni, e insieme l’impossibilità di perseguire sul serio merito ed eccellenza.


Non è solo il mio modestissimo test annuale, a comprovarlo. L’ennesima e ben più autorevole conferma è venuta da Confartigianato e dal rapporto Excelsior Unioncamere sulle difficoltà di reperimento di manodopera da parte delle imprese italiane. Apprendiamo così che se la disoccupazione è oggi all’altissima percentuale del 27,9% per i giovani tra 15 e 24 anni, essa al nwetto di un problema forte che continua a sussistere al Sud potrebbe praticamente azzerarsi o quasi altrove se solo formazione e aspettative dei giovani fossero indirizzate al mondo del lavoro vero, e non a uno che non c’è se non nelle menti delle loro ipertutelanti famiglie. Perché anche in questo difficile 2010 il 26,7% del fabbisogno di lavoro delle imprese italiane risulta insoddisfatto. Al vertice della classifica dei lavori rifiutati dai giovani, qualifiche tecniche come quella di installatori di infissi, panettieri e pastai, tessitori e maglieristi, addetti all’edilizia e pavimentatori, falegnami e verniciatori, saldatori e conciatori. Come si vede, qui non stiamo parlando di braccianti o muratori non specializzati, ma di quella che per secoli è stata l’aristocrazia del lavoro artigianale e d’opificio, tramandata con lunghi tirocini per la formazione di un capitale di conoscenza che non è solo manuale, ma interagisce oggi con macchinari e processi avanzati e specializzati.


In Germania questo non avviene, perché quel Paese ha avuto la lungimiranza di mantenere un canale di formazione professionale ad alta priorità nelle scelte sia dell’istruzione pubblica che delle famiglie. Dipendesse da chi scrive, parificherei in tutto e per tutto il tirocinio e l’apprendistato nelle piccole imprese, in quelle artigianali e di commercio, al titolo professionale dispensato dal sistema pubblico, oggi scartato dal più delle famiglie e dai giovani ignorando che retribuzioni per mansioni tecniche specializzate sono superiori a quelle impiegatizie a cui i laureati finiscono spesso per incanalarsi, pieni di delusione.


Ma non bastano solo le riforme ordinamentali e della formazione. Ciò che serve davvero è un cambio di mentalità. Ed è l’intero Paese a doverlo fare. Riconciliarsi con il lavoro vero significa spingere i figli fin da giovanissimi a sporcarsi le mani, a non disprezzare la manualità, a mettersi alla prova, a uscire di casa anche dieci anni prima di quanto ormai capiti. Apriamo tutti gli occhi, questa deve essere la parola d’ordine. Se in larga misura la disoccupazione giovanile deriva da un difetto percettivo, l’incapacità di vedere è nostra, non figlia di un destino cinico e baro.

"

All’anima del commercio

All’anima del commercio

Noi qui a scannarci su censure inesistenti, sulla parolina detta al telefono, sul minutaggio televisivo dell’Udc: e intanto della censura più pericolosa non scriviamo praticamente nulla.

UK, il web vale 115 miliardi

UK, il web vale 115 miliardi: "Produce il 7,5 per cento del PIL britannico e da lavoro a 250mila persone: questo e' il reale impatto economico di Internet sui cittadini di Sua Maesta'. Le cifre del rapporto Google/BCG"

Motorola, ritorno all'utile

Motorola, ritorno all'utile: "Dopo quattro anni la divisione mobile della societa' statunitense torna a generare profitti. Merito dei 9 milioni di dispositivi venduti, tra cui 4 milioni di smartphone. In crescita l'intero business di un'azienda che si sdoppiera'"

Lo scuolabus lascia a piedi due fratellini perché i genitori non hanno pagato il servizio

Lo scuolabus lascia a piedi due fratellini perché i genitori non hanno pagato il servizio: "

La famiglia non ha i soldi per pagare lo scuolabus, così due bambini vengono lasciati a piedi. E’ successo a Menaggio, in provincia di Como, lo scorso 13 ottobre. L’episodio, raccontato oggi dal quotidiano comasco La Provincia, riguarda due fratellini, un maschio e una femmina, di origine maghrebina. A loro non è stata risparmiata l’umiliazione di dover scendere dal bus dopo essere saliti alla solita fermata di via Poletti. Con in mano il provvedimento comunale, lo stesso autista ha detto loro di non poterli caricare a bordo.

L’amministrazione, guidata da Alberto Bobba (Lista civica “Vivere Menaggio”) si è giustificata affermando di aver mandato a casa della famiglia un vigile per informarli di quello che sarebbe accaduto la mattina seguente. Né i genitori né i bambini però parlano italiano. Così all’indomani è accaduto il pasticcio. “C’era una pesante inadempienza economica – spiega a La Provincia l’assessore alla Cultura Fabrizio Visetti – duemila euro tra rette dell’asilo e servizio scuolabus”. Il nucleo familiare è conosciuto dai servizi sociali, che in passato hanno trovato una casa alla famiglia magrebina. “Più volte abbiamo chiesto al capofamiglia di saldare i suoi debiti – spiega sempre Visetti al quotidiano comasco – Il Comune gli ha anche scontato due terzi del debito”. Ora il papà ha pagato quello che doveva. Ma era necessario far scendere i bambini dallo scuolabus davanti a tutti i loro compagni? “Non sapevo dell’accaduto”, si giustifica l’assessore.

Quello di Menaggio non è l’unico episodio in cui vengono discriminati i bambini a causa delle inadempienze delle famiglie. L’episodio più conosciuto è quello di Adro, dove il sindaco Oscar Lancini nell’aprile scorso (quattro mesi prima di inaugurare la scuola con 700 simboli del Sole delle Alpi) aveva escluso dal servizio di mensa scolastica i figli (in larga parte immigrati) delle famiglie morose. A saldare il debito delle famiglie morose è un imprenditore del bresciano che, pur volendo rimanere anonimo, scrive e invia a tutti i giornali una lettera di fuoco per “risvegliare lo spirito di solidarietà dei concittadini”. Arrivano anche 700 euro dal Congo. A mandarli è un padre comboniano che, stupito del “livello di imbarbarimento del vivere comune”, afferma: “I bambini congolesi saranno fieri di un gesto simile”.

Ma i casi di bambini privati di servizi essenziali da amministrazioni a volte troppo zelanti si moltiplicano. A marzo del 2010 il Corriere del Veneto denuncia il caso della scuola di Montecchio superiore (Vicenza) che lascia a pane e acqua i figli di nove famiglie morose, sette straniere e due italiane. Una sorpresa per i bambini che, spinti dal dirigente scolastico Anna Maria Lucantoni, dividono con i meno “fortunati” il menù regolare: pasta alla zucca, hamburger, insalata e frutta. La giustificazione dell’amministrazione, retta da Lega e Pdl, è simile a quella della Giunta di Menaggio: “Abbiamo avvisato più volte del problema, appendendo anche cartelli in più lingue. E poi sono stati richiesti i pagamenti arretrati e la consegna dei moduli in molti modi – specifica l’assessore all’Istruzione di Montecchio Barbara Venturi al Corriere del Veneto – e abbiamo anche posticipato i tempi”.

Anche a Gerenzano (Varese) la mensa scolastica non è per tutti. Con un provvedimento, l’amministrazione comunale retta dal sindaco Silvano Innocente Garbelli della Lega Nord, esclude dalla mensa i figli dei genitori che non pagano il servizio. ”L’utente che accumulerà un debito di 40 euro – si legge nella circolare – non potrà più utilizzare il servizio di ristorazione e il genitore dovrà ritirare dall’istituto scolastico il proprio figlio durante il tempo mensa”. A maggio, il comune aveva distribuito “simbolicamente” per un giorno a due bambini, figli di genitori insolventi, panini imbottiti invece del regolare pasto. ”I debiti dei genitori hanno toccato quota 12mila euro – spiega l’assessore all’Istruzione Elena Galbiati – Vogliamo lanciare un segnale forte, chi non salda i debiti può portare suo figlio a mangiare a casa”.

Ma non tutti i casi raccontano di discriminazioni. A Tarzo, nel trevigiano, il 9 ottobre una giunta guidata da Lega, Pdl e Udc, ha stanziato un fondo di 10mila euro per pagare la retta dell’asilo alle famiglie che non si possono permettere la cifra. Il sindaco Gianangelo Bof, Lega Nord, spiega: ”Dare mille euro a un bambino di 3 anni mi costa meno che intervenire quando ne avrà 16-17 con problemi di delinquenza. Ci sono bambini che non parlano l’italiano. E se lo imparano prima di cominciare le elementari saranno tutti alla pari, facilitando così l’insegnamento”. Bof considera la sua ‘filosofia’ perfettamente compatibile con la Lega, ma non si sente l’anti-Adro, come è stato ribattezzato: ”Nella Lega ci sono diverse anime e io non giudico quello che fanno gli altri. Come ci ha insegnato Zaia nell’ultima scuola-quadri, essere leghista non vuol dire andare in giro con il Sole delle Alpi stampato in fronte, ma credere nel federalismo”. Per me i bambini non hanno nazionalità – conclude il sindaco che, cresciuto in Germania, sa cosa significa “sentirsi stranieri”. “La discriminante non può essere il colore dalla pelle o la forma degli occhi. Da bambino quando subisci una discriminazione non sai fartene una ragione, io lo so bene”

"

Meglio l’orco dei suoi aguzzini

Meglio l’orco dei suoi aguzzini

Un accanimento feroce ha ridotto il dibattito politico a una battuta di caccia. Viene voglia di ritirarsi e non partecipare a questa porca guerra. Ma di fronte alle sentenze di Travaglio e C. non resta che schierarsi

martedì 26 ottobre 2010

I Pink Floyd tornano in incognito E ci vuole poco per riconoscerli

I Pink Floyd tornano in incognito E ci vuole poco per riconoscerli: "

Segreti discografici. David Gilmour alla guida degli Orb pubblica un cd che rinnova il mito della storica band"

L’intervista che Fazio non ha fatto

L’intervista che Fazio non ha fatto: "

C’è voluta Luciana Littizzetto con l’efficacia della battuta comica, per ascoltare una domanda vera diretta a Sergio Marchionne, ieri sera a “Che tempo che fa” (guarda il video). L’umorista torinese ha infatti chiesto esplicitamente che fine fa Termini Imerese e se davvero la chiusura dello stabilimento siciliano è l’assaggio di una Fiat che ormai se ne va all’estero e si “libera” del “peso Italia”. Peccato che Marchionne non fosse più presente e che quindi fosse libero, lui sì, di eludere la domanda. Molto soddisfatto, si suppone, delle domande che fino a qualche minuto prima gli aveva porto con garbo, in oltre venti minuti di intervista (un’enormità in televisione) il buon Fabio Fazio.

Eppure le domande giuste è lo stesso Marchionne a tirarsele dietro, grazie al suo stile diretto, franco, un po’ arrogante ma esplicito. Ecco cosa si poteva chiedere e Fazio si è ben guardato dal fare.

L’Italia, dice Marchionne, è al 118° posto della classifica sulla “Efficienza lavoratoriva” e al 48° nella graduatoria sulla competitività, redatta dal World Economic Forum. Ma quanto è attendibile questa classifica? E, soprattutto, di chi è la colpa? L’Italia è la seconda industria manifatturiera del mondo per prodotto pro-capite e la quinta al mondo per produzione complessiva. Davvero è così scarsa in efficienza lavorativa? La Ferrari e la Maserati del gruppo Fiat dove si collocano, non sono forse in Italia? E come fa a essere produttivo un gruppo che tiene uno stabilimento con oltre 5000 operai, Pomigliano, in cassa integrazione da quasi due anni, che ha già chiuso Termini Imerese e che utilizza la Cassa integrazione a singhiozzo anche per Mirafiori e Melfi? Non è un problema dell’azienda? Ancora, i bilanci recentemente presentati da Fiat parlano di utili prodotti in particolare dalla macchine agricole (Cnh) e dai camion (Iveco). Non sono anche in Italia gli stabilimenti di queste due aziende?

Fazio ha voluto incentrare lo scontro su Pomigliano attorno alla questione delle pause che nell’accordo siglato a giugno vengono ridotte da 40 a 30 minuti. Lo stesso accadrà a Melfi dalla fine del 2011. Ma, come ha spiegato lo stesso Marchionne, «non è questo il punto». In realtà, gli operai non sono contenti di questa soluzione ma è altrettanto chiaro che la stessa Fiom non intende alzare barricate su pause, 18 turni e straordinari. Il punto è infatti un altro, solo che nell’intervista non è stato nemmeno toccato. Si è parlato di «diritti» difesi dal sindacato e «assolutamente non toccati» dall’azienda, come ha sottolineato l’ad Fiat. Ma si poteva tenere una copia dell‘accordo di Pomigliano sotto gli occhi e leggere il punto 15 denominato “Clausole integrative del contratto nazionale di lavoro”: «Le Parti convengono che le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell’efficacia nei suoi confronti delle altre clausole«. Alla clausola 14 inoltre si prevede «che il mancato rispetto degli impegni ivi assunti dalle organizzazioni sindacali e dalle Rsu (…) anche a livello di singoli componenti (…) libera l’azienda dagli obblighi derivanti dal presente accordo nonché da quelli derivanti dal Ccnl Metalmeccanici in materia di: contributi sindacali, permessi sindacali retribuiti, organi direttivi nazionali e provinciali». Insomma i diritti violati dall’accordo sono i diritti stabiliti dal contratto nazionale di lavoro, compreso il diritto ad ammalarsi violato al dispositivo n. 8. Ma di tutto questo Fazio non ha chiesto nulla.

Marchionne ha fatto una promessa in diretta tv: se mi date mano libera, cioè «se rendete le fabbriche governabili porto i salari italiani allo stesso livello di quelli europei», di Francia e Germania, in particolare di quest’ultima presa come riferimento obbligato. Bene. In Germania i salari sono circa il doppio di quelli italiani – alla Volskswagen si oscilla tra i 2500 euro al mese e i 3000 e si lavora 32 ore la settimana; in Italia si oscilla, per 40 ore contrattuali tra i 1200 e i 1500 – come è possibile realizzare un simile obiettivo quando l’Accordo sul modello contrattuale siglato da Confindustria, Cisl e Uil, nel gennaio del 2009, riduce la possibilità di aumenti salariali al passo con l’inflazione? Solo con il secondo livello e gli aumenti di produttività? Ma se la Fiat quest’anno, unilateralmente, ha cancellato il premio di produttività. In quanti anni, decenni forse, è realizzabile quell’obiettivo?

Marchionne ha parlato di Melfi e dei tre operai licenziati perché, secondo l’azienda, bloccavano un carrello di trasporto dei pezzi di ricambio. «E’ anarchia non si può governare una fabbrica di migliaia di persone con gente così». Eppure quei tre operai sono ricorsi al giudice, che ha sentenziato l’illeggittimità del loro licenziamento e il loro reintegro in fabbrica (che la Fiat contesta con il ricorso in appello). Al fianco di quei tre operai la scorsa estate si è pronunciato addirittura il Capo dello Stato che, evidentemente, non ha giudicato «anarchico» il loro comportamento. Eppure Fazio non se n’è ricordato.

Marchionne ha annunciato che l’Italia per i bilanci è un peso (e abbiamo visto però il contributo che dall’Italia ricevono i conti della Fiat) e ha affermato con nettezza, senza alcuna obiezione, che comunque «il conto con lo Stato la Fiat l’ha ripagato e che non intende chiedere altri aiuti». Due bugie senza alcuna contestazione. Quando sarebbe stato ripagato il conto? In che modo? Qualcuno può esibire un versamento, un’elargizione allo Stato, qualcos’altro? Marchionne può forse vantare la creazione di migliaia di posti di lavoro? Nel 2000 gli addetti del gruppo erano circa 74 mila oggi superano di poco i 50 mila. Nel comparto Auto si è passati da 30 mila a 22 mila considerando ancora i dipendenti di Termini Imerese. Questo è il conto saldato? Quanto agli aiuti, non è un mistero che Fiat stia premendo per ottenere nuovi incentivi per l’auto a metano ovviamente con il pretesto dell’auto ecologica. La Fiat negli ultimi due anni può vantare aiuti pubblici per circa 14 miliardi: 8 miliardi ricevuti da Obama per salvare la Chrysler, 2 dalla Russia, 2 dal Messico, 1 miliardo circa per lo stabilimento in Serbia, 1 miliardo per lo stabilimento polacco di Tychy e quello in Turchia. Più gli incentivi di cui ha beneficiato in Italia e soprattutto la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga utilizzata a piene mani per far fronte alla crisi. Il debito con l’Italia è ancora del tutto aperto e con l’ipotesi di andare via, in realtà, la Fiat punta a non pagarlo mai.

Alla domanda se si prepara a scendere in politica, Marchionne ha risposto con non chalance che non ci pensa nemmeno, lui continuerà a fare «il metalmeccanico». Senza polemizzare, si sarebbe potuto chiedere serenamente quanto guadagna «il metalmeccanico Marchionne». I dati sono stati resi pubblici dalla Fiat: nel 2009 il compenso ricevuto dall’amministratore delegato è stato di 4,78 milioni di euro, di cui 1,35 milioni a titolo di bonus. Il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo ha percepito, anche in forza della carica rivestita nella Ferrari, 5,17 milioni di euro. Un metalmeccanico vero guadagna circa 30 mila euro lordi e per guadagnare quello che Marchionne guadagna in un anno dovrebbe lavorare 160 anni. Si poteva concludere così l’intervista, senza retorica.

"

iPhone, chiamate senza freni

iPhone, chiamate senza freni: "Scoperto un curioso bug su iOS 4.1 che permetterebbe di effettuare chiamate con il telefono Apple. O di mandare SMS ed email. Anche con la password di protezione inserita"

SE MARCHIONNE VA AL TALK SHOW

da LaVoce.info
SE MARCHIONNE VA AL TALK SHOW

domenica 24 ottobre 2010

Il centrodestra e Roberto Saviano

Il centrodestra e Roberto Saviano

Io e Antonio Socci, su Libero del 10 maggio scorso, avevamo sottoscritto questo articolo-appello a favore di Roberto Saviano. Ho la vaga impressione che il centrodestra abbia deciso di soprassedere.

Dieci motivi per snobbare uno come Saviano

Dieci motivi per snobbare uno come Saviano

Il "Corriere della Sera" accusa la destra di aver perso una grande occasione regalando un "eroe" civile alla sinistra Ma lo scrittore vip ormai è un membro della Casta: demonizza il libero mercato e poi chiede 200mila euro alla Rai. Vietato parlarne male: chi osa criticarlo tacciato d'invidia. E Dispensa consigli per "aprire gli occhi agli elettori"

Ecco tutte le patacche di Michele e compagni

Ecco tutte le patacche di Michele e compagni

I numeri truffa sulla presenza dei politici nella televisione pubblica sono solo l'ultimo esempio della strategia usata da Santoro e dai quotidiani in guerra con Berlusconi: falsi spacciati per verità pur di colpire l'avversario. Ma a sbugiardarli è l'evidenza

sabato 23 ottobre 2010

Viva l’offshore, abbasso le tasse

Viva l’offshore, abbasso le tasse: "

Mi assumo volentieri un compito in pressoché totale controtendenza. Mi riferisco alle polemiche intorno alle società offshore alle quali si vorrebbe ridurre la contesa tra Fini e Berlusconi, da una parte chi sostiene sia uno scandalo il velo proprietario posto intorno a quel certo appartamento monegasco, dall’altra chi replica che altrettanto vale per le società schermo intestatarie dell’ennesima villa del Cavaliere ad Antigua. Consapevole dello scandalo della maggioranza dei lettori, mi accingo dunque all’elogio delle società offshore, dei trust anonimi comunque costituibili secondo le legislazioni di paesi rispettabilissimi come la Svizzera, il Liechtenstein, Antigua e le Cayman, Bahamas e il Delaware, Monaco e Dubai. Continuo da decenni a pensare che le possibilità offerte da tali ordinamenti siano benefiche e anzi salvifiche, e mi tocca spesso ripeterlo.


Se dovessimo procedere a una stima anche solo spannometrica dei beni e delle attività detenute attraverso veli societari offshore, verrebbero le traveggole. Alcuni esempi. Nel 2005 l’IRS, l’Agenzia delle Entrate degli Stati Uniti, stimava approssimativamente in “almeno” 11.500 miliardi di dollari – più dell’80% del Pil, allora – il valore offshore detenuto dalle sole persone fisiche soggette al fisco americano. Addirittura la Santa Sede – quando già gli Stati nell’esplosione del loro debito pubblico erano famelicamente protesi al massimo recupero di gettito fiscale – nel novembre 2008 presentò alla conferenza promossa a Doha dall’Assemblea generale dell’ONU su finanza e sviluppo un documento in cui si stimava – non so con che precisione, ma ci avevano lavorato banchieri papali assai fini – che le attività offshore detenute da gruppi e persone fisiche dei paesi avanzati rendevano non meno di 860 miliardi di dollari l’anno. Quando la crisi mondiale ormai era bell’e che esplosa e già gli Stati iniziavano ad accumulare punti su punti di Pil di debito pubblico aggiuntivo, ecco che il professor Avinash Persaud, emerito del Gresham College di Londra e membro della Tassk Force dell’ONU sulla riforma finanziaria internazionale, il 5 marzo 2009 scriveva sul Financial Times che l’attacco ai centri e alle società offshore altro non rappresenta che una pigra e seduttiva distrazione politica rispetto all’obiettivo di affrontare seriamente il problema della regolamentazione finanziaria dei Paesi industrializzati. Finchè questa resta disomogenea e ogni Paese tenta di arbitrare con più alto fisco a proprio vantaggio, la regola della libertà personale è tentare di deludere le pretese esose degli Stati spreconi e dilapidatori.


Quanto allo studio comparato del meglio che può offrire alla libertà dei capitali la tecnica offshore, non è esattamente materia per manigoldi. Il manuale di riferimento sui paradisi bancari, dell’avvocato d’affari francese Edoard Chambost, non a caso fu tradotto nel 1980 in italiano dall’avvocato Franzo Grande Stevens, puntualmente non a caso chiamato in causa insieme a Gianluigi Gabetti nelle vicende ereditarie e fiscali collegate al patrimonio dell’Avvocato Agnelli, per il ruolo ricoperto in numerose società “coperte” estere a fini fiscali. Migliaia di società italiane, hanno per decenni utilizzato il velo di holding per lo più di diritto lussemburghese, per eliminare la tassazione dei dividendi e incorporare ai proprietari il più delle plusvalenze. Dalla riforma Visco a quella della participation exemption voluta da ultimo da Tremonti, alla ricerca del gettito perduto, la lotta è sempre andata persa: perché la libertà prevale, e tra le massime espressioni della libertà vi è appunto quella dell’organizzazione della proprietà, al fine di ridurne i gravami a cominciare da quelli fiscali.


Come insegna nel suo bellissimo “Paradisi e paradossi fiscali” il professor Giuseppe Marino, che dirige il master in diritto tributario d’impresa alla Bocconi, un tempo l’invidia fiscale era di sinistra e la libertà fiscale di destra, quell’invidia che secondo Bertrand Russel “è vizio in parte morale, in parte intellettuale, consistente nel non vedere mai le cose in se stesse, ma soltanto in rapporto alle altre”. Ohimè nell’Italia di oggi l’invidia fiscale da tributi esosi si estende ormai da sinistra a destra. Il che rende ancor più necessaria la difesa dell’offshore, vero presidio di libertà che sconfiggerà sempre- non illudetevi, cari statalisti – la lega degli Stati ad alto prelievo e bassa crescita.

"

Cacciamo dall’Italia chi brucia il tricolore

Cacciamo dall’Italia chi brucia il tricolore

Il web 3.0 è vicino. Facebook, Amazon & co. investono 250 milioni $ su sFund

Il web 3.0 è vicino. Facebook, Amazon & co. investono 250 milioni $ su sFund: " Facebook ha connesso mezzo miliardo di persone nel mondo. Zynga ha progettato videogiochi come la fattoria digitale Farmville: sono diventati un successo globale grazie al collegamento...

Why Not, De Magistris: Contro di me una “porcata piduista”

Why Not, De Magistris: Contro di me una “porcata piduista”: "di Luigi De Magistris
Quando spazzarono via i tre coraggiosi magistrati di Salerno - li ricordate Dionigio Verasani, Gabriella Nuzzi e Luigi Apicella? - capii che la Nuova P2, oggi P3, in realtà sempre gli stessi, aveva avuto il sopravvento nel giudiziario.
Nel descrivere alla Procura di Salerno le pesanti collusioni di non pochi magistrati del distretto [...]"

venerdì 22 ottobre 2010

Guzzanti ed Internet...

MITICO!!!
http://www.youtube.com/watch?v=I-vFa1oLiLk

Definizione

Tratto dalle "Linee guida per i siti Web della P.A.", pubblicato dal ministero per l'Innovazione (a.k.a Brunetta):

Servizi di Collaborazione:

...

Emoticons. Servizio di valutazione della qualità percepita basato su interfacce emozionali.


Chiaro, no?

mercoledì 20 ottobre 2010

IPv4, Internet al bivio?

IPv4, Internet al bivio?: "Siamo alla fase finale della distribuzione degli indirizzi IP a 32 bit, avverte NRO. Gli indirizzi IPv4 si esauriranno prima del previsto. Ma i livelli di adozione di IPv6 sono adeguati

Gli inventori della CPU premiati da Obama

Gli inventori della CPU premiati da Obama: "Federico Faggin, e gli altri due ingegneri Intel responsabili della creazione del chip 4004, sono stati ricevuti e premiati dal presidente degli Stati Uniti. Entrando definitivamente nella storia

Jobs attacca Android

Jobs attacca Android: "



Steve Jobs recentemente ha criticato criticato apertamente la piattaforma Android.


Secondo Jobs la definizione di Android come “open” e di iOS come “closed” nasconde le reali differenze fra i due sistemi. Il problema fondamentale di Android è la sua frammentazione. Interfacce diverse in base al produttore del telefono, versioni diverse di Android e persino app store alternativi al Market di Google.


Problemi che non sono presenti nella piattaforma di iOS che ha un solo negozio per le applicazioni ed una sola interfaccia. La tesi di Jobs è che il vero dibattito dovrebbe essere su frammentato ed integrato riferendosi ai due sistemi operativi.


La verità, probabilmente, è che nonostante tutti i problemi reali della piattaforma Android, questa continua a crescere con una marcia in più rispetto ad iOS. Che Jobs inizi a preoccuparsi di questa concorrenza?


Intanto Andy Rubin ha risposto per le rime a Jobs su Twitter con:


the definition of open: “mkdir android

cd android

repo init -u git://android.git.kernel.org/platform/manifest.git

repo sync

make”


Via | MacWorld

L'umanità non è mai stata meglio di Chicco Testa

L'umanità non è mai stata meglio di Chicco Testa: "Anti-catastrofismo. Su Repubblica uno studio conferma ciò che avevamo sempre sospettato."

Quanti errori sul nucleare di Chicco Testa

Quanti errori sul nucleare di Chicco Testa: "Le centrali di IV generazione? Tutto il mondo le sta già costruendo e solo in Italia si punta su quelle di III. Uno scoop quello contenuto nell’articolo di apertura del supplemento economico-finanziario (Affari&Finanza) del lunedì di Repubblica firmato da Massimo Giannini, responsabile dell’inserto e giornalista di punta del quotidiano. Più o meno come sostenere in un articolo sui viaggi spaziali che è del tutto inutile discutere della Luna, visto che da tempo tutti, ma proprio tutti sono ormai sbarcati su Marte."

Addio al padre della geometria frattale

Addio al padre della geometria frattale: "È morto Benoit Mandelbrot, il matematico che ha reso celebri i frattali. Il suo contributo fondamentale per la formalizzazione della teoria e lo sviluppo delle applicazioni ad essi collegati

Sgarbi, gli insulti e la partitocrazia

Sgarbi, gli insulti e la partitocrazia: "

Su Il Giornale Vittorio Sgarbi difende la lottizzazione Rai. L’altra sera durante l’Ultima parola è esploso, dandomi per dieci volte del fascista, quando ho fatto notare che l’attuale consiglio di amministrazione della tv pubblica, esattamente come i precedenti, è fuorilegge. La legge Gasparri, articolo 20, prevede infatti che “Possono essere nominati membri del consiglio d’amministrazione della Rai [...] persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali”.

Sebbene la norma sia chiarissima, tra i sette membri del cda scelti dalla commissione parlamentare di vigilanza siedono ben quattro ex parlamentari, un ex manager Fininvest e un ex direttore di un giornale di partito. Il consiglio di amministrazione infatti è composto, tra gli altri, da Giovanna Clerici Bianchi, per due volte parlamentare della Lega, Rodolfo De Laurentis, ex parlamentare dell’Udc, Alessio Gorla, ex funzionario del Biscione e organizzatore della campagne di Forza Italia del ’94, Guglielmo Rositani, più volte parlamentare missino e di Alleanza Nazionale, Antonio Verro, ex parlamentare di Forza Italia ed ex manager Edilnord, Nino Rizzo Nervo, ex direttore di Europa, il quotidiano del Pd, e Giorgio Van Straten, uno scrittore amico di Walter Veltroni.

A mio avviso, a prescindere dall’eventuale valore dei singoli, la composizione dimostra ancora una volta come il Parlamento sia ormai abituato ad approvare leggi che poi vengono immediatamente violate da chi le ha fatte. Nessuno dei membri del cda può infatti essere considerato di “notoria indipendenza di comportamenti” e solo alcuni di loro si sono “distinti in attività economiche, scientifiche e giuridiche”.

Per Sgarbi però questo non è vero. Secondo lui “appartenere a un partito fa parte della dialettica democratica ed è una manifestazione di libertà e indipendenza”. Perché, scrive, “solo in una dittatura, con un partito unico, non si è liberi, non si è indipendenti”. Chi ne ha voglia può leggere qui il suo articolo.

Dirò subito che con Sgarbi sono d’accordo su un paio di punti.

Il primo: davvero, come ammette egli stesso, lui è ormai diventato un manierista (anzi una macchietta) che ripete all’infinito la stessa scena (l’aggressione verbale verso chi non la pensa come lui). Il secondo: Sgarbi ha ragione quando dice che mi sono divertito mentre lo vedevo urlare contro di me.

Ho infatti sempre pensato che quel tipo di toni e di parole, soprattutto se utilizzate a freddo, dimostrino meglio di ogni altra cosa la povertà di argomenti a disposizione di chi cerca di contrastarti. Come diceva Paul Valèry, quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore.

Ma veniamo ai partiti e alla lottizzazione (che con buona pace di Sgarbi sono due cose diverse).

È vero: i partiti sono il sale della democrazia. Senza partiti, preferibilmente diversi e migliori dei nostri, i cittadini non possono portare e le loro istanze nelle istituzioni.

Ma in Rai, come nel resto della vita pubblica italiana, la democrazia è ormai degenerata in partitocrazia. Sia perché i nostri partiti (quasi tutti) non rappresentano più gli elettori, ma esclusivamente le proprie classi dirigenti: cioè un’oligarchia che occupa (abusivamente) ogni ganglio della società. Sia perché i cittadini possono contare nella cosa pubblica e far valere la loro voce anche senza il tramite dei partiti.

Ai vertici della tv pubblica, per esempio, potrebbe benissimo esserci un consiglio di amministrazione i cui membri vengono scelti dai lavoratori della Rai, dai rappresentanti degli abbonati, delle università, delle associazioni dei consumatori, dei sindacati degli artisti e tante altre realtà.  Oppure ci potrebbe essere una fondazione indipendente come accade in Inghilterra e in altri paesi del nord Europa.

I partiti sono infatti il sistema con cui i cittadini dovrebbero farsi rappresentare in parlamento, nei comuni e nelle regioni. Non in tutto il resto. Negli ospedali conta (o meglio dovrebbe contare) la bravura dei manager e dei medici. Non la loro casacca politica. Nelle tv la qualità dei programmi e la loro indipendenza. Non il colore della tessera.

Del resto anche i partiti sanno benissimo che la partitocrazia è fautrice di ingiustizie, favoritismi e inefficienze. Proprio per questo pubblicamente dicono di aborrirla. E anche la (pessima) legge Gasparri specifica che membri del cda Rai devono diventare persone “di notoria indipendenza di comportamenti”. Affermare apertamente che quelle poltrone sono invece riservate agli iscritti ai vari movimenti politici sarebbe stato decisamente brutto. Anche per loro.

In altri momenti storici, comunque, i partiti avrebbero almeno tentato di rispettare le regole che essi stessi si sono dati nominando non degli ex parlamentari, o degli ex dipendenti di Berlusconi (premier e proprietario del maggior concorrente della Rai), ma intellettuali o manager considerati d’area. Una soluzione tutt’altro che bella, ma non poi così ipocrita, come sostiene Sgarbi. La nomina di persone di questo tipo almeno non sarebbe stata apertamente in contrasto con la lettera della legge Gasparri. Infatti si può essere di destra o di sinistra ed essere indipendenti. Perché il problema non è chi si vota, ma dove e con chi si milita.

Guardando cosa è diventata oggi la Rai, sia dal punto di vista dei contenuti che dei bilanci, si capisce invece quale disegno sia stato seguito. Nel cda era necessario mettere dei consiglieri a cui si potessero dare ordini con la certezza che venissero eseguiti. Non per niente proprio Berlusconi, al telefono con Agostino Saccà, definisce la Clerici Bianchi “la soldatessa” della Lega.

Del resto, il motivo per cui, almeno la maggioranza, ha scelto figure di questo tipo non è solo politico. È anche economico. Una Rai forte e indipendente può danneggiare Mediaset.

Sgarbi le sa queste cose? Certamente. Ma durante buona parte della sua vita ha messo il suo talento (la sua cultura classica e la sua capacità dialettica) al servizio dei potenti. È diventato quel che è diventato non solo perché aveva delle doti, ma anche dei protettori. E così, fin dall’epoca di “Sgarbi quotidiani” (una violentissima trasmissione abolita quando smise di essere funzionale ai disegni di Berlusconi) ha finito per contribuire a far crescere nel nostro Paese il cancro della partitocrazia.

Per questo oggi vorrei solo che fosse più educato. E non certo che arrivi a rinnegare una parte di se stesso.

"

Meglio l'atomo dei mulini a vento di Carlo Ripa di Meana

Meglio l'atomo dei mulini a vento di Carlo Ripa di Meana: "Dietro le energie rinnovabili è ormai visibile una vera e propria questione criminale. In particolare il problema riguarda quella che i francesi hanno già definito l’impostura dell’eolico."

Un Paese a Pezzi...

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=1059&ID_sezione=274&sezione=

Il Paese a pezzi è l'Italia, ed ha provato a raccontarlo un magistrato in un libro Alfabeto Italia - Riflessioni e provocazioni per un paese a pezzi, pubblicato dalla Ginevra Bentivoglio EditoriA. Sarà presentato il 23 ottobre 2010, nel cortile quattrocentesco sede della casa editrice.

Ecco la prima parte dell'introduzione:

Negli anni ’90 vengo fermato e controllato da una pattuglia di polizia alla guida della mia vettura. Nulla mi viene contestato,ma vengo guardato con sospetto, si allungano sguardi investigativi attraverso i finestrini, si gira e rigira intorno alla vettura, mentre altro personale controlla o perlomeno trattiene i miei documenti. Dopo parecchi minuti chiedo se vi sia qualcosa da contestarmi: mi si dice che è un semplice controllo.
Chiedo i miei documenti e mi si risponde con una domanda: “Che lavoro fa?”
Rispondo: “Sono un cittadino della Repubblica Italiana e non vedo quale importanza abbia il mio lavoro”. A questo punto mi si chiede di aprire il cofano del bagagliaio. Faccio osservare che se vogliono perquisire la vettura devono avere un mandato, oppure contestarmi la flagranza di un reato, oppure avere il fondato sospetto che io trasporti armi. Si guardano stupiti e mi chiedono se sia un avvocato.
Torno a rispondere che il mio lavoro non conta e che mi trattino come un cittadino qualsiasi. Insisto per conoscere i motivi di tanti sospetti, chiedendo se abbiano avuto una segnalazione su una vettura analoga alla mia o su una persona che mi somigli.
Dopo qualche esitazione mi viene detto che porto la cintura di sicurezza (obbligatoria da anni) e poiché nessuno la porta tale comportamento è strano (viene testualmente definito “strano”).
Al mio sbalordimento, il poliziotto dà anche una spiegazione meravigliosamente allucinante: se qualcuno porta in macchina droga o un sequestrato o si trova comunque in una situazione illegale non rischia certo di essere fermato per un semaforo rosso o una violazione amministrativa, per cui portare la cintura di sicurezza è sospetto in una città dove nessuno la porta.
A questo punto sbotto: mi qualifico (non ha importanza il mio lavoro) e mi prendo le scuse dei poliziotti, che mi rimproverano di non aver detto subito che lavoro facessi e sembrano stupiti del mio ribadire che non aveva alcuna importanza. Faccio loro rilevare che mi si sta dicendo che in questo Paese è sospetta l’osservanza delle regole, mentre è “normale” chi le viola.
Poi, ragionando, mi complimento con l’acume investigativo dei poliziotti: avevano perfettamente ragione. Un cittadino che indossa le cinture di sicurezza obbligatorie in questo Paese è sospetto, perché la legalità in questo Paese è una cosa inconcepibile.
Ho ripreso i miei documenti e sono andato via tra mille scuse dei poliziotti.
Questo è un paese di furbi.
Le regole sono riservate ai fessi.
...

lunedì 18 ottobre 2010

domenica 17 ottobre 2010

"La nuova guerra fredda? Si combatterá nell'Artico"

"La nuova guerra fredda? Si combatterá nell'Artico": "

SCENARI
'La nuova guerra fredda? Si combatterá nell'Artico'
Con quella fetta di mare sempre più libera dai ghiacci, frutto del più eclatante cambiamento ambientale del pianeta, aumentano i rischi di tensioni tra i paesi per lo sfruttamento delle risorse ambientali, adesso più a portata di mano. E gli esperti chiamati dalla Nato lanciano l'allarme di JACOPO PASOTTI

(13:42 16/10/2010)

Fotovoltaico, è boom. Rinnovati gli incentivi per il 2011

Fotovoltaico, è boom. Rinnovati gli incentivi per il 2011

Efficienza energetica: prorogata la scadenza degli incentivi per tutto il 2013. Stanziamenti ridotti – di poco - ma con targt mirati anti-speculazioni

sabato 16 ottobre 2010

L’Espresso e i segreti del conflitto in Afghanistan

L’Espresso e i segreti del conflitto in Afghanistan: "La situazione in Afghanistan non accenna a migliorare. Uno sprazzo di luce era sembrato dischiudersi nelle prime due settimane di settembre, quando si era registrata una drastica riduzione nelle perdite riportate dalla Coalizione occidentale.
 
Già allora diversi osservatori avevano attribuito l’apparente inversione di tendenza alle alluvioni abbattutesi nel vicino Pakistan, ritenendo che molti Taliban avessero [...]"

Progettiamo il futuro

Progettiamo il futuro

Relazione di Maurizio Pallante presso il congresso “Progettare il futuro - Lo sviluppo della sostenibilità ambientale come volano di un nuovo ciclo economico”; Perugia, 8-9-10 ottobre 2010.

Sgarbi dà del “fascista” a Gomez

Sgarbi dà del “fascista” a Gomez: "

Il punto di partenza era la sospensione inflitta a Santoro e ad Annozero dal gran giurì capeggiato dall’ottavo nano (qui il video di Trarco Mavaglio sulle dichiarazioni rese da Masi a Paragone all’”Ultima Parola”), ma il punto di non ritorno si è incarnato nel consueto trash pecoreccio e sguaiato dall’inconfondibile copyright. La location è il salottino di Gianluca Paragone, che ha adunato svariati ospiti di tutto rispetto, dal gazzettiere d’assalto Sallusti fino all’abbaiante Vittorio Sgarbi.

Stavolta l’occhio orbo ed immaginifico del ciuffo più forforoso del cubetto televisivo nostrano (dopo quello di Filippo Facci), non pago della condanna comminatagli per aver insultato Travaglio nel 2008 e non sazio delle sue stantie e imbolsite prezzemolinate nel tinello delle barbaradurso e delle pupe e secchioni, è tornato a sagomare un altro erede di Benny con tanto di fez, gagliardetti e divisa d’orbace: nientepopodimeno che Peter Gomez. Quest’ultimo, che ha tutta l’aria di un frate francescano finito per sbaglio nel gineceo di palazzo Grazioli, spiega in modo superlativo una nota legge (presumibilmente) scritta da Gasparri, ma il suo intervento pian piano si rivela, a dir poco, letale. Scoperchia irrimediabilmente i vasi pandoriani del nostro tricomane criticone e apre le danze al collaudato rituale del canovaccio sgarbesco: urla ferine, ringhio corredato di bava, avvitamento della pupilla bovina, appannamento degli occhiali, anatemi vomitati a baionetta, insulti a vagonate. Tutta roba che avrebbe reso felici i compianti figli della lupa, ma che non sfiorano tangenzialmente la suscettibilità di Gomez.

L’epitome di questo butale “esprit de vulgaritè“ è racchiusa in questo video. Non ci resta che dire: alalà.

"

Afghanistan, ecco la verità

Afghanistan, ecco la verità: "I civili uccisi. Le battaglie dei parà che La Russa non ha mai rivelato. I feriti italiani tenuti nascosti. E poi le stragi di talebani, le azioni coperte degli 007, i tradimenti e i doppi giochi. Ecco il vero volto della nostra 'missione di pace'. Nei file scoperti da Wikileaks e consegnati a L'espresso"

Nokia N8's BOM costs similar to iPhone 4

Nokia N8's BOM costs similar to iPhone 4: "A teardown analysis of Nokia's N8 smartphone found components supplied by Broadcom, TI, Renesas and others, and found that the device's bill of materials cost is nearly identical to the 16-Gbyte version of the iPhone 4."

Serge Latouche

Serge Latouche: "






L’ingranaggio economico dominante, fondato sulla corsa al Pil e sul capitalismo finanziario speculativo, cioé sul profitto a qualsiasi costo, è sempre più simile a una Nave dei Folli. Produce disuguaglianza, erode democrazia, opprime il pensiero critico, dietro le insegne della libera concorrenza.

Occorre dotarsi della lucidità e del coraggio di metterlo radicalmente in discussione in quanto ingiusto, folle e antiumano, innanzitutto sul piano della presa di coscienza individuale, contro ogni istinto di rassegnazione e assuefazione. E poi schierarsi dalla parte opposta, dalla parte dei diritti umani e costituzionali, della dignità morale, economica e sociale della persona.

Servono idee nuove, che ci parlino di qualità della vita, distribuzione della ricchezza, beni comuni, sostenibilità ambientale. Intellettuali e “uomini di nuova etica e di nuova cultura” (prendo in prestito la definizione che l’amico e maestro Vincenzo Consolo ha coniato per Falcone e Borsellino) stanno elaborando e mettendo in circolazione un ventaglio di nuove idee. Nessuna di esse forse è valida o utilmente praticabile in assoluto. Ed è buona norma quando si percorre un cammino culturale, come ci ammoniva Norberto Bobbio, sentire sempre altre campane, muoversi con circospezione, rifuggire dall’entusiasmo acritico per esercitare un dubbio metodico. Ma identificarle, leggerle, capirle e diffonderle, queste idee, ci serve per attrezzare la nostra mente alla necessità di un cambiamento radicale. Quel cambiamento che forse ci consentirà di scendere in tempo dalla Nave dei Folli.


Nel video un dialogo fra Mario Agostinelli, che sarà nostro ospite il 21 ottobre al Cabaret Voltaire per parlarci di nucleare ed energie alternative, e Serge Latouche.

"

venerdì 15 ottobre 2010

Un gruppo di giovani democratici di Napoli: Ichino non sbaglia

Se potessimo, gli stringeremmo la mano. Con la sua analisi, lucida, scevra di condizionamenti e stantii ideologismi ormai non più attuali, Pietro Ichino, per usare una sua stessa espressione, ci ha “reso un servizio prezioso”.
Al di là della retorica partigiana di chi ormai, non consapevole di aver completamente smarrito il contatto con la realtà che lo circonda, le parole del giuslavorista aprono a una nuova visione e a una nuova speranza per il nostro Paese e per i nostri lavoratori.
Non comprendere che il mondo del lavoro, nel suo complesso, sia dal punto di vista “datoriale” che dal punto di vista “subordinato e dipendente”, abbia bisogno di un profondo e radicale cambiamento, equivale a condannare l’Italia a uno scenario di serie B, a quello di comprimario di altri Stati, da terzo mondo del Mediterraneo. Pensare che tutto resti immobile, compresi diritti e doveri di lavoratori e datori di lavoro, mentre nel mondo tutto vive un’irrefrenabile accelerazione verso la globalizzazione generale di ogni settore economico (tessile, automobilistico, metallurgico, chimico, tecnologico…finanziario!) è ciò che di più colpevole il centro-sinistra possa fare!
Ma se Pomigliano avesse davvero chiuso, come altre decine di stabilimenti storici in Italia, quella gente…che fine avrebbe fatto? Quelle famiglie, chi le avrebbe sostenute?
Anche a questo Pietro Ichino ha dato una risposta, forse macabra, ma sensata.
Quali soluzioni prospettano quegli inguaribili critici burloni che, per non aver mai fatto un’ora di lavoro in vita propria, non riescono a vedere che al di là del confine italiano, a pochi chilometri da Udine, è possibile assumere un lavoratore pagandolo circa 50 volte meno, di quanto lo stesso verrebbe pagato se fosse assunto in casa nostra? Per non parlare di ciò accade nell’Est asiatico ed in Sud America…
Il nodo è questo. Punto. Praticità e pragmatismo, ma soprattutto onestà verso i lavoratori, impongono di affrontarlo e scioglierlo.
Di certo la strada non è impedire il cambiamento e barricarsi contro i problemi che realmente ci sono, bensì quella di addolcirli il più possibile, fare in modo che, se costi da pagare ci sono, questi vengano equamente distribuiti sulle spalle di tutti e non solo, appunto, quelle dei lavoratori.
La via giusta ed equilibrata, in altre parole, va trovata con i Marchionne (o Melchiorre, come direbbe il Presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro) e non contro. Né i Marchionne devono essere messi in condizione di poter far da soli…il che sarebbe ancor più grave!
Ben venga la strategia suggerita da Ichino di metter mano in maniera più decisa ad una seria “redistribuzione delle risorse economiche” detassando i redditi più bassi (che gioco forza saranno sempre più numerosi e sempre più bassi, appunto).
La stessa, però non è sufficiente. Alle metodologie classiche, affinché il mondo del lavoro si rimetta in moto, riteniamo che sia imprescindibile porre al centro dell’attenzione:
1) il concetto di “merito”, specie nell’accesso al settore pubblico;
2) la specializzazione della produzione, al fine di “costringere” quelle famose multinazionali a scegliere l’Italia, affinché solo qui e non altrove, trovino le condizioni indispensabili per la produzione di determinati prodotti;
3) la risoluzione dei problemi strutturali ed infrastrutturali, burocratici e normativi, sociali, culturali ed ambientali che scoraggiano gli investimenti nel nostro Paese, affinché chi si trovi a dover scegliere dove dirottare le proprie risorse, prenda in considerazione l’Italia, laddove, a un costo del lavoro magari più alto che altrove, corrispondano condizioni di investimento generali più favorevoli ed appetibili!
E a noi giovani democratici? A noi spetta distinguerci per qualità della discussione ed efficacia della proposta.
Su di noi grava l’onere di abbandonare steccati e pregiudizi e affrontare a viso aperto questo tema, evitando spot elettorali, soluzioni di facciata, ma favorendo, nella maniera più determinata possibile, l’approfondimento e lo studio di soluzioni, possibilmente aprendo il dibattito al nostro interno e verso l’esterno.
Il prima possibile…quanto meno, prima che tutto qui al Sud…si trasformi in Gomorra!

http://www.pietroichino.it/?p=10643

martedì 12 ottobre 2010

Un Nobel alla ricerca di lavoro

Il premio Nobel in economia del 2010 è stato assegnato a Peter Diamond, Dale Mortensen e Christopher Pissarides per il loro contributo nella comprensione del processo di ricerca tra domanda e offerta. Che nel mercato del lavoro permette di spiegare la curva di Beveridge come un fenomeno di equilibrio. E i loro studi hanno fatto capire che è meglio studiare il mercato del lavoro guardando ai suoi flussi, fino a comprendere gli effetti del precariato. Perché la loro teoria è densa di implicazioni pratiche e di suggestioni per la politica economica.

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001946.html

domenica 10 ottobre 2010

Dopo Google Mail, Google Docs, Google Maps e il GoogleFonino...

ecco la GoogleMobile:

Google sperimenta l'auto che si guida da sola: in commercio negli Usa fra 8 anni.
Per ora la vettura ha la forma di una Toyota Prius: ma un software geniale le permette di muoversi senza pilota

http://motori.corriere.it/motori/varie/10_ottobre_10/google-car_4e4a3914-d487-11df-8222-00144f02aabc.shtml

Liberi, davvero?

Liberi, davvero?: "

Mi chiedo, a volte, se in Italia e nelle democrazie europee esiste ancora la libertà di espressione.

La comunità ebraica per una frase infelice, ma non più che infelice, sulla kippah detta in Senato dall’onorevole del Pdl Ciarrapico – che ben più sostanziali magagne ha sul groppone – ne ha chiesto l’espulsione dal Parlamento. Daniele Nahum, presidente dei Giovani ebrei italiani, ha dichiarato: “L’espulsione è un atto dovuto perché in quelle parole sono intesi comportamenti antisemiti che devono essere puniti” (ci si è dimenticati che un parlamentare è irresponsabile per ciò che dice nell’esercizio delle sue funzioni).

Il pm di Varese ha incriminato 22 giovani, che nel 2007 avevano festeggiato, in una birreria di Buguggiate, il compleanno di Hitler e intonato cori nazisti, “per incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi etnici e razziali”. La Digos ha poi seguito questi ragazzi e ha potuto appurare che non fanno parte di nessuna organizzazione e che non hanno commesso, né in quella occasione né in altre, alcun atto di violenza per cui è caduta l’imputazione di “ricostituzione del partito nazista”. Sono stati incriminati quindi solo per aver espresso il loro credo politico, in base alla “legge Mancino”.

Se fosse viva, Oriana Fallaci sarebbe sotto processo in Francia “per incitamento all’odio razziale”, a causa dei suoi pamphlet antislamici. Sotto processo ad Amsterdam è Geert Wilders, il deputato anti-islam che alle recenti elezioni ha ottenuto un milione e mezzo di voti, per aver paragonato il Corano al Mein Kampf. In Francia è proibito indossare il burqa nei luoghi pubblici in nome della laicità dello Stato. In Italia è proibito con l’escamotage che il viso deve essere scoperto (e allora proibiamo anche i caschi da moto sotto cui si mascherano spesso i killer, mentre una donna in burqa è molto meno insidiosa proprio per l’evidenza del suo vestire).

Nelle democrazie baltiche è punita “l’apologia del   comunismo”. A Vienna lo storico inglese David Irving si è fatto due anni di carcere perché nei suoi libri ridimensiona le cifre dell’Olocausto (sia chiaro che, per quanto mi riguarda, questi macabri conteggi sono totalmente privi di senso, l’orrore non cambierebbe di un ette se gli ebrei sterminati fossero 4 milioni invece di 6 e nemmeno se un solo bambino ebreo o palestinese o malgascio fosse stato o fosse ucciso solo perché ebreo o palestinese o malgascio).

Una democrazia, se è tale, deve accettare tutte le opinioni anche quelle anti-democratiche o che paiono più aberranti. È il prezzo che paga a se stessa e che la distingue dai regimi totalitari. L’unico discrimine è che nessuna idea, giusta o sbagliata che sia, può essere fatta valere con la violenza. L’odio, anche razziale, è un sentimento e non si possono mettere le manette ai sentimenti. Io ho diritto di odiare chi mi pare. Ma se gli torco anche un solo capello devo andare in gattabuia. Se in una democrazia, pur con le migliori intenzioni, si limita, anche solo parzialmente, la libertà di espressione su cui si basa si sa da dove si comincia ma non dove si va a finire.

Non per nulla il più deciso avversario della legge Scelba, che puniva come reato “la ricostituzione del partito fascista”, fu Togliatti che, da quell’uomo intelligente che era, capiva benissimo che si inizia con i fascisti e si finisce con i comunisti. Oggi si puniscono le espressioni razziste, anti-semite, anti-islamiche e in tal modo si è imboccata, in Italia, una strada scivolosa per cui domani potrebbero essere considerati reati manifestazioni di anti-americanismo, di anti-nazionalismo, il parteggiare per i talebani e così via. La “legge Mancino”, diciamo le cose come stanno, è una legge liberticida, degna di un regime fascista.

"

Se gli imprenditori italiani si consegnano a Travaglio

Se gli imprenditori italiani si consegnano a Travaglio

La Mar­cegaglia ha trascinato Confindustria nel ridi­colo, è riuscita a trasformare la farsa in una tragedia nazionale per ben due volte nel giro di poche settimane

Porro

Porro: "."

Inquinamento: la diagnosi è sbagliata e la terapia non funziona

Inquinamento: la diagnosi è sbagliata e la terapia non funziona: "

L’inquinamento atmosferico? È in aumento. Ne è convinta la stragrande maggioranza dei cittadini europei. Non potrebbe essere altrimenti. Siamo in grado di dire per esperienza diretta se fa caldo o freddo, ma non possiamo valutare autonomamente come si evolve la qualità dell’aria. “Sappiamo” ciò che apprendiamo dai mezzi di informazione. E questi, tranne rare eccezioni, ci ripetono da anni che la situazione volge al peggio.

Prosegui la lettura

"

Microsoft si prepara a comprare Adobe per contrastare Apple sul "mobile"

Microsoft si prepara a comprare Adobe per contrastare Apple sul "mobile": " Microsoft potrebbe comprare Adobe. Le indiscrezioni su un possibile accordo tra il colosso di Redmond e la software house hanno cominciato a circolare dopo un articolo Bits, il blog di...

sabato 9 ottobre 2010

Are Intel and Micron parting ways in NAND?

Are Intel and Micron parting ways in NAND?: "Are Intel Corp. and Micron Technology Inc. parting ways in their NAND flash venture?"

Dr. Woodcock & Ms Marcegaglia

Dr. Woodcock & Ms Marcegaglia: "

Dice il vicedirettore del Giornale, Nicola Porro, che al telefono con il portavoce di Emma Marcegaglia, Rinaldo Arpisella, lui cazzeggiava. E leggendo le intercettazioni non c’è ragione di non credergli. Se si pubblicassero tutte le telefonate tra giornalisti economici e uffici stampa si scoprirebbe che le minacce, quando ci sono, seguono di norma la traiettoria inversa.

E infatti il magistrato Woodcock che accusa Porro e Il Giornale di dossieraggio dovrebbe sapere che per fare una campagna di stampa contro la Marcegaglia non c’è bisogno di “spostare i segugi da Montecarlo a Mantova”. Basta fare un giretto su Google dove sarà facile trovare tutte le notizie che i grandi giornali non scrivono mai (prometto in un prossimo post un saggio esemplificativo).

Oltretutto Porro non è così stupido da pensare di poter minacciare la Marcegaglia senza che succeda quello che, suo malgrado, è successo. E qui veniamo al punto. E’ inutile che i politici di destra, come la scatenata Stefania Craxi, inveiscano contro il magistrato napoletano accusato di minacciare la libertà di stampa. E’ la Marcegaglia che si è presentata davanti agli inquirenti e ha accusato Porro di averla minacciata. E’ lei che ha chiesto a Fedele Confalonieri di intervenire su Feltri per bloccare tutto. E’ lei che si è sentita rassicurata quando Confalonieri ha comunicato che la missione era compiuta.

Quindi, se attacco alla libertà di stampa c’è stato, non l’ha fatto Woodcock ma la signora Marcegaglia. E verrebbe da chiederle: telefonate come quella a Confalonieri per fermare Il Giornale, quante volte figliuola?

"

domenica 3 ottobre 2010

Per gli appassionati di Harry Potter...


J.K. Rowling resuscita il maghetto: "Potrei scrivere un altro Harry Potter"
La scrittrice aveva dichiarato chiusa la saga da 500 milioni di copie, ma oggi torna sui suoi passi: "Potrebbero esserci un ottavo, un nono, un decimo romanzo"

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/10/03/news/jk_rowling_nuovo_romanzo_harry_potter-7678933/?ref=HRERO-1

Piano Casa, il Cav. si allarga

Piano Casa, il Cav. si allarga: "Utilizzando le leggi fatte dal suo governo, Berlusconi ha dato il via ai lavori per aumentare del 27 per cento la cubatura delle sue proprietà in Costa Smeralda. Lo riferisce 'La Nuova Sardegna'"

Totale, affettuosa, incondizionata solidarietà a Maurizio Belpietro. Vergogna a quella stampa che seleziona le vittime buone da quelle cattive e che anzi getta fango sulle vittime avversarie pur di tirare acqua al suo mulino. Condanna dell’antiberlusconismo stradaiolo e antiparlamentare, come condanna del berlusconismo ormai speculare, forsennato, forcaiolo, verbalmente violento. In questi casi si fa l’esame del DNA per vedere se e chi è democratico e chi bara e mente e apre la strada alla sconfitta definitiva della democrazia.

Totale, affettuosa, incondizionata solidarietà a Maurizio Belpietro. Vergogna a quella stampa che seleziona le vittime buone da quelle cattive e che anzi getta fango sulle vittime avversarie pur di tirare acqua al suo mulino. Condanna dell’antiberlusconismo stradaiolo e antiparlamentare, come condanna del berlusconismo ormai speculare, forsennato, forcaiolo, verbalmente violento. In questi casi si fa l’esame del DNA per vedere se e chi è democratico e chi bara e mente e apre la strada alla sconfitta definitiva della democrazia.: "

Maurizio Belpietro è stato mio direttore per otto anni e io uno dei suoi vice, sia pure come semplice editorialista. Lo conosco bene, gli voglio bene e lo stimo. Non la pensiamo affatto nello stesso modo e questo è il bello della libertà. Quel che è da salvaguardare, proteggere, difendere, non è l’uniformità del pensiero, ma il suo esatto contrario: la differenza, anche violenta, delle opinioni. La battaglia che Maurizio ha fatto sulla questione Montecarlo non mi è piaciuta affatto. Ma neanche quella del Fatto Quotidiano o del Corsera. Tuttlo ciò non ha importanza. Belpietro è un giornalista e in quanto tale un uomo inerme che difende una linea editoriale e difende il diritto di cronaca e di opinione.

Che un lurido mascalzone con la pistola minacci di togliergli la vita è un fatto che ci riporta alle brigate rosse e agli anni di piombo. Io combatto Berlusconi, ma odio tutti coloro che si augurano la sua morte, auspicano la sua disgrazia, plaudono a chi gli tira un pezzo di bronzo in faccia. Berlusconi è un soggetto politico consacrato dal voto degli elettori e chi come me lo combatte deve scegliere unicamente gli strumenti della politica. L’odio forsennato, acrimonioso dell’antiberlusconsimo da piazza è un indice di grave scollamento della democrazia dal Paese. L’odio forsennato che ormai anche il berlusconismo esprime sulle piazze è il contraltare dell’antiberlusconismo stradaiolo e perdente.

Colpire un giornalista in quanto berlusconiamo è un atto sudicio, vigliacco, da castigare nel modo più duro. Dire che esprimo solidarietà a Belpietro è poco. Io manifesto, con la solidarietà a Maurizio, la mia angoscia per lo stato sudamericano in cui è ridotto questo miserabile, disgraziato Paese figlio di un dio minore e che va sempre più a fondo nell’acredine, nella melma dell’insulto, delle dita negli occhi.

E devo dire che mi fa una pessima impressione la stampa che urla per riflesso condizionato alla “speculazione della destra”. Che cazzo vuol dire? Perché, se la cosa fosse accaduta a Ezio mauro non vedremmo oggi la sinistra schierata – e giustamente – a difesa del direttore di Repubblica? A proposito: va dato atto a questo giornale di aver preso, diversamente da altra stampa dell’opposizione, una posizione moralmente netta, pulita e schietta, anche se proprio Repubblica non ha fatto altro che cavalcare l’antiberlusocnismo stradaiolo e antiparlamentare.

Io ho sollevato e sollevo continuamente la questione della democrazia a rischio, della democrazia sull’orlo dell’abisso, del Paese ridotto a una mignottocrazia televisiva e putiniana, della morte del Parlamento e della politica vera, che ha ormai ceduto il passo alla falsa anti-politica di una destra che non sa essere neanche conservatrice, ma soltanto impotente e rabbiosa, paralizzata dalle sue liti da coltello e incapace di governare, sicché l’Italia oggi ha la ripresa più bassa e asfittica d’Europa.

Dunque ho le carte in regola e nessuno mi potrà dare del sostenitore del sistema di cui anche Libero e il suo direttore sono invece degli aperti e legittimi sostenitori. (Fra l’altro su Libero scrivono autentici spiriti liberi e non omologabili come Filippo Facci).

Conclusione: solidarietà totale senza se e senza ma a Maurizio Belpietro e al suo giornale. Auspicio di indagini professionali e vincenti. Inchiesta su tutte le aree potenzialmente eversive di ogni origine con arresti se ne esistono i requisiti. Campagna per svergognare la stampa ipocrita secondo cui le vittime si dividono in buone se sono le nostre e cattive se sono degli altri.

"

«Io come Saviano Sono un recluso per quello che scrivo»

«Io come Saviano Sono un recluso per quello che scrivo»: "Il direttore di «Libero»: la mia scorta sempre con me"

C’è un regime in Italia: è di sinistra

C’è un regime in Italia: è di sinistra

Feltri, Belpietro e Fede costretti a vivere da anni con la scorta. Per dotti e giustizialisti sono solo dei pennivendoli. Ma gli schizzi di fango rischiano di diventare sangue

Mandanti morali

Mandanti morali: "

Il direttore del quotidiano Libero ha subito un agguato.
Fortunatamente ne è uscito illeso. Le forze dell’ordine stanno
indagando con gran dispiego di mezzi. Fino ad ora nessuna traccia
dell’attentatore. La scorta al giornalista è stata potenziata.

La notizia è dell’altro ieri sera. Al momento in cui scrivo non ci
sono significative novità. Qualche nota a margine tuttavia è già
possibile farla.

La condanna della violenza, da chiunque provenga, è fuori discussione.
Ma questo non impedisce di interrogarsi sulla dinamica dei fatti.
Qualche dubbio emerge dalle cronache e si sta diffondendo tra quei
cittadini che non si fidano più di quel che leggono su certi giornali
e sentono su certe tv, dopo anni di dossieraggi, bufale e veleni da
parte di un network eversivo pronto a tutto.

Auguriamoci, dunque, che una serie inchiesta giudiziaria – ecco
l’importanza di avere una magistratura indipendente dal governo e dai
suoi tirapiedi! – accerti i fatti. Fino a quel momento è legittimo
sospendere il giudizio sul fatto in sé.

Poi c’è la strumentalizzazione della notizia, che è già partita in
automatico. Prima ancora di averne accertato il responsabile, la
dinamica e le motivazioni, il sistema politico-mediatico attribuisce
la colpa del misterioso attentato al “clima“, ai toni, alle parole di
chi esprime dissenso senza prima chiedere consiglio all’on. Bonaiuti.

Il ministro dell’interno dichiara che occorre “abbassare i toni
perché “non sarà l’ultimo attentato“.
Il capogruppo del Pdl al Senato parla di ragazzini che in modo
moralmente violento” gli accendono in faccia una telecamera.
Il capogruppo del Pdl alla Camera indica in Di Pietro il fomentatore dell’odio.
Politici e commentatori di ogni colore condannano l’attentato
iscrivendolo, senza saperne nulla, in un contesto politico.
Lo stesso fa il diretto interessato: “pago per le mie idee“, dice.
Un tempo si attendeva almeno un volantino di rivendicazione dei
colpevoli. Ora ci si affida ai comunicati stampa delle vittime.

Quando ieri mattina ho letto la notizia, ho subito pensato: si
preannuncia un nuovo caso Tartaglia, sia pure in sedicesimo. Ci siamo
già. Partito dell’odio, mandanti morali, rischio terrorismo,
abbassiamo i toni: il rosario vittimistico dei nuovi maccartisti ormai
lo conosciamo. E a questo vocabolario falso e avvelenato stanno
attingendo per mettere a frutto anche quest’episodio, addebitandolo a
quel che resta del giornalismo critico, dell’opposizione parlamentare,
dei movimenti di opinione che contestano il governo su misura.

Se non funziona più il sogno, deve funzionare la paura: il gioco è
questo. E non è un gioco pulito.

Mentre ancora siamo in attesa delle scuse da parte di chi ha inserito
anche noi tra i responsabili del “clima avvelenato” che ha armato la
mano di Tartaglia, poi rivelatosi uno squilibrato isolato, e di un
atto di resipiscenza da parte di quei garbati oppositori che per anni
ci hanno insegnato che non bisogna “demonizzare” Berlusconi, cioé il
capo della cricca dei demonizzatori, tocca ancora una volta opporsi
alle strumentalizzazioni, ribadendo ovvietà oggi per nulla scontate,
per difendere il diritto stesso alla libertà di espressione.

A nessuno è consentito di mettere sullo stesso piano il dissenso e la
violenza. Criticare Berlusconi perché abusa delle istituzioni per
garantirsi l’impunità non significa esporlo al rischio di aggressioni,
ma esigere rispetto per la Costituzione. Criticare Belpietro per il
suo modo di dirigere i giornali non significa istigare alla violenza
contro di lui, ma provare rispetto per la funzione pubblica del
giornalismo. La libertà di espressione è il cuore della democrazia. Ed
è libertà non di applauso ma di critica, anche aspra se necessario,
purché documentata e responsabile, adeguata nei toni alla sproporzione
delle forze in campo e alla gravità dei fatti che si denunciano.

C’è un odio sano in politica: l’odio per gli abusi di potere. E usare
il potere per intimidire i dissidenti o distruggerne la reputazione è
una forma di violenza.

Ingiusta ma anche illogica, questa pretesa di criminalizzare
preventivamente il dissenso. Se valesse il principio dei “mandanti
morali
“, per esempio, dovremmo forse imputare ai direttori dei
giornali berlusconiani un eventuale attentato a uno a scelta dei tanti
magistrati, politici e intellettuali messi alla berlina e diffamati
perchè sgraditi al capo? Senza nemmeno attendere l’esito un’inchiesta?
Fidandoci della parole delle vittime o di un agente della loro scorta,
magari già noto e premiato in passato – come l’agente di scorta a
Belpietro, stando a quel che si legge oggi su Repubblica -  per aver
sventato un misteriorso attentato rimasto senza traccia né colpevole
alla “toga rossa” Gerardo D’Ambrosio? A proposito: l’avrà commesso uno
squilibrato suggestionato da Sgarbi o un fanatico lettore del
Giornale?

"

E il gesuita creò il link. È merito suo se navigate in Internet

E il gesuita creò il link. È merito suo se navigate in Internet: "

Roberto Busa ha conosciuto sette papi: dava del tu a Luciani, suo compagno in seminario. "Nel '49 andai dal fondatore dell’Ibm a New York e gli chiesi l’impossibile"

sabato 2 ottobre 2010

PI (greco) da record

PI (greco) da record: "Un matematico stabilisce un nuovo primato per il calcolo delle cifre decimali del numero irrazionale. Con l'aiuto di Yahoo! e Google

Intermediari ad intermittenza

Intermediari ad intermittenza: "di G. Scorza - La decisione del tribunale spagnolo sul caso Mediaset a confronto con quelle della giustizia italiana. Il ruolo degli intermediari? Lo stabilisce una direttiva europea, ciascuno stato lo interpreta diversamente

Acerra, l’inceneritore morto e l’affare dei Cip6

Acerra, l’inceneritore morto e l’affare dei Cip6: "

La Campania sguazza tra i rifiuti, il miracolo di B&B (Bertolaso e Berlusconi) è al crepuscolo. Questa non è solo una storia di spazzatura, ma anche di soldi, troppi e spesi male, di coperture bancarie e società per azioni. L’inceneritore di Acerra è fermo nonostante le rassicurazioni dell’A2a, la società che lo gestisce. Due linee già bloccate, ma lunedì scorso un tour con i giornalisti nel “gioiello tecnologico” di Acerra, come ebbe a definirlo Berlusconi.  “In questo momento sta funzionando solo una linea – spiegava Antonio Bonomo, amministratore delegato di Partenope Ambiente, la società del gruppo A2A che ha la gestione dell’impianto per 15 anni, nell’ incontro con la stampa – abbiamo una linea in manutenzione programmata ed un’altra dove sono in corso interventi di miglioramento. Con la linea due, per la quale si è registrato una usura anticipata di una ventina di giorni, pensiamo di ripartire entro fine ottobre, per la tre entro il 20 dicembre. Queste interruzioni sono normali”. Neanche a dirlo è si è fermata anche l’unica linea funzionante, quella 1.

Intanto sul sito dell’osservatorio di Acerra si legge che il 15 settembre c’è stato un incontro. Nella relazione si legge: “Partenope Ambiente ha comunicato che al momento è in funzione la sola Linea 1; le linee 2 e 3 sono in fase di manutenzione; la linea 3 è, altresì, in fase di manutenzione stagionale programmata(…). Gli interventi sono relativi ad indispensabili aggiornamenti impiantistici. Tali interventi non riguardano aspetti ambientali, in quanto i valori medi di emissione sono notevolmente inferiori a quanto previsto dall’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Nel contempo, si tratta di interventi impegnativi, sia dal punto di vista tecnico che da quello della tempistica necessaria, che vengono posti in atto insieme al costruttore”.

Interventi impegnativi, detti in altri termini, strutturali.

L’impressione è che Acerra sia un catorcio, i vertici di A2a non vogliono ammetterlo. Ma bisognerebbe recuperare una notizia: l’esito della gara per gestire Acerra dopo la fallimentare esperienza di Impregilo. La prima andò a deserta. Poi il governo Prodi, ormai caduto, nel febbraio 2008 pensò di ripristinare i Cip6 per l’impianto napoletano, gli incentivi che dovrebbe andare alle rinnovabili e vanno nelle tasche di petrolieri e inceneritori. E così l’A2a tornò in scena. “Un provvedimento che giudico un aiuto alla Campania, un contributo – spiegò Bonomo – a sbloccare la situazione. La nostra disponibilità e il nostro interesse rimangono. Altro non dico”.

Anche di questa partita di soldi, affari e sprechi parliamo nel nostro libro (con Nello Trocchia) La Peste, da oggi in libreria.

"