Il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia Giuseppe Pisanu: negli anni delle stragi, tra governo italiano e Cosa nostra ci fu "qualcosa del genere" a una trattativa. Ma Grasso: "Le teorie sono belle ma, nei processi, abbiamo bisogno delle prove"
mercoledì 30 giugno 2010
Mafia, Pisanu: "Trattativa? Qualcosa del genere" Grasso smentisce: "Belle teorie, nessuna prova"
Mercato del petrolio nel panico per colpa di un broker ubriaco
LONDRA – Ormai ne abbiamo sentite di tutti i tipi. Chi doveva sorvegliare la piattaforma petrolifera di Bp si guardava i filmini porno sui computer del ministero. Gli ispettori della Sec (la Consob americana) che dovevano vigilare sulla crisi finanziaria, passavano fino a otto ore davanti a siti hard. Troppo noioso stare davanti al computer. Servono diversivi per infiammare la giornata. E, a volte, il sesso non basta. Lo sa bene Steven Perkins, un broker di Pvm Oil Futures Limited, una società di Londra che compra e vende prodotti finanziari derivati sul petrolio.
Giusto un anno fa Perkins è finito su tutti i giornali per aver fatto salire il prezzo del petrolio di oltre il 3,5% in poche ore, speculando come un forsennato al rialzo. In quella calda giornata di giugno, non appena ci si accorse che l’aumento del prezzo era frutto di un’azione isolata, Perkins rimase con il cerino in mano riuscendo a far perdere alla sua società – oltre alla reputazione – più di 10 milioni di dollari. Il prezzo del greggio, dopo essere schizzato a 73,5 dollari (il massimo annuale), scese a quota 69 dollari. Un uomo solo riesce a condizionare pesantemente il prezzo del petrolio semplicemente smanettando sulla tastiera del suo portatile. Cose da pazzi. Oggi si scopre che quell’uomo, oltre ad essere solo, era anche a casa, comodamente seduto sulla poltrona del suo soggiorno e, come ha appurato la Fsa (Financial Services Authority), completamente sbronzo. “Ho bevuto pesantemente durante il weekend”, ha spiegato Perkins alle autorità inglesi. “Ero stato a un golf party organizzato dalla mia società, poi a casa ho continuato a bere”. E, nella notte tra il 29 e il 30 giugno del 2009, si è collegato ai mercati asiatici del greggio dalla piattaforma online della Pvm, piazzando una scommessa da 500 milioni di dollari. “Perkins era in un blackout mentale indotto dall’alcool”, spiegano alla Fsa.
Ora dovrà pagare una multa di 89.000 euro e per i prossimi cinque anni non potrà lavorare nel settore. “L’attacco speculativo di Perkins ha diffuso nei mercati informazioni fuorvianti, con l’effetto diretto di aumentare il prezzo del Brent a un livello anormale e artificiale”, hanno commentato i funzionari della Fsa. Ma alcuni avvocati della City si aspettavano una condanna più pesante. “Questo caso non è stato affrontato in modo serio. Alla fine sono state comminate solo sanzioni amministrative”, ha dichiarato al Financial Times Neill Blindell, legale della società Eversheds. Ci si aspettava una punizione esemplare, forse addirittura una pena detentiva. Oppure semplicemente una circolare delle autorità londinesi per limitare la somministrazione di alcolici ai party aziendali dei broker. Con la promessa – per chi si ferma al terzo gin tonic – di ottenere password gratuite per siti porno esclusivi.
"Provincia di Salerno, quei 25.000 euro per pagare il premio a Noemi Letizia
La soddisfazione di creare dal nulla un premio per illuminare le nascenti doti artistiche di Noemi Letizia, la ragazza appena maggiorenne che chiama “Papi” Silvio Berlusconi e occupa un posto in primissima fila nel battaglione delle sue pupille, non ha prezzo. Anzi sì, un prezzo ce l’ha. Ed è documentato nelle pieghe del bilancio dell’amministrazione provinciale di Salerno. Per fondare il Valva Film Festival, contenitore dell’indimenticabile premio di fine estate 2009 “Per il talento che verrà” alla 18enne Noemi, la giunta del pidiellino Edmondo Cirielli nel maggio scorso dispose uno stanziamento di 25mila euro per il piccolo comune di Valva, nella Valle del Sele.
I finanziamenti sono serviti a coprire le spese del Premio Villa D’Ayala, un cartellone culturale di pregevole fattura (l’anno scorso, tra gli altri, fu premiato il giornalista Tito Stagno) all’interno del quale il sindaco Michele Cuozzo volle introdurre il Valva International Short Film Festival. E nel tentativo di ottenere qualche prima pagina, si decise di “inventare” un premio per una ragazza il cui curriculum vantava appena una parte breve e muta in un cortometraggio del regista Carlo Fumo, Scaccomatto, e qualche piccola comparsata in tv locali. Ma Noemi era stata appena travolta da improvvisa fama per la partecipazione del Cavaliere alla festa dei suoi 18 anni in quel di Casoria. Il premio in onore della giovanissima amica di Berlusconi ottenne così la luce dei riflettori e qualche prima pagina. Contabilmente, dei 25.000 euro predisposti per il Premio Villa d’Ayala circa 7.000 furono impiegati solo per il festival cinematografico. Che era alla prima edizione e quest’anno non si sa ancora se verrà bissato.
I dati sui costi del Valva Film Festival sono emersi grazie a un dossier del Pd di Salerno sui presunti sprechi dell’amministrazione provinciale azzurra. “In verità la rassegna cinematografica fu un mezzo fiasco – sostiene il segretario provinciale del Pd Michele Figliulo, che di Valva fu sindaco in un passato non lontano – perché non si tenne nella bellissima settecentesca Villa D’Ayala per l’opposizione della Soprintendenza. Gli annunciati patrocini della Presidenza della Repubblica, del Senato e del Ministero dei Beni Culturali, vennero meno. Restò solo quello della Provincia di Salerno, il cui presidente Cirielli pochi giorni fa ha scritto che la sua azione amministrativa era tutta a servizio del territorio e a scapito dell’effimero. Ma quella premiazione fu, al contrario, un clamoroso esempio del trionfo del trash e dell’effimero”.
La rassegna stampa, in effetti, non fu trionfale. Maurizio Barucci, sceneggiatore di Gomorra, dichiarò di essere “rassegnato al trionfo della stupidità”. Emanuele Macaluso si scatenò in un corsivo su Il Mattino ricordando un corso sulla Stupidità appena inaugurato da un College di Los Angeles, e consigliando ai professori statunitensi di mandare i propri studenti a frequentare uno stage a Valva. Diego Da Silva, sempre su Il Mattino, tracciò un interessante confronto tra l’arrivo sobrio e discreto della star hollywoodiana Naomi Watts al Giffoni Film Festival e l’arrivo da diva capricciosa di Noemi a Valva, che rimase asserragliata a lungo in un auto blu prima di concedersi, e solo per pochissimi minuti, ai giornalisti. Scrisse Michele Serra sulla sua rubrica di Repubblica l’Amaca, il 26 agosto 2009: “Se riuscissimo a capire che cosa c’è nella testa di una giuria di paese che decide di premiare Noemi Letizia per il talento che verrà, avremmo finalmente capito che malattia abbiamo, e se c’ è una terapia oppure se è meglio rassegnarsi”. Serra ci offrì anche una risposta: “L’ ipotesi più verosimile è che i premiatori, esattamente come la premiata, siano disposti a qualunque idea o ideuzza pur di attirare un paio di telecamere fin sulla piazza del paese”. Peccato che quell’idea fu realizzata grazie a soldi pubblici. Cioè nostri.
"Cassazione: il medium e' la molestia
Emilio Fede “lancia” il No Bavaglio Day
Emilio Fede, dopo aver commentato la relazione del garante per la Privacy, Stefano Pizzetti, lancia il No Bavaglio Day del primo luglio. Lo fa ovviamente alla sua maniera: “domani 9 luglio centri sociali, Italia dei valori e qualche giornalista sono a protestare… ”
Imperdibile
"martedì 29 giugno 2010
Micron fiscal Q3 profits surge on higher demand
Il bicchiere mezzo pieno (di mafia)
Se a una persona che stimo moltissimo e considero di specchiata moralità dessero sette anni per mafia sarei furibondo per l’ingiustizia, non mi verrebbe neanche in mente di festeggiare perché non gli hanno aggiunto altri quattro anni per mafia successiva. Nel partito-salamelecco di Berlusconi, invece, per la condanna del senatore Dell’Utri circola grande soddisfazione: solo (!) sette anni, mentre per le stragi successive al ’92, e altre mafiosità dopo quella data, “il fatto non sussiste”.
Ora, se sei contento per una sentenza del genere, l’unica spiegazione è che avevi fondati motivi per aspettarti di peggio. E se ti aspettavi di peggio, malgrado una corte giudicante che tutti i “rumors” e “gossip” di Sicilia davano come la sorte – diciamo così – meno ostile, allora l’unica spiegazione logica è che sai qualcosa che noi non sappiamo, quel qualcosa che il pubblico ministero ha ricostruito con grande impegno almeno per alcuni episodi, anche se le testimonianze a riscontro non sono state considerate tali dalla corte. Se poi il telegiornale minzolino biascica in due parole velocissime la notizia della condanna, e concentra tutto il servizio sulla “assoluzione”, hai la conferma che il vertice che ci governa ricorda sempre di più un suo sinonimo: la cupola.
"30 anni di storia Mac in 2 minuti
Ultimamente non si sente parlare molto di computer Mac. La lente di Apple sempra essersi diretta sui dispositivi mobili con l’iPhone 4 e l’iPad. Il Mac ha una lunga storia alle spalle, oltre 30 anni che per il settore informatico è tantissimo.
Basti pensare che il primi PC della storia, in termini di personal computer, è stato un Mac. Ecco un video che racconta questa storia in appena 2 minuti.
[via TUAW]
Articolo tratta da: Melamorsicata.it
30 anni di storia Mac in 2 minuti
Nokia: i nostri smartphone possono essere impugnati in vari modi
Apple consiglia di toccare l’iPhone 4 solo in un certo modo? I nostri cellulari possono essere toccati in tutti i modi. E’ questo il messaggio che Nokia sta facendo passare tra i media giocando sui recenti problemi di ricezione del nuovo telefono della Mela.
Approfittando della dichiarazione di Steve Jobs di cambiare la modalità con cui si tocca il telefono, l’ufficio marketing della casa finlandese ha pensato bene di mostrare al mercato il fatto che i loro telefoni non soffrono dei problemi dell’iPhone.
Lo sfottò ci sta tutto purtroppo e la colpa è solo di Apple.
[via Nokia]
Articolo tratta da: Melamorsicata.it
Nokia: i nostri smartphone possono essere impugnati in vari modi
Tagli a Malpensa, Formigoni solo parole e niente promesse ai 3.00 cassaintegrati
Malpensa muore e il governatore della Lombardia dirige la cerimonia funebre con una seduta straordinaria del consiglio regionale. Obiettivo ufficiale: discutere gli interventi per rilanciare lo scalo. “L’ennesima campagna mediatica”, ribattono e rilanciano quelli dell’Italia dei valori. E del resto le cifre dei tagli sono lì a dimostrare che il rinnovamento, senza interventi strutturali, si annuncia come un’impresa impossibile. Numeri e percentuali sono impressionanti. Con in 17 milioni di passeggeri del 2009 rispetto ai 23,8 del 2007. E ancora: i voli di Alitalia che sono sono passati da 1.237 a 187 voli. Mentre tra indotto e areoporto sono ben 3.000 i lavoratori in cassa integrazione.
A diciotto mesi dal ridimensionamento il sogno sembra definitivamente finito. E la seduta di oggi, attacca il consigliere regionale Stefano Zamponi “è stsata l’ennesima passerella mediatica . Per rilanciare Malpensa servono interventi strutturali che il Governo Berlusconi non ha nessuna intenzione di adottare”. In quattro ore di dibattito non è stata concessa la parola a nessun lavoratore colpito dai tagli. Piloti, assistenti di volo, addetti all’assitenza di terra che, da gennaio 2009, sono stati lasciati a casa per 7 anni. Solo uno su cinque andrà direttamente in pensione, per gli altri nessuna certezza per il futuro e stipendio ridotto di un quinto. Colpiti, denuncia il comitato di cassaintegrati del Gruppo Alitalia SevenAz, soprattutto i lavoratori con più anni di servizio e una qualifica più elevata. Critica anche la categoria dei trasporti della Cgil che opera a Malpensa: ”Questo aeroporto è nato come hub – dice Saverio Innocenzio della Filt – ma non si riescono a garantire nemmeno i collegamenti ferroviari. Il Governo, come la Regione, non ha nessuna idea di sistema di trasporto aereo e ragiona in una logica di propaganda politica”. Per lavoratori e sindacati il sapore della beffa l’intervento tardivo della Regione.
Oggi le cose stanno così. Nel 2008 invece le promesse si spercavano. A parlare, in prima fila e come al solito, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni nel 2008, dopo l’incontro con l’amministratore delegato di Cai-Alitalia Rocco Sabelli, aveva affermato: “L’aeroporto di Malpensa è il punto privilegiato del piano industriale della compagnia aerea”. E ancora: “Cai ha assicurato la sua scelta di collocare il punto di riferimento più forte su Malpensa”.
Un anno prima lo stesso centrodestra lombardo e nazionale aveva fatto le barricate per evitare la cessione della compagnia di bandiera ad Air France, sostenuta dal Governo Prodi. Cambiata la maggioranza politica, via libera alla cordata di imprenditori salva-Alitalia di Cai, Compagnia Aerea Italiana. In regalo il ridimensionamento dei dipendenti in tutto il Paese: seimila costretti alla cassa integrazione, tremila precari lasciati a casa, 3 miliardi di euro di debiti a carico dello Stato. E la parte sana della compagnia (con il controllo della ricca tratta Milano-Roma) in mano alla cordata guidata da Roberto Colaninno e Rocco Sabelli.
Vittima sacrificale del passaggio di proprietà lo scalo lombardo. Troppi due hub in concorrenza tra di loro per i voli intercontinentali, Alitalia così sceglie come base Fiumicino. E nonostante gli annunci di Formigoni e di Umberto Bossi (“Non si tocca” tuonava il leader del Carroccio), l’aeroporto del Nord vive solo grazie ai low cost e il settore cargo. Ora per la Sea (società che gestisce gli scali milanesi) è arrivato il momento del rilancio. L’obiettivo è la costruzione della terza pista dello scalo varesino, nonostante i volumi di traffico siano in costante discesa: dai 19 milioni del 2008 a 17,5 dello scorso anno. Anche la compagnia di bandiera non è ripartita dopo le promesse di rilancio. E nonostante 400 milioni di euro di prestito del Governo, 100 milioni dalle banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, ha chiuso il bilancio 2009 con perdite nette per 326 milioni di euro. Ma Sabelli è ottimista: “Alitalia non abbandona Malpensa. I prezzi e i costi dei voli saranno come quelli delle compagnie low cost, ma i prodotti saranno quelli dei carrier tradizionali”. Da una rapida ricerca la compagnia low cost Easyjet offre il volo Malpensa-Roma di domani a 66,99 euro. Alitalia per la stessa tratta quasi il doppio: 119,17.
"Si vince col melting pot fatto in casa
Il campo ha detto molto. Ma non tutto quello che si può dire di una partita viene dal campo. Sì, perchè la vittoria schiacciante della Germania ai danni dell’Inghilterra di Fabio Capello negli ottavi di finale del mondiale è lo specchio fedele di due sistemi calcistici agli antipodi. Interamente fondato sugli investimenti stranieri quello britannico; capacità organizzativa e forti impegno federale nella cura dei settori giovanili, invece, i capisaldi della rinascita tedesca. Come dire: business sfrenato contro pianificazione capillare. E i risultati delle rispettive selezioni nazionali non possono che risentire di queste tendenze. Per avere conferma, basta analizzare i massimi campionati dei due paesi.
La Premier League è il torneo maggiormente indebitato del pianeta, con una passività che sfiora i 3800 milioni di sterline. Eppure le squadre d’oltremanica da anni dominano le competizioni europee per club. Come spiegare questa dicotomia? Semplice: con gli investimenti folli, le perdite e le conseguenti ricapitalizzazioni dei paperoni di mezzo mondo, che portano in Premier League – spesso più per sfizio che per effettiva necessità tecnico/tattica – i migliori calciatori del globo, bruciando allo stesso tempo la qualità e le speranze dei giovani calciatori indigeni, abbandonati al loro destino fatto di calci di periferia e vivai mal gestiti e peggio finanziati. Del resto, se il calcio inglese non sforna talenti veri dai tempi di Rooney qualcosa vorrà pur significare.
Da qui le difficoltà di una nazionale (ultimo successo vero, i mondiali del 1966 giocati in casa) che non ha saputo approfittare della generazione dei vari Terry, Lampard e Gerrard, fuoriclasse assoluti in un panorama generale che a definirlo scadente gli si fa un complimento. Eppure il calcio inglese continua ad attirare i miliardari: perchè? Con stadi di proprietà, merchandising aggressivo, diritti tv contrattati privatamente e un gettito fiscale minimo, la Premier League è diventata il bengodi di chi ha soldi da buttare. La situazione appena descritta, però, è criticata anche dai massimi organi mondiali del calcio: “Troppi capitali stranieri” ha detto il presidente Fifa Blatter, il quale teme che, in uno scenario di questo genere, si possa creare una specie di bolla speculativa destinata prima o poi a scoppiare. La stessa preoccupazione, peraltro, è stata espressa anche dal presidente Uefa Michel Platini, il quale ha auspicato fair play nelle manovre di mercato dei grandi club europei al fine di evitare le aste ultramilionarie per accaparrarsi i migliori calciatori in circolazione.
Insomma: in Inghilterra si “fabbricano” vittorie di cartone…
E in Germania? Discorso opposto. Finita l’era delle vacche grasse – e con i club a incassare sonore sconfitte al cospetto di inglesi, spagnoli e italiani – i tedeschi hanno deciso di puntare tutto su una rivoluzione radicale del “sistema calcio”. Hanno costruito stadi nuovi, rimodernato quelli vecchi e, soprattutto, puntato tutto sui settori giovanili. Una ricetta che ormai va avanti da anni. E i risultati iniziano ad arrivare. Alcuni esempi: la Bundesliga è il campionato europeo con più spettatori e con più giocatori cresciuti nei vivai; questi ultimi accolgono ragazzini di ogni ceto sociale grazie a tariffe davvero popolari; ciliegina sulla torta, infine, la decisione di naturalizzare con frequenza i calciatori (magari giovanissimi) di orgini non tedesche. Podolski, Khedira, Oezil, Contento, Cacau, Boateng, Klose e gli altri che oggi vincono in Sud Africa sono il frutto di questa politica “globalizzata”: non tutti, del resto, ricordano che nel 2009 i giovani dell’under 21 tedesca, titolari fissi nei loro club, hanno vinto i campionati europei di categoria. Dando pure spettacolo, il che non guasta nella fisicità estrema del pallone postmoderno.
In altri termini, nel pallone di oggi si vince anche e soprattutto con il “melting pot” fatto e cresciuto in casa. E noi italiani? Chiedetelo ai vari Giovinco e Balotelli.
"Anche Sky in trincea contro il bavaglio
Procede a pieno regime la preparazione della protesta del primo luglio, quando da undici piazze italiane, rinominate “presidi della libertà”, la società civile dirà il suo no al ddl intercettazioni. Assieme a loro ci saranno anche i giornali e le testate che in questi mesi hanno dato battaglia, compreso ovviamente Il Fatto Quotidiano e ilfattoquotidiano.it.
Nel frattempo l’amministratore delegato di Sky Italia, Tom Mockridge, è intervenuto pesantemente contro la legge bavaglio annunciando che si opporrà con tutte le forze all’approvazione del ddl. E se Emilio Carelli, direttore di Sky Tg 24, “dovesse finire in carcere per questo – dice l’editore – Io andrò insieme a lui”. Ilfattoquotidiano.it ha raggiunto Carelli al telefono. E a sorpresa ha però scoperto che il direttore del miglior Tg d’Italia, pur essendo disposto a battersi contro l’approvazione della legge, è molto più prudente del suo editore.
Direttore, tocchiamo ferro, ma Mockridge ha detto che sei lei dovesse finire dentro per aver violato la legge bavaglio, la seguirebbe in cella.
Voglio ringraziarlo pubblicamente per queste parole e per la sua solidarietà. L’ho anche chiamato prima per dirglielo. Stiamo portando avanti assieme questa importante battaglia.
Fino a dove è disposto ad arrivare per continuare a dare le notizie?
Io penso che non si debba mai violare la legge, anche se faremo di tutto per continuare a dare le notizie.
E nel caso non avesse scelta?
Questa è una decisione delicata che prenderemo di comune accordo con l’editore e che valuteremo caso per caso. Sicuramente di fronte a fatti importanti come notizie di mafia, di terrorismo o di corruzione, non siamo disposti a fermarci .
Chi vuole questa legge agita il diritto alla privacy dei cittadini. Al Fatto siamo però convinti che sia solo un pretesto per limitare il lavoro della magistratura e della stampa nel reprimere e denunciare il malaffare. Lei la pensa come noi?
La privacy è un diritto sacrosanto che in Italia è ampiamente tutelato. Purtroppo in questi ultimi anni ci sono stati colleghi giornalisti che hanno esagerato nella pubblicazione di pezzi che non contenevano notizie, ma solo aspetti piccanti della vita privata di vari personaggi. E questi sono abusi da biasimare. In questo contesto la difesa della privacy è diventato un pretesto. Ma c’è da dire che qualche collega ha offerto al Governo questo pretesto.
A chi si riferisce?
In questi ultimi due anni si è inutilmente violato il diritto alla privacy dei cittadini. E questo abuso oggi noi tutti lo paghiamo con una legge come questa.
Mi fa qualche esempio?
Esempi non ne voglio fare. Ma mi riferisco però a quei casi in cui si sono riportati fatti inerenti alla vita sessuale di personaggi, quando questi non avevano nessuna attinenza con dei reati o con delle notizie di reati.
Lo faccio io un esempio. L’intervista di Annozero a Patrizia D’Addario, andata in onda il primo ottobre scorso, l’avrebbe trasmessa?
Noi siamo stati il primo giornale a intervistare la D’Addario. Lo abbiamo fatto in tempi non sospetti, nel pieno dell’inchiesta e molti mesi prima di Santoro. E non lo abbiamo fatto dandole uno spazio così ampio. Sky Tg 24 le ha fatto un’intervista giornalistica di pochi minuti legata alle ipotesi di reato e di corruzione. Solamente questo. Non abbiamo fatto un’intervista per sfrugugliare fra le lenzuola della gente.
La legge bavaglio è stata duramente criticata anche dalle toghe.
C’è un problema di fondo: il rapporto non risolto fra politica e magistratura. L’abolizione dell’immunità parlamentare ha fatto sì che questo equilibrio si sia sbilanciato. So che è impopolare dire queste cose, ma in passato alcuni magistrati se ne sono approfittati. Dall’altra parte questa legge prevede norme che disinneschi e riduca il potere della magistratura. Io auspico che si torni a un equilibrio dei due poteri.
A proposito di giustizia il commissario europeo Viviane Reding ha bocciato il ddl dicendo che verificherà la compatibilità del testo di questa legge con le norme comunitarie. Che ruolo può avere Bruxelles in questa partita?
Sta agli stati sovrani decidere in queste materie. Ma l’Europa può avere un ruolo a livello di pressione e di sensibilizzazione. Noi di Sky abbiamo già annunciato che in caso di approvazione, se rimarranno delle norme molto restrittive, faremo ricorso a tutte le autorità competenti, sia italiane che europee: dal Parlamento alla Commissione, fino alla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Noi del Fatto siamo convinti che, nel caso la legge bavaglio diventi operativa, Internet rimarrebbe l’unico strumento per continuare a dare le notizie.
So bene che, almeno in teoria, con un dominio registrato all’estero, si possono scavalcare queste norme. Ma mi permetta di dire che è estremamente triste solo pensare che un giornalista italiano si debba trasformare in una sorta di carbonaro e pubblicare dall’estero notizie che riguardano l’Italia. Il tutto per non subire le conseguenze di questa legge. Spero proprio che non saremo obbligati a utilizzare questi mezzi.
Che aria c’è nella sua redazione? Cosa dicono i suoi cronisti di politica su eventuali modifiche e tempi di approvazione?
Stiamo aspettando di vedere se si va dopo l’estate. Sembra che la mobilitazione di tanti giornali e dell’opinione pubblica sia riuscita a sollevare il problema e a introdurre la possibilità di qualche cambiamento. Se così fosse il ddl dovrà necessariamente tornare al Senato per un’altra lettura.
Nel frattempo il primo luglio c’è la manifestazione contro il ddl cui abbiamo aderito noi, il sindacato dei giornalisti e tante altre altre testate.
Naturalmente ci sarà anche Sky.
"domenica 27 giugno 2010
Fiumicino, 10 miliardi con danno ambientale
Tre nuove piste per il Leonardo da Vinci, un’opera più costosa del Ponte di Messina, al centro la famiglia Benetton. Ma nessuno ne parla
TERRA. ARIA. ACQUA. Manca il fuoco, per completare i quattro elementi. Ma ci sono i soldi. Tanti, tantissimi, forse come non se ne sono mai visti prima. Anche oltre i 6,3 miliardi stanziati per il "Ponte di Messina". No, quelli non bastano per raddoppiare l’Aeroporto di Fiumicino. Ce ne vorranno almeno 10. Eppure nessuno ne parla. Silenzio. Dagli imprenditori coinvolti, agli organi di Stato, fino a gran parte della politica. Zitti tutti. Gli unici pronti ad alzare la voce sono uno sparuto gruppo di cittadini di Maccarese e Fregene, frazioni di Fiumicino, alle porte di Roma. Sono loro a gridare "aiuto, vogliono cementificare le nostre vite". Quindi ecco la terra: per realizzare l’opera sono necessari 1.300 ettari; aria: la motivazione data da Aeroporti di Roma è che il traffico aereo sulla Capitale raggiungerà, da qui al 2044, i 100 milioni di passeggeri, rispetto agli attuali 36. Acqua: la zona prescelta è a un chilometro, in linea d’aria, dal litorale, zona bonificata negli anni ’20 da contadini veneti e ora dedita ad agricoltura.
LA "MACCARESE SPA" E GLI IMPRENDITORI DI TREVISO. Agricoltura specializzata. In mano, per oltre il 98 per cento,alla "Maccarese spa", società nata negli anni ’30, di proprietà prima della "Banca Commerciale" e poi del gruppo "Iri", ma nel 1998 acquistata dalla famiglia Benetton per circa 93 miliardi "con l’impegno di mantenere la destinazione agricola e l’unitarietà del fondo", come recita l’accordo. Già, a meno di un esproprio. "Se l’Enac (il braccio operativo del ministero dei Trasporti, ndr) dovesse decidere che quella zona è necessaria per realizzare un’opera fondamentale per la collettività, allora verrebbero avviate le pratiche per ottenere le terre", spiega una fonte di AdR. Tecnicismi, che nascondono ben altro. Proviamo l’equazione: la “Maccarese spa” è di Benetton. Gemina possiede il 95 per cento di Adr. Gemina è di Benetton. Cai, quindi la nuova Alitalia, sta concentrando sulla Capitale quasi tutto il suo traffico aereo nazionale e internazionale. I Benetton, dopo Air France, il gruppo Riva e Banca Intesa, sono i quarti azionisti di Cai con l’8 e 85 per cento. Insomma gli "united colors" rivenderebbero allo Stato, quello che dallo Stato hanno acquistato, per poi ottenere i finanziamenti utili a realizzare un qualcosa da loro gestito e sul quale lavoreranno direttamente quanto indirettamente. "Questione di lobby, di business sulla testa delle persone – spiega Enzo Foschi, consigliere regionale del Lazio per il Pd – perché vede, non c’è alcuna necessità di raddoppiare, nessuna. Basterebbe organizzare meglio l’aeroporto e nell’attuale regime. Anche così il 'Leonardo da Vinci' sarebbe in grado di sopportare il raddoppio di passeggeri". Invece “si uccideranno le prospettive di un territorio – continua Foschi – vocato all’agricoltura, al turismo e all’archeologia, per le necessità di pochi, di pochissimi. È una vergogna".
Una vergogna "silenziosa". Come detto, il Fatto ha più volte contattato gran parte della politica laziale per avere delle risposte. Dai big, come il neopresidente Renata Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, fino a consiglieri e assessori. Niente da fare. O al massimo un "sì, leggiamo e vedremo se intervenire. Grazie". "Sono mesi che poniamo interrogativi, sempre inevasi – spiega Marco Mattuzzo del ‘Comitato fuoripista’ –. Siamo choccati da tanto silenzio, ci sentiamo soli e inermi. Abbiamo interpellato tutti, compreso l’Enac per capire. Risultato? Non volevano darci neanche le informazioni di cui abbiamo diritto". Almeno per capire dove e quando.
Tutto nasce nell’ottobre del 2009. Conferenza stampa convocata da AdR. Toni pacati, sorrisi grandi. Pacche sulle spalle e l’atteggiamento di chi dice: siamo alla svolta, chi non lo capisce è fuori dal mercato. È fuori tempo. L’occasione è presentare a governo ed Enac il piano di sviluppo. Il presidente di AdR, Fabrizio Palenzona, spiega: "Sono previsti investimenti per 3,6 miliardi di euro fino al 2020, nell’ottica di un progetto che punta a una capacità di 55 milioni di passeggeri nel 2020 e di 100 milioni nel 2040". Attenzione alle cifre: i 3,6miliardi sono solo per arrivare ai 55 milioni; per toccare quota 100 c’è chi osa sparare quel numero iperbolico: 10 miliardi("Basta moltiplicare il costo per il numero di passeggeri" ci spiega la nostra fonte in Adr). E per questo è necessario "un grande patto tra investitori e istituzioni – continua Palenzona – attraverso un quadro certo di regole e tariffe per consentire un così ingente piano di investimenti privati: un piano che ha il sostegno di imprenditori che rischiano, mettono soldi nel mercato, ma hanno bisogno di certezze".
"Tariffe", la parola magica. Come conferma Gilberto Benetton: "Il tutto è vincolato nella prima fase all’ottenimento di un aggiornamento delle tariffe, nella seconda fase a una nuova convenzione che preveda anche un ritorno sugli investimenti futuri". Dichiarazione rilasciata sempre a ottobre, poco prima di un incontro ufficiale a Villa Madama, Roma. Presente anche il responsabile divisione corporate e investment banking di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè. Guarda caso "Intesa" è il terzo socio di maggioranza in Cai.
LA PREOCCUPAZIONE DELLE BANCHE E LE CONDIZIONI. I soldi ci sono. Eccoli. Loro chiedono un adeguamento. L’adeguamento c’è. Dalla legge finanziaria presentata il 23 dicembre del 2009, si legge: “È autorizzata, a decorrere dall’anno 2010,e antecedentemente al solo periodo contrattuale, un’anticipazione tariffaria dei diritti aeroportuali per l’imbarco di passeggeri in voli all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione europea, nel limite massimo di 3 euro per passeggero, vincolata all’effettuazione di un autofinanziamento di nuovi investimenti infrastrutturali urgenti". Più urgenti di un raddoppio? C’è un "però": AdR ha ottenuto un incremento di imbarco pari all’inflazione programmata del 2009 (l’1,5 per cento, quindi da 5,17 euro a 7,57). Ma secondo quanto riportato il 6 aprile da il Sole 24 Ore a firma Laura Serafini, AdR non ritiene di essere in grado di finanziare l’opera con le norme attualmente vigenti sulle tariffe. "Lo potrà fare solo con un nuovo sistema, tutto da negoziare con l’Enac entro la fine del 2010, che secondo quanto già dichiarato dai vertici di AdR dovrebbe riconoscere allo scalo la stessa convenzione data ad Autostrade, che dunque garantirebbe aumenti per i prossimi 34 anni (la concessione AdR scade infatti nel 2044)". Da qui lo scoglio: manca la garanzia che il ministero dell’Economia, chiamato ad approvare quel contratto assieme al ministero dei Trasporti dia il via libera a questo tipo di contratto. E le banche non vogliono rischiare. Vogliono vedere "nero su bianco". Per questo AdR pretende che il calcolo dell’inflazione parta dal 2001. "Quindi il raddoppio lo paghiamo noi cittadini – interviene Marco Mattuzzo– eppoi c’è qualcuno che vuole venderci la storia che conviene a tutti avere un aeroporto del genere. Anche a chi vedrà la propria casa rasa al suolo. Lo sa una cosa? Ora nessuno comprerebbe una casa ‘condannata’. A meno che non sappia niente del piano. Quindi il danno lo subiamo già ora". Non solo case, anche aziende. Nella zona interessata (nella pagina accanto c’è la piantina) vivono duecento famiglie e operano venti aziende, alcune delle quali affittuarie della "Maccarese Spa".
Gente che da anni lavora la terra, investe, cresce, offre primizie al mercato romano. Percorrere le tante stradine che costeggiano i campi è come fare un viaggio nelle "quattro stagioni": da una parte i prodotti dell’inverno, poi ecco i primi frutti della primavera. E così via. "Noi siamo qui dal 1987 – interviene il signor Caramadre, dell’omonima cooperativa –, e ci occupiamo di orticoltura biologica. Se sono disposto ad andarmene? Ma lei si rende conto quanto tempo ci vuole per mettere in piedi un’azienda del genere? Cosa vuol dire piantare e aspettare i frutti? Non siamo mica una fabbrica che compra i componenti e li mette in funzione. Per noi i periodi diventano anni, dai dieci ai quindici". Quindi di vendere non se ne parla "anche perché non ci darebbero mai la cifra necessaria per aprire una nuova attività – continua –. Così siamo all’interno di una forma ricattatoria: o cedi alla cifra che decidiamo, o vai in giudizio civile. Quindi 7-8anni per arrivare a sentenza. E nel frattempo mi hanno raso tutto al suolo".
Bene, ecco qui: “A 36 milioni di traffico, corrispondono 2623 dipendenti, di cui circa 635 a tempo determinato – spiegano da Fuoripista. Quindi 80 occupanti ogni milione di passeggeri. Al contrario AdR parla di mille addetti ogni milione. Al 2044 sarebbero 100 mila posti di lavoro diretti". Il Fatto ha cercato di sentire tutte le parti. Ha chiamato Gemina, ha interpellato l’Enac. Per capire. Anche con loro, niente da fare. L’Ente nazionale ha risposto che i "tecnici stanno ancora valutando, quindi è presto". Gli uomini di Benetton si sono chiusi dietro un inespressivo no comment. E chi lavora con loro ci ha parlato a voce bassa e sotto una promessa: "Mi raccomando, io non vi ho detto niente. Non fate mai il mio nome altrimenti mi licenziano". Già,l’importante è tenere la voce bassa. Anche se in ballo ci sono 10 miliardi di euro.
LEGGI:Il primo volo, Andreotti e il Vaticano Montanelli: "Una rapina" di Luca De Carolis
Fiumicino: com'è e come sarà
(Clicca sull'immagine per ingradire)
Da il Fatto Quotidiano del 27 aprile
La vera storia della patata Ogm
Non sempre le potentissime lobbies del cibo transgenico hanno la vittoria garantita. A sorpresa hanno appena subito una cocente sconfitta sui loro piani di introdurre nuovi tipi di patate ogm
E la sconfitta, annunciata con toni così trionfalistici da Repubblica, sarebbe la seguente: interpellati recentemente da Greenpeace in Germania, i colossi del fast food hanno confermato di non volere ammettere nei loro menu patate geneticamente modificate. Non è proprio uno scoop, anzi la storia è abbastanza vecchia, e vale la pena riportarla correttamente (e non c’entra nulla con la vicenda della patata Amflora, la cui coltivazione è stata recentemente ammessa dall’UE, ma che non è destinata all’uso alimentare).
Nel 1995 Monsanto mise sul mercato New Leaf, una patata Ogm resistente alla dorifora. Per i non addetti ai lavori, la dorifora è un piccolo coleottero delle dimensioni di una coccinella, con il dorso coperto di striature gialle e nere. Chiunque abbia anche un piccolo orto sa bene che non è possibile cavare una patata da terra senza effettuare molti trattamenti chimici contro la dorifora, che, distruggendo le foglie, uccide le piante prima della maturazione: i suoi attacchi non sono sporadici, dato che è un parassita diffusissimo.
New Leaf incontrò da subito un altissimo gradimento da parte dei produttori americani, che avevano finalmente l’opportunità di mettere sul mercato un prodotto più sano, di spendere meno in trattamenti chimici e di rischiare un po’ meno anche la loro salute (il sottoscritto vive vicino Grotte di Castro, nell’alto viterbese, un comprensorio agricolo in cui le patate sono molto diffuse, e non è uno spettacolo raro vedere agricoltori seriamente intossicati a causa di un uso imprudente dei macchinari per la distribuzione dei pesticidi).
Il trend positivo si interruppe improvvisamente nel 2001, quando Monsanto ritirò New Leaf dal mercato. Cos’era successo? Semplicemente, le insensate campagne ambientaliste contro gli Ogm avevano indotto McDonald’s e le altre multinazionali del fast food, preoccupate di perdere clienti, a rifiutare le patate Ogm. E così gli agricoltori hanno ricominciato ad avvelenarsi e ad avvelenare le loro produzioni: si stima che se solo in Idaho, Washington e Oregon fosse stata adottata New Leaf, sarebbero state riversate nell’ambiente 650.000 tonnellate di insetticidi in meno ogni anno!
Tutto qui. Gli interessi delle multinazionali della distribuzione e dei produttori di pesticidi (che hanno tutti, è il caso di ricordarlo, fatturati molto più elevati di quelli della famigerata Monsanto) hanno prevalso su quelli delle multinazionali biotech, degli agricoltori, dell’ambiente e dei consumatori. E oggi Greenpeace si gloria di avere ottenuto da McDonald’s e Burger King la semplice conferma di una decisione (sciocca, benché più che comprensibile) già presa dieci anni fa.
"
Il Neuromante: prossimamente al cinema
Daniele Sepe, rap anti Saviano: «È intoccabile più del Papa»
(di Antonio Fiore da il Corriere del Mezzogiorno)
Roberto Saviano bugiardo e imbroglione, costruttore del proprio mito, showman interessato più al diritto d’autore che al dovere della verità: se il libro di Dal Lago era una critica all’«eroe di carta», Cronache di Napoli di Daniele Sepe è un attacco senza precedenti all’autore di Gomorra.
Sepe, ma perché ce l’ha tanto con Saviano?
«Non c’è nessuna polemica verso di lui».
Alla faccia: nel suo testo gliene dice di tutti i colori.
«Contesto innanzitutto il fatto che Saviano sia un esperto di mafia».
Nega che a partire dal libro di Saviano sia cambiata nell’opinione pubblica non solo nazionale la percezione del fenomeno camorra?
«Ricordo una bellissima copertina di Der Spiegel negli anni Settanta, quella con la pistola sul piatto di spaghetti. Sin da allora la mafia faceva notizia».
Già, ma quella fu una trovata giornalistica, di costume.
«E anche Gomorra è un libro di costume. Con dentro tante imprecisioni e inesattezze che nessuno si è però preso la briga di verificare».
La storia del container pieno di cinesi morti, va bene. Però Saviano le risponderebbe che…
«Risponderebbe che il suo è un romanzo. D’accordo, anche Sciascia scriveva (straordinari) romanzi sulla mafia. Ma non mi risulta che fosse considerato un esperto di mafia».
Saviano, però, ha portato alla luce gli intrighi di un clan pericolosissimo eppure mediaticamente sottovalutato come quello dei casalesi. Almeno questo, glielo possiamo riconoscere?
«Perché, oltre a quello dei conosciutissimi boss ha fatto mai qualche nome? Se lui sa che i casalesi fanno affari con i grandi della politica e della finanza, perché non ci dice chi sono? Oppure i casalesi il business li fanno con i cinesi morti? Dice di sapere tutto dello scandalo-rifiuti in Campania. Ma quali aziende ha denunciato? Nessuna. Per attaccare un politico – vedi il caso Cosentino – aspetta che i giudici tirino fuori le carte. Saviano è solo una bella cortina fumogena. Se devo informarmi su che cosa è la camorra, scelgo sempre il buon vecchio Napoli fine Novecento. Politici, camorristi, imprenditori di Francesco Barbagallo».
Da un uomo di sinistra, anzi di sinistra radicale, non si sente politicamente scorretto?
«Da comunista dico: quando da decenni la politica è fatta da governi presieduti dagli editori di Saviano, e quando i provvedimenti finanziari si accaniscono sulla povera gente, sicuramente chi ci guadagna è la camorra. La povera gente qualcosa deve pur mangiare, e la legalità è una cosa bellissima, ma non si mangia. Il problema criminale, in Campania e in tutto il Sud, va analizzato tendendo conto che qui sono 20 anni che le aziende chiudono per favorirne altre al Nord, e che la malavita attecchisce per mancanza di alternative, non perché qui vivono scimmie malvage dedite al cannibalismo».
Intanto Saviano, per aver lanciato la sua sfida ai clan, è costretto a vivere sotto scorta. Ma lei ha da ridire anche su questo.
«A me risulta che, a suo tempo, il capo della Mobile dette parere negativo alla concessione della scorta. E per avere espresso questo punto di vista è stato rimbrottato addirittura dal capo della Polizia. Ma allora io mi chiedo: in Italia non c’è solo Padre Pio tra gli intoccabili? Possibile che si possa criticare il Papa, e Saviano no? Che persino Berlusconi accetti il contraddittorio, e Saviano no? Perché non posso dirgli guaglio’, stai dicenno ’na strunzata?
Forse perché incrinerebbe un fronte di solidarietà verso una persona minacciata di morte?
«Ma chi minaccia Saviano, e perché? Da cittadino italiano avrei il diritto di saperlo: quali sono ’ste minacce? Le telefonate anonime? Non che la cosa mi scandalizzi: in Italia ci sono tante scorte inutili, una in più, una in meno…».
Ma lo sa che cose simili le ha dette Emilio Fede, uno con il quale non credo che lei sia in sintonia?
«Fede è sotto scorta da 15 anni, però continuiamo a criticarlo.
E invece Saviano no, è incriticabile?».
Lei comunque non si fa pregare: nel finale della canzone definisce Berlusconi il capo burattinaio che paga l’affitto a Saviano.
«Non sono il capo dei servizi segreti e non ho prove da portare, anche se prendo atto che Saviano è sempre molto deferente verso il suo editore. Del caso Saviano io faccio un’analisi politica: ciò che sta accadendo intorno a questo autore è funzionale a una destra populista, in cui il fenomeno della camorra è ridotto alla cattiveria innata di ceti popolari dediti al malaffare e al loro desiderio di fare soldi il più in fretta possibile. Secondo questa analisi il problema si risolve con più 41 bis, con più esercito, più polizia come vuole Maroni, non a caso amatissimo da Saviano».
E ora come si aspetta che valuteranno a sinistra questa sua presa di posizione?
«Ormai il savianismo è una religione. Credo che come minimo mi scorticheranno vivo».
"Un bugiardo ed incosciente al potere
Questa è la maleducatissima telefonata di ieri di Berlusconi a Ballarò dove afferma che “Giannini mente spudoratamente, è una menzogna assoluta che io abbia giustificato in qualche modo l’evasione“:
Per sbugiardare Berlusconi basta fare una ricerca su Internet, ci vogliono pochi secondi.
1) Nel 2008 diceva: “se le tasse sono troppo alte, è giusto mettere in atto l’evasione o l’elusione fiscale”
2) Questa invece è una dichiarazione del 2004 dove sempre lo stesso Berlusconi afferma “Mi sento moralmente autorizzato ad evadere per quanto posso”:
3) Sempre nel 2004: “Con tasse troppo alte ci si ingegna a evadere“.
4) Nel lontano 2002 in versione sindacalista: “i Cassaintegrati Fiat trovino un secondo lavoro in Nero“.
Continua tu la lista.
Giochi e lotterie, è allarme "Così le famiglie si indebitano"
A fronte di questo fenomeno criminale di massa è minima la ribellione della società civile: le istanze presentate al Comitato di solidarietà per le vittime sono state appena 151 per le estorsioni, solo 127 per l'usura. "Con il ddl intercettazioni voluto dal governo - spiega Pier Giorgio Morosini, giudice antimafia e membro dell'Anm - non si potranno più perseguire usura e estorsioni con le indagini telefoniche. E grazie all'emendamento D'Addario tuttora in vigore, la vittima di racket che registrerà l'incontro con il suo carnefice rischierà il carcere per intercettazione abusiva".
Saluggia, gara deserta per il deposito scorieE il nucleare “made in Italy” fa già flop
È una saga senza fine quella delle scorie radioattive, fatta di alcuni passi avanti, ma soprattutto di molte battute d’arresto. L’ultimo capitolo si svolge a Saluggia, il paesino piemontese dove si trova l’80% dei rifiuti nucleari liquidi italiani e dove sorge l’Eurex, il vecchio impianto per il riprocessamento del combustibile ex Enea (ora in smantellamento). Qui è andata deserta in questi giorni la gara per la costruzione del nuovo deposito D2 di stoccaggio dei residui radioattivi di categoria 1 e 2.
La Sogin, la Spa statale che si deve occupare del nucleare italiano, ha già pronto un nuovo bando con annessa relazione tecnica e ha modificato leggermente al rialzo l’importo del contratto: da circa 13 a 15 milioni e mezzo di euro. Una scelta, fanno sapere dalla società, dovuta al fatto che «le imprese europee del settore non hanno ritenuto convenienti le condizioni tecnico-economiche» del precedente bando. Sembra poco probabile, tuttavia, che i potenziali concorrenti abbiano deciso di mandare a monte la procedura solo per ottenere un lieve ritocco nel prezzo.
Il futuro edificio, un bestione da parecchie decine di migliaia di metri quadri destinato proprio ad alcune scorie derivanti dalle lavorazioni Eurex, ancora prima di nascere ha infatti già un vita difficilissima. Il progetto, approvato in deroga al piano regolatore nel 2005, in virtù di un proclamato stato d’emergenza, è fortemente osteggiato da associazioni ambientaliste e opposizione ed è tuttora oggetto di una serie di ricorsi. Tutte noie che potrebbero aver fatto venire qualche dubbio ai potenziali costruttori.
Ma cosa andrà a finire veramente nel deposito? «Rifiuti a bassa pericolosità – assicura Andrea Fluttero, segretario della Commissione ambiente del Senato – se ben costruito non penso proprio che creerà problemi». Ma i detrattori del progetto ribattono che la zona è inadatta a ospitare il deposito di stoccaggio. Il luogo identificato si trova a pochi metri dalla Dora Baltea, il principale affluente del Po, su un terreno ghiaioso e permeabile, «caratterizzato da una vulnerabilità della falda acquifera ufficialmente classificata come “estremamente elevata”, ed a valle del quale, a una distanza di meno di due chilometri, vi sono i pozzi dell’Acquedotto del Monferrato». Questo almeno è quanto si legge nel ricorso al presidente della Repubblica presentato ad aprile da una cittadina del comune del vercellese e appoggiato da associazioni ambientaliste e Pd locale. Molti i punti contestati: la presunta inidoneità del luogo, appunto, ma anche le procedure di concessione delle autorizzazioni.
«Non c’è nessuna ragione per costruire il deposito qui – spiega Gian Piero Godio, responsabile Energia di Legambiente Piemonte – si tratta tra l’altro di un’area depressa rispetto al livello del fiume». Diversa è la questione del Cemex, l’impianto di cementificazione delle vecchie scorie liquide che dovrebbe essere costruito poco lontano. Un progetto che, pur non essendo ancora partito, teoricamente dovrebbe permettere di solidificare i residui, in modo che poi siano trasferiti altrove. «Questo impianto serve eccome – conclude Godio – e speriamo che sia costruito velocemente».
Secondo Paola Olivero, capogruppo PD del consiglio comunale di Saluggia, «il rischio è che il D2 diventi il surrogato del famoso sito nazionale di stoccaggio di cui si parla da anni. Altrimenti perché la priorità, che prima era la costruzione del Cemex, ora sembra essere diventata quella dell’impianto di stoccaggio?». Ma per Fluttero la possibilità che il D2 diventi un deposito a tempo indeterminato «dipende dal successo o meno del ritorno del nucleare in Italia. A quel punto da qualche parte dovremo realizzare un sito nazionale, il che è una cosa assolutamente normale».
Resteremo a vedere. Per ora, il problema dei rifiuti prodotti dalle vecchie centrali procede a rilento: una bella grana per l’Italia soprattutto se, di centrali, vogliamo cominciare a costruirne di nuove.
"sabato 26 giugno 2010
Altro che mandanti morali Tartaglia era incapace di intendere e volere
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MILANO – Quando Massimo Tartaglia lanciò la statuetta del Duomo contro Silvio Berlusconi non era in grado di intendere e di volere. Detto e certificato dai periti della procura di Milano. Conclusione: Tartaglia fu il mandante di se stesso. Adesso cosa dirà il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto che i giorni seguenti quel 13 dicembre 2009 aveva già in tasca i nomi dei veri mandanti. Ecco cosa urlò in Parlamento: “La mano di chi ha aggredito Berlusconi è stata armata da una spietata campagna di odio il cui obiettivo è il rovesciamento del legittimo risultato elettorale”. Campagna d’odio, aveva proseguito il bracciodestro del premier, iniziata guarda caso “nel 1994″ e “condotta da un network Repubblica-l’Espresso, da quel mattinale delle procure che è il Fatto quotidiano, dalla trasmissione di Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio“. Parole imbarazzanti alla luce, soprattutto, delle sessanta pagine di perizia confezionate dai due esperti nominati dal gup Luisa Savoia e in cui si attesta che l’elettrotecnico milanese non era in sé quando, durante il comizio azzurro in piazza Duomo, mise in atto il suo ignobile gesto.Eppure l’intera nomenclatura del Popolo della libertà sposò le tesi di Cicchitto strumetalizzando politicamete il gesto di un matto. Si utilizzaron parole di fuoco che sì avrebbero potuto creare nel Paese un clima d’odio, in realtà non mai esistito. “Metodi di killeraggio mediatico”, sbottò il plurindagato Denis Verdini, che attaccò il direttore di Repubblica e “la sua cricca”. Proprio lui che, stando agli atti giudiziari, della cricca, quella vera, è stato uno dei grandi manovratori. Del resto nell’ultimo periodo lo stesso Verdini si è visto piovere addosso un altro avviso di garanzia per i progetti sull’eolico in Sardegna. Non è finita, perché la tesi dell’ex piduista Cicchitto fu imbracciata anche da Nicola Cosentino, già sottosegretario all’economia, oggi indagato per i suoi presunti legami con il clan de Casalesi.
Il giorno dopo le parole di Cicchitto, arrivò la replica di Marco Travaglio: “Ieri sera, per chi avesse avuto lo stomaco di tenere acceso il televisore su Speciale Tg1, ha potuto assistere al linciaggio in contumacia prima di Scalfari e di Annozero da parte del piduista Cicchitto. E poi al linciaggio personale di Santoro e del sottoscritto, additati come mandanti morali del pazzo che aveva appena lanciato un souvenir sulla faccia del presidente del Consiglio, a opera del vicedirettore di Libero. Perché non credo sia ancora lecito dare delle mandanti di un tentato omicidio a persone che fanno semplicemente, a differenza sua, i giornalisti e non i servi, non i killer prezzolati”.
La risposta di Cicchitto non si fece attendere:”Travaglio conferma di essere uno scientifico provocatore di violenza che dispone, senza contraddittorio, di dieci minuti in diretta televisiva durante i quali svolge il ruolo di terrorista mediatico che sollecita esplosioni di violenza nella società italiana. Visto il mezzo che ha a disposizione la pericolosità di questo individuo è maggiore dei cosiddetti cattivi maestri che lanciavano messaggi per via teorica”. Oggi e per l’ennesima volta capiamo che i fatti sono altri. E i fatti dicono che Tartaglia fu solamente il mandante di se stesso.
"Il primo premio alla D’Addario: ottiene l'autorizzazione edilizia
Per sbloccare la pratica che le permetterebbe di costruire il residence dei suoi sogni le aveva tentate tutte, a cominciare dalla notte con il premier. Il Comune di Bari ha concesso la prima autorizzazione edilizia
Infineon aims to beat 30% annual growth, says report
"Ustica fu una bomba" Scontro Giovanardi-Priore
'Ustica fu una bomba' Scontro Giovanardi-Priore
Il sottosegretario: 'Ci sono certezze che ad abbattere l'aereo fu una bomba e non un missile'. Insorgono i parenti delle vittime: 'Cose mendaci'. Il giudice che indagó sulla strage: 'Mi dica se parla a nome del governo'. Veltroni: 'Parole senza responsabilitá'. E Ciancimino: 'Quella sera il ministro convocó mio padre' Lo speciale di Repubblica
venerdì 25 giugno 2010
giovedì 24 giugno 2010
martedì 22 giugno 2010
Fini contro la Lega: la propaganda del Carroccio mette in pericolo la coesione nazionale
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iOS4, aggiornamento in corso
Sputare negli occhi alla democrazia
«Diciotto firme false su diciannove: praticamente nessuno dei candidati della lista “Pensionati per Cota” aveva sottoscritto la propria candidatura alle elezioni regionali. Hanno firmato, al posto loro, i due indagati: Michele Giovine, esponente principale della lista, rieletto in consiglio regionale con 27 mila preferenze, e suo padre Carlo».
Così oggi rivela Repubblica nelle sue pagine torinesi, che stanno da tempo aprendo uno squarcio su un caso che forse meriterebbe più attenzione a livello nazionale: l’illegittima elezione del leghista Roberto Cota a governatore del Piemonte.
Ora, le cose stanno così: alle elezioni del 28-29 marzo una lista che poi si è rivelata decisiva per la risicata vittoria di Cota sulla Bresso si è presentata con firme farlocche, quindi era illegale.
A questo punto si apre una nuova, gigantesca, questione giudiziario-politica: va invalidata o no l’elezione di Cota?
Certo è che se si seguissero le regole, la risposta non potrebbe essere che sì. Eppure c’è in giro una gran voglia di lasciar perdere. Perché si dice che “il dato politico prevale”, cioè Cota ha preso più voti della Bresso. Tanto più che nessuno ha voglia di sentire urlare di nuovo al “golpe giudiziario”, e le toghe rosse, e così via. E la stessa Bresso alla fine ha mollato il ricorso (che però va avanti con altri proponenti) in cambio di una poltroncina di consolazione.
Alla fine, in molti, prevale la stanchezza, il “che si tengano il Piemonte e buonanotte”.
Nemmeno io so più cosa augurarmi. A parte l’esilio a vita a Montecristo per Michele Giovine e i suoi cari, che hanno sputato negli occhi alla democrazia.
"Giulietto Chiesa: io, Di Pietro e quei soldi
Antonio Di Pietro? «E’ un uomo di potere, ma soprattutto è una persona sleale e scorretta, che usa il finanziamento pubblico per assicurarsi il controllo totale del suo partito, e quindi per conservare e incrementare il suo ruolo nella scena politica italiana».
Giulietto Chiesa, 70 anni a settembre, è stato eletto all’Europarlamento nel 2004 proprio nella lista capeggiata da Di Pietro, in un’alleanza di breve durata tra l’ex pm e Achille Occhetto. Chiesa, appunto, era candidato “in quota” a Occhetto e fu eletto a Strasburgo dopo la rinuncia dell’ex segretario del Pds. Il divorzio politico, poi, divenne una sanguinosa questione di soldi e di finanziamento pubblico che Di Pietro «si prese per intero», lasciando a secco l’altra componente, che lo portò in tribunale.
Ora che Di Pietro è indagato proprio per una presunta appropriazione non lecita di rimborsi elettorali, Piovonorane ha chiesto a Chiesa di raccontare la sua versione e i suoi ricordi di quel 2004.
Iniziamo da quando lei divenne europarlamentare con l’Italia dei Valori.
«Per la precisione, era una lista di coalizione tra Antonio Di Pietro e Achille Occhetto. Io fui chiamato appunto da Occhetto, che mi propose di candidarmi. Poi ebbi un colloquio con Di Pietrò e tutto sembrò andare bene».
In che senso?
«Io posi una questione per me dirimente, quella del pacifismo e dell’opposizione alla guerra in Iraq. Spiegai a Di Pietro le mie posizioni in merito, e lui mi rispose che non era ferratissimo sul tema ma si fidava di me, insomma non c’erano problemi. Così accettai la candidatura».
E poi?
«La lista andò male, meno del due per cento. Con due eletti, ovviamente Di Pietro e Occhetto. L’ex segretario del Pds però scelse di restare senatore e si dimise. Quindi gli subentrai io, primo dei non eletti».
E con Di Pietro?
«All’inizio ci fu una separazione consensuale, morbida. Insomma, avevamo capito subito che l’alleanza tra lui e Occhetto non aveva funzionato in termini di voti e quindi conveniva a tutti andare per la propria strada. Da una parte lui, con l’Italia dei Valori, dall’altra parte noi – diciamo – “occhettiani”, che ci chiamavamo Il Cantiere. Ma, ripeto, all’inizio non litigammo. Anzi, Di Pietro mi chiese di iscrivermi al gruppo liberal-democratico, per fargli avere più peso, e io accettai, anche se ero un po’ perplesso».
E poi?
«Poi passò l’estate e in autunno il gruppo del Cantiere – Occhetto, Novelli, Veltri, Falomi e altri – mi chiese di andare da Di Pietro per domandargli una parte del “rimborso elettorale” che lo Stato aveva dato alla nostra lista comune, cioè due milioni e mezzo di euro. Avevamo anche noi l’affitto della sede da pagare, i manifesti da stampare, insomma le solite cose».
Quanto volevate?
«Guardi, eravamo ben consci che Di Pietro era l’asse portante di quella lista, però anche noi avevamo portato i nostri voti ed eletto un eurodeputato. Insomma, non ci sognavamo nemmeno di chiedergli la metà e quindi lasciammo decidere a lui».
In che senso?
«Io andai a trovare Di Pietro nel suo ufficio di Strasburgo e gli chiesi, cortesemente: “Secondo te, quanto ci spetta?”».
E lui?
«Apriti cielo. Perse quasi subito la calma, s’inalberò furibondo e iniziò a urlare che non ci spettava neanche una lira. Gridava: “Io non vi devo niente, sei tu che devi tutto a me, se sei qui è tutto merito mio” e così via. Non l’avevo mai visto alterarsi così e non mi aspettavo che alzasse la voce in quel modo. Fu di una volgarità offensiva».
E lei?
«Io gli feci presente che c’era una questione di lealtà e di correttezza politica, ma anche giuridica, perché non poteva tenersi tutto visto che il gruppo parlamentare eravamo noi due e ci si era appena divisi. Lui si mise a ridere e mi disse: “Sì sì, provateci pure a portarmi in tribunale, tanto avete firmato una delega secondo la quale il finanziamento pubblico spetta tutto a me”».
Che cosa avevate firmato?
«Ecco, io al momento nemmeno capii. E rimasi zitto. Ma tornato a Roma lo chiesi a miei compagni del Cantiere: scusate, che cosa abbiamo firmato?».
E alla fine lo avete capito?
«Sì: con molta amarezza scoprimmo che nel giorno dell’accettazione delle candidature, nell’ufficio del notaio di Di Pietro in piazza del Tritone, quello ci aveva messo in mano un bel po’ di carte da firmare e tra queste c’era anche l’accettazione che i rimborsi elettorali andassero tutti a Di Pietro. Ovviamente nessuno di noi quella carta l’aveva letta, se non altro per educazione: vai dal notaio che ti fa firmare la candidatura e mica pensi che ci sia sotto la fregatura. Invece era proprio così: come le assicurazioni che ti rifilano le clausole vessatorie in fondo al contratto».
Quindi?
«Abbiamo intentato lo stesso la causa civile, ritenendo che il modo in cui ci era stata estorta quella firma la invalidasse. E abbiamo anche cercato di trovare una mediazione con Di Pietro. Ma lui niente, non ha voluto sganciare un euro. Comunque il procedimento giudiziario è ancora in corso».
Allora secondo lei ha ragione Veltri, quando accusa Di Pietro di essersi intascato i rimborsi con false autocertificazioni?
«Guardi, io sull’indagine penale non voglio entrare, anche perché si riferisce a un’altra questione. E non penso che Di Pietro usi il denaro del finanziamento pubblico per arricchimento privato. Ma sicuramente, avendo una gestione molto personalistica del partito, sa che il controllo dei finanziamenti è fondamentale per continuare a garantirsi questo suo ruolo di padrone. E quindi perpetuare e allargare il suo peso nella politica italiana. E lo fa senza badare né alla correttezza, né alla lealtà. Di Pietro è semplicemente un pezzo della Casta».
Stop al nucleare?
Tre giorni fa la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza numero 215 del 9 giugno 2010, con la quale la Corte Costituzionale ha decretato un vero e proprio stop alla corsa all'atomo del governo italiano.
La legge incriminata è la numero 102, del 3 agosto 2009, conversione del decreto-legge numero 78.
Con essa, all'articolo 4, il governo apriva alle procedure d'urgenza per la costruzione di nuove infrastrutture per la produzione di energia elettrica, da leggersi più comunemente come "nuove centrali nucleari".
Il governo aveva piena potestà esclusiva in materia di trasmissione e distribuzione e competenza congiunta con le regioni per quanto concerne la produzione e, quindi, la collocazione dei nuovi impianti.
Le nuove centrali rientravano in un piano di urgenza "in riferimento allo sviluppo socio-economico" (non a caso la legge in questione è il famoso "pacchetto anti-crisi") e si stabiliva la loro edificazione per mezzo di capitali "prevalentemente o interamente privati".
Ai fini di attuazione, il governo istituiva la figura di uno o più Commissari straordinari del governo, con poteri esclusivi e totali in tema di nuovi impianti energetici, al punto tale da poter scavalcare tutti gli enti coinvolti (a partire dai comuni e dalle regioni) per la scelta delle nuove sedi nucleari nazionali.
Sono stati proprio il mix tra "ragione d'urgenza" ed "utilizzo di capitali privati" e la privazione dei poteri decisionali delle regioni in materia ad aver condotto la Corte Costituzionale a cassare l'intero articolo, nei commi che vanno dall'1 al 4.
http://alessandrotauro.blogspot.com/2010/06/il-nucleare-italiano-ad-un-passo-dalla.html
lunedì 21 giugno 2010
Per Apple-tifosi only....
domenica 20 giugno 2010
"Appena assunto mettevo i nomi ai trovatelli e tagliavo le rette ai matti"
Vittorio Feltri, impiegato della Provincia di Bergamo, al brefotrofio prese a calci il timbracartellini. "E al manicomio applicai la tariffa minima a tutti. Mi cacciarono: fu la mia fortuna". I 500 Tipi italiani : "il Giornale" verso il Guinnes
«Esseri umani estinti entro cento anni»
Travaglio condannato, diffamò Schifani in tv
E' andato oltre il diritto di cronaca. Marco Travaglio risarcirà il presidente del Senato con una somma di 16mila euro. Il giornalista, durante una puntata di Che tempo che fa aveva evocato lombrici e muffe parlando parlando di Schifani. Ma Travaglio insiste: "Il tribunale mi ha dato ragione.
il Vaticano contro Saramago "Un ideologo anti-religioso"
il Vaticano contro Saramago 'Un ideologo anti-religioso'
Il giornale della Santa Sede critica in particolare il 'Vangelo secondo Gesù', opera controversa, attraverso la quale il premio Nobel lanció una 'sfida alla memorie del cristianesimo'
(16:31 19/06/2010)
Voce del verbo abbranchèr
Fra l’altro la signora Scajola ha fatto sapere che, se il marito s’è finora avvalso della facoltà di non rispondere, è stato per non inguaiare “gente più compromessa di lui”. Chissà se conviene contrariarlo: e se poi parla? Potrebbe esplodere una rissa nell’ora d’aria del Pdl, simile a quella che sta dilaniando l’Udc col simpatico scambio di vedute tra il senatore Cintola (indagato perché mandava l’autista con l’auto blu a comprargli la coca) e il segretario onorevole Cesa (arrestato nel ’93 per una trentina di mazzette, mise a verbale: “Ho deciso di svuotare il sacco”). Appena Cesa ha sospeso Cintola dal partito, Cintola – suo affezionato biografo – ha replicato: “Cesa dovrebbe sospendersi da solo, con tutto quel che ha combinato”. Ora non vorremmo che la guerra fra impresentabili riesplodesse nel centrodestra a proposito della biografia di Brancher. Il 18 giugno 1993, quand’era il vice di Confalonieri alla Fininvest Comunicazioni, fu prelevato e sbattuto a San Vittore su richiesta del Pool di Milano, in base alle accuse di Giovanni Marone, segretario del ministro della Malasanità Francesco De Lorenzo: “Brancher venne da me a nome della Fininvest per raccomandarsi che le venisse riservata una maggiore fetta di pubblicità nella campagna anti-Aids (sulle reti Fininvest, ndr). E quando questo privilegio fu realizzato, mi fu riconoscente pagando 300 milioni in due rate”: 300 a Marone e 300 al Psi.
Brancher restò in carcere tre mesi e, per trasmettergli la consegna del silenzio, B. ricorse al paranormale: “Quando Brancher era a San Vittore – ha raccontato il Cavaliere – io e Confalonieri giravamo in auto intorno al carcere per metterci in comunicazione con lui”. La telepatia funzionò: Brancher tenne la bocca chiusa. Fu poi condannato in primo e secondo grado a 2 anni e 8 mesi per finanziamento illecito e falso in bilancio. Poi, in Cassazione, il primo reato cadde in prescrizione, mentre il secondo fu amorevolmente depenalizzato dal governo Berlusconi, di cui era sottosegretario lo stesso Brancher. Il quale, nel 2005, torna sul luogo del delitto: la Procura di Milano trova un conto alla Banca Popolare di Lodi intestato alla sua compagna Luana Maniezzo con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300 mila euro in due anni. Un regalino di Fiorani, come spiega lo stesso banchiere ai pm: “Con Brancher ho avuto diversi rapporti economici: una somma nel 2003 sul conto di Luana Maniezzo; nel 2004 100 mila euro che ho consegnato in ufficio a Lodi per ringraziarlo per l’attività svolta in Parlamento per aiutare Fazio; 100 mila euro nel 2005 a Roma; 200 mila euro a Lodi quando ho consegnato la busta a Brancher che la doveva dividere con Calderoli… che aveva bisogno di soldi per la sua attività politica”. Il 26 giugno sarebbe dovuto iniziare al Tribunale di Milano il processo a suo carico per appropriazione indebita, processo finora rinviato per i suoi impedimenti parlamentari (tipo una imprescindibile missione alla Fiera di Hannover). Ma niente paura, ora che è ministro il processo non partirà nemmeno, grazie alla legge sul legittimo impedimento. L’amico B. l’ha salvato appena in tempo. E il capo dello Stato, nelle cui mani questo bel giglio di campo ha giurato ieri, ha fatto finta di nulla. Chissà com’è felice Scajola.
da Il Fatto Quotidiano del 19 giugno 2010"
sabato 19 giugno 2010
La vera Anti-politica: commissariare i comuni come Camigliano
mercoledì 16 giugno 2010
Se Pomigliano rischia di chiudere
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2499482&title=2499482
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2499400&yy=2010&mm=06&dd=15&title=se_pomigliano_rischia_di_chiud
Tassa per le Pensioni
http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/150_Miliardi_di_..._%22solidariet%C3%A0%22#body
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I contributi, infatti, hanno una doppia valenza: oggi fungono da "entrate" dell'INPS che li utilizza per pagare le pensioni di chi già ha smesso di lavorare; domani, diventeranno la base di determinazione della pensione che il lavoratore riceverà la quale (secondo la legislazione) dovrà essere proporzionale a quanto accumulato nel montante individuale. Se una parte dei contributi che un lavoratore riceve vengono utilizzati solo per la prima funzione (pagare le pensioni attuali) ma non per la seconda (calcolare il montante della futura pensione del contribuente) il criterio di equità verrebbe a sparire. Detto altrimenti: se una parte dei pagamenti all'INPS avesse solo la prima funzione e non la seconda, perderebbe la natura di contributo e diventerebbe un'altra cosa. Una tassa occulta.
E’ proprio quello che accade nel nostro attuale sistema di prelievo contributivo, così come possiamo scoprire dalla lettura dei bilanci INPS. Consultando ad esempio l’ultimo Rendiconto Generale disponibile, quello del 2008, scopriamo quanto segue: il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) (il grosso, si può dire, della Gestione INPS) ha chiuso il 2008 in attivo, dopo anni di perdite, ma conserva un situazione patrimoniale fortemente negativa (circa 123 Miliardi). Per contro, la Gestione delle Prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti (che gestisce maternità, malattie, mobilità, cassa integrazione, etc..) ha sempre, ogni anno, risultati abbondantemente positivi (5,7 Miliardi nel 2008, nonostante le crisi, su circa 18 Miliardi di contributi versati) ed una situazione patrimoniale molto “ricca” (oltre 175 Miliardi).
Queste diverse “gestioni” sono alimentate da differenti aliquote contributive, come specificato in queste tabelle INPS. La figura seguente riporta invece gli attivi della Gestione Prestazioni Temporanee INPS durante l'ultimo decennio.
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Questo grafico, che evidenzia enormi attivi tutti gli anni, fa nascere subito una prima considerazione: se la Gestione delle Prestazioni Temporanee è sempre abbondantemente in attivo significa che vengono raccolti molti più contributi di quelli necessari per coprire tutte le prestazioni. Ma allora, perché non ridurre questi contributi?
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Come abbiamo visto, dati gli avanzi della GPT, sarebbe possibile diminuire i contributi a carico dei lavoratori per il finanziamento di questa gestione. Se l'esigenza fosse solo quella di "ripianare i conti" del FPLD, basterebbe poi aumentare i contributi pensionistici della stessa misura in cui si diminuiscono quelli per malattia, maternità, cassa integrazione, etcetera. In busta paga i lavoratori non vedrebbero alcuna differenza. Perché non si fa questo semplice, equo e trasparente aggiustamento?
È presto detto: con questo sistema i pagamenti dei lavoratori alla GPT non costituiscono contributi pensionistici! Ciò significa che non finiranno nel montante individuale per il calcolo delle pensioni future. Così facendo diminuisce il debito futuro dell'INPS verso i contribuenti attuali.
I pagamenti che costoro effettuano alla GPT sono quindi una pura tassa: per la parte sistematicamente in eccesso agli esborsi della GPT essi servono solo per pagare pensioni di altri, ossia degli anziani oggi in pensione! Essi non verranno mai utilizzati per calcolare domani la pensione di chi oggi li paga. Si tratta, insomma, di un trasferimento dalla generazione dei "giovani" (quelli che adesso sono in età lavorativa) alla generazione degli "anziani" (coloro che sono attualmente in pensione). O, detto altrimenti, una tassa occulta sui giovani per pagare delle pensioni che, altrimenti, il sistema non potrebbe piu' permettersi e che, infatti, non pagherà domani ai giovani di oggi.
Un piccolo atto di "generosità intergenerazionale" occulta e forzosa che ha già fruttato 150 Miliardi di euro.
martedì 15 giugno 2010
Eliminare il rumore del Vuvuzela in TV? Si può
http://enzoamato.blogspot.com/2010/06/eliminare-il-rumore-del-vuvuzela-si-puo.html
lunedì 14 giugno 2010
Punti di vista interni
http://www.marsicanews.it/index.jsp?inizio=1&id=241&dettaglio=9750
venerdì 11 giugno 2010
lunedì 7 giugno 2010
SIAMO UN PAESE RIDICOLO
Il ministro per la Semplificazione Calderoli se la prende con il presidente dell’Inter, Massimo Moratti. Il problema, secondo il ministro, è che i soldi - tanti- che l’Inter spende per i suoi calciatori e per i suoi allenatori vengono (anche) da incentivi pubblici per l’energia prodotta con fonti rinnovabili e assimilate. Tra cui il “tar”, l’ultima scoria della lavorazione del petrolio. “Questa è roba che un’azienda dovrebbe pagare per smaltire. Invece, grazie a una legge, c’è chi la brucia e prende pure i soldi dallo stato per produrre energia pulita. Ma chi vogliono prendere in giro?”. Onestamente si fa fatica a capire. Calderoli è ministro. Se questi incentivi sono sbagliati, perché il Governo non li elimina subito? Chi dovrebbe farlo? Invece che queste sparate o le stucchevoli Robin Hood tax sui petrolieri, non sarebbe meglio che il Governo promuovesse una maggiore liberalizzazione del settore in modo da ridurre la bolletta delle famiglie? I soldi che ottiene dall’attività di famiglia, Moratti è libero di spenderli come vuole. Perché non dovrebbe spenderli per calciatori e allenatori stranieri, cosa che sembra irritare Calderoli? Secondo il ministro, Moratti rimpiange i soldi spesi per il portoghese Mourinho? E allora perché il Milan aveva lo scorso anno il brasiliano Leonardo come allenatore? E che dovrebbero dire gli inglesi o gli irlandesi che hanno un allenatore della loro Nazionale italiano? Certo, l’Inter ha avuto in questi anni delle grosse perdite. Tutte però ripianate dai soldi di Moratti. Molto peggio ha fatto il Real Madrid, con perdite ancora maggiori e con una esposizione verso le banche sempre crescente. Nel calcio, in tutto il mondo, non c’è ancora un salary cap, cioè un monte salari che nessuna squadra può superare. Ciascuna squadra spende quanto vuole. Le regole possono essere cambiate – e il Presidente dell’Uefa, Platini, sta lavorando a quello che lui definisce il fair play finanziario - ma al momento Moratti non ha violato nessuna regola.
Ha ragione Fabio Cannavaro quando dice che siamo un paese ridicolo. Solo noi abbiamo il ministro Calderoli, l’amichevole Padania - Regno dei Borboni e un capitano delle Nazionale (quella vera) che, commentando un contratto milionario con una squadra araba sottoscritto a fine carriera, dice: “L’ho fatto per una scelta di vita”.
Un altro commento, più tecnico, sulla sparata di Calderoli è qui: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/L%27economia_politica_degli_ingaggi_ai_mondiali#body
venerdì 4 giugno 2010
Salvate Briatore
Salvate Briatore
Dello yacht di Flavio Briatore si è detto quasi tutto. Sappiamo quanto costa, quanto è lungo, di quanti nodi è capace e quanto – almeno a sentire Elisabetta Gregoraci – è importante per la stabilità emotiva ed alimentare del neonato figlio dei due.
Ne sappiamo talmente tanto, dello yacht di Briatore, che il caso non poteva non finire in Parlamento.
La firma dell’interrogazione ai ministri Tremonti e Brambilla è dell’onorevole Pietro Laffranco. Non è un deputato Pdl qualsiasi, ma il vicepresidente dei deputati del partito di Berlusconi. Che ha preso carta e penna per chiedere al governo se “non ritenga necessario assumere iniziative immediate per porre riparo alle conseguenze ingiustificatamente patite dai familiari del signor Briatore e per rimediare al danno di immagine arrecato al Paese”.
Ma l’ex An Pietro Laffranco, se omonimia non inganna, è lo stesso che dopo la sentenza sui pestaggi alla scuola Diaz ha attaccato a testa bassa la Corte d’Assise, colpevole di aver condannato gli agenti “che quotidianamente si trovano in prima linea nella difesa dello Stato”.
Per la proprietà transitiva, si desume che entrare in una scuola e menare alla cieca aiuta l’immagine dell’Italia, mentre il sospetto di una frode al fisco per fare benzina la deprime.
Questione di opinioni.
Solo piacerebbe sapere cosa ne pensano le Fiamme gialle, visto che la medesima proprietà transitiva stabilisce che per Laffranco i poliziotti sono servitori dello Stato, e i finanzieri no.
giovedì 3 giugno 2010
Evasione, processi e condoni la "favola" fiscale del premier - Repubblica.it
mercoledì 2 giugno 2010
Google, addio a Windows "Non è abbastanza sicuro"
Google, addio a Windows 'Non è abbastanza sicuro'
Dopo gli attacchi informatici dei mesi scorsi, l'azienda di Mountain View starebbe gradualmente dismettendo l'utilizzo interno del sistema operativo Microsoft. Gli saranno preferiti Mac Os e Linux di TIZIANO TONIUTTI
martedì 1 giugno 2010
Hynix raises capex, breaks with Numonyx
L'Exodus Rovesciato
TEL AVIV - Dalla spiaggia di Tel Aviv guardiamo il Mediterraneo incendiato dall'inconfondibile luce del Levante e proviamo un senso di vergogna, come di profanazione per quello che vi è accaduto nell'oscurità. Non si sono certo fatti onore i marinai d'Israele, protagonisti di un arrembaggio dilettantesco e cruento. Una delle pagine più oscure nella storia di Tzahal. Tanto più che spezza inavvertitamente l'equilibrio strategico mediorientale in cui la Turchia rivestiva una preziosa funzione di stabilità, e coalizza una vasta ostilità internazionale contro lo Stato ebraico.
Può anche darsi che stringendo gli occhi a fessura sul riverbero del mare la maggioranza degli israeliani sia trascinata dall'esasperazione a sussurrare tra sé l'indicibile - "ben gli sta, se la sono cercata" - ma ciò non ribalta il bruciore della sconfitta morale. Il paese è sotto choc, soggiogato dal senso di colpa. Vorrebbe giornalisti in grado di spiegare la strage come legittima autodifesa. S'immedesima nei militari feriti, e così la tv giustifica i primi marinai saliti a bordo della "Mavi Marmara": hanno vissuto attimi di terrore, una situazione analoga a quella dei due soldati linciati dieci anni fa nel municipio di Ramallah. Ma suda vistosamente l'ammiraglio Eliezer Merom, seduto accanto al ministro della Difesa, Ehud Barak, quando tocca a lui giustificare una provocazione cui i suoi uomini, come minimo, non erano preparati. I portavoce governativi balbettano più volte la parola "rammarico". Rispondono a monosillabi sotto l'incalzare dei reporter. Né giova alla credibilità internazionale d'Israele che il primo incaricato di rilasciare dichiarazioni ufficiali sia stato il viceministro degli Esteri, Danny Ayalon, esponente del partito di estrema destra "Israel Beitenu": fu proprio Ayalon l'11 gennaio scorso a offendere di fronte alle telecamere l'ambasciatore turco Oguz Celikkol, fatto sedere apposta su una poltrona più bassa della sua e preso a male parole. Rischiando di interrompere già allora le relazioni diplomatiche fra i due più importanti partner degli Usa in Medio Oriente.
Oggi il trauma del distacco fra Israele e la Turchia è irrimediabilmente consumato. Non a caso il governo di Ankara aveva appoggiato la Freedom Flotilla dei pacifisti, salpata dalle sue coste con l'intenzione di un'esplicita azione di disturbo ai danni di Netanyahu. Israele è caduto in pieno nella provocazione.
E' un tale disastro geopolitico, la contrapposizione al più importante paese islamico della Nato, oggi attratto nel gioco delle relazioni spregiudicate con la Siria e con l'Iran, da lasciar intuire che possa esservi stato un calcolo in tale follia: cioè che la destra israeliana al governo, già invisa all'amministrazione Obama, scommetta di sopravvivere praticando il tanto peggio tanto meglio. Netanyahu, ricattato alla sua destra, esercita una leadership fragile, piuttosto spregiudicata che coraggiosa. Ciò che lo assoggetta alle ricorrenti tentazioni d'azione militare dell'alleato laburista, politicamente sprovveduto, Ehud Barak. Il governo d'Israele si comporta come se non fosse mai avvenuto il ritiro dalla striscia di Gaza. Ha lasciato nelle mani di Hamas e dei suoi sostenitori internazionali l'arma propagandistica dell'embargo cui è sottoposta una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Cerca di mobilitare contro Barack Obama e Hillary Clinton la comunità ebraica statunitense, sottovalutando i dilemmi morali e le perplessità che il suo oltranzismo ha generato in quella che non è certo più una lobby compatta.
E' coltivando il mito della propria autosufficienza, l'illusione di contenere sempre nuovi nemici grazie alla superiorità tecnologica e militare, che Israele è andata a infilarsi nella trappola della Freedom Flotilla. Incapace di trattare con cinismo distaccato un'iniziativa umanitaria sponsorizzata da tutti i suoi peggiori nemici. Non poteva limitarsi a bloccare fuori dalle acque territoriali il convoglio ostile? Perché la Marina è stata chiamata a dare una tale prova di arroganza e inefficienza? Male informata, come minimo, forse beffata nel corso di trattative ufficiose, ha suggellato un disastro politico.
Ma i calcoli strategici restano in secondo piano di fronte al turbamento delle coscienze.
Il blocco militare del Mar di Levante evoca troppi simboli dolorosi nel paese che coltiva la memoria dei sopravvissuti alla Shoah quasi alla stregua di una religione civile. Impossibile sfuggire alla suggestione che in una tiepida notte d'inizio estate le acque del Mediterraneo abbiano vissuto un Exodus all'incontrario. Non certo perché i militanti e i giornalisti a bordo della flotta che intendeva violare l'embargo di Gaza siano paragonabili ai 4500 sopravvissuti dei lager che le cacciatorpediniere britanniche speronarono nel 1947 al largo di Haifa, impedendo loro di approdare nel nuovo focolare nazionale ebraico. Ma perché quell'arrembaggio sconsiderato in acque internazionali, senza che Israele fosse minacciato nella sua sicurezza, discredita uno dei suoi valori fondativi: la superiorità morale preservata da una democrazia anche nelle circostanze drammatiche della guerra.
Per questo nell'opposizione al governo di destra echeggiano parole gravi, accuse di follia: "Chi ha agito con tanta stupidità deve rendersi conto che ha sporcato il nome d'Israele", scrive per esempio il vecchio pacifista Uri Avnery.
Con timore mi sono presentato in serata all'incontro organizzato dall'istituto italiano di cultura, cui partecipava un centinaio di ebrei d'origine italiana. Mi avrebbero accusato come altre volte di tradimento, di scarsa lealtà alla causa israeliana? Lo scoramento, inaspettatamente, prevaleva sulla recriminazione. Nessuno dei partecipanti ha speso una parola per difendere l'operato del governo e di Tzahal. Il disastro politico veniva riconosciuto coralmente, chiedendosi semmai chi possa metterci una buona parola per segnalare all'estero l'angoscioso senso d'accerchiamento vissuto dagli israeliani.
E' giunto ieri a Tel Aviv, per dialogare con la leader dell'opposizione Tzipi Livni, il filosofo francese Bernard Henry Levy. Filoisraeliano convinto, all'inizio del 2009 appoggiò perfino la spedizione punitiva "Piombo fuso" scatenata da Olmert contro Gaza. Ma oggi Henry Levy è tra i primi firmatari di un "Appello alla ragione" di varie personalità ebraiche d'Europa, collegate a un analogo movimento ebraico statunitense, denominato "J call". Sono esponenti moderati, sionisti, solo in minima parte ascrivibili alla sinistra politica, che ora denunciano l'evidente ostilità del governo Netanyahu ai tentativi diplomatici messi in atto dalla Casa Bianca per costituire in tempi brevi uno Stato palestinese che viva in pace con Israele. Auspicano un ricambio di maggioranza politica a Gerusalemme, e di certo la segreteria di Stato americana condivide tale speranza: ha usato parole molte prudenti nel commentare la strage in mare. Ma il dispetto di Obama è gravido di conseguenze che gli israeliani percepiscono sotto forma di incubo dell'abbandono.
Con sollievo si è constatato che, per ora, il crimine marittimo non pare causa sufficiente a scatenare la prossima Intifada, cioè la rivolta interna degli arabi col passaporto israeliano. Ma non ci sono soltanto gli equilibri dei governi e della geopolitica mediorientale, in bilico. Chi protesta, o anche solo chi si vergogna in silenzio, avverte il pericolo che il paese cui è legato da un vincolo indissolubile di parentele e sentimenti, degradi nel disonore. In quello splendido mare infuocato, l'epopea dell'Exodus sta facendo naufragio.
Gad Lerner