giovedì 26 agosto 2010

La Fiat a Melfi ha ragione, chi l’accusa no

La Fiat a Melfi ha ragione, chi l’accusa no: "

Come purtroppo c’era da attendersi, la FIOM-Cgil si è attestata su una linea durissima a Melfi. I tre attivisti sindacali che erano stati licenziati dall’azienda per danni indebiti alla produzione durante lo sciopero dello scorso 7 luglio, sono stai reintegrati dal giudice del lavoro e ieri l’avvocato del sindacato li ha riaccompagnati in azienda, pretendendo che venissero riassegnati alle funzioni produttive. Ma l’azienda aveva chiarito in precedenza che, pendente il ricorso e partita anche l’azione penale per danni nei loro confronti, la riassegnazione sarebbe stata rifiutata. La giornata si è chiusa con l’annuncio di un’azione penale anche da parte dei lavoratori e del sindacato contro la Fiat, oltre che con un nuovo passo verso il giudice del lavoro, a cui si chiederà in dettaglio di circostanziare tutto ciò a cui l’azienda sarà obbligata dal giudice. Nei commenti, prevale la condanna alla Fiat. Anche sul Corriere della sera. Io dico che sbaglia, chi la pensa così. E lo penso ragionando, non per cercare dannose prove di forza. Prevale la condanmna alla Fiat non solo da parte di chi, come la sinistra antagonista e naturalmente la Cgil, si oppone apertamente alla svolta di produttività iniziata con l’accordo interconfederale sul salario decentrato firmato da Confindustria nel febbraio 2009, inverato poi con l’accordo su Pomigliano, approvato a maggioranza dai lavoratori, e che ora l’azienda intende estendere al più presto in ciascun stabilimento nazionale. Anche da parte di molti che pure sono comprensivi verso le richieste Fiat, è stato espressa una aperta delusione perché l’azienda starebbe cadendo in una sorta di trappola. Tirando troppo la corda, farebbe il gioco preferito da chi si oppone per principio. Mettendo in difficoltà chi invece intende assecondare la svolta, ma senza per questi passare come indifferente o addirittura nemico dei diritti dei lavoratori.


Penso che questo atteggiamento sia anche comprensibile, in un Paese che da sempre è abituato a pensare che le innovazioni si fanno solo molto, ma molto gradualmente. E anzi, più sono importanti e delicate, più devono essere graduali. Figuriamoci quando poi si tratta della prima azienda manifatturiera italiana, di un contratto simbolo per definizione, come quello dei metalmeccanici, e del sacrosanto diritto di sciopero. Penso però che questo atteggiamento sia semplicemente sbagliato. Se la Fiat ha ragione, allora ha ragione fino in fondo. Se ha ragione fino in fondo, bisogna mettere in conto che ora è venuto il momento di dirlo senza infingimenti, perché il momento delle scelte è ora. Dire per esempio che con ogni probabilità è assolutamente vero, che i tre scioperanti il 7 luglio scorso hanno bloccato carrelli automatici che servivano a rifornire sulla linea chi non scioperava, e che ciò costituisce un comportamento illegittimo, dannoso alla libertà altrui e al patrimonio dell’azienda, ma la Fiat doveva comunque far finta di niente – come si è letto ieri sul Corriere della sera – a mio giudizio rischia di accrescere solo la confusione.


Si ha come l’impressione che in Italia ancora pochi abbiano capito la portata vera di questa sfida. Sommando il fatturato 2010 atteso di Fiat auto – 27,7 miliardi di euro – e di Chrysler – 20,1 miliardi di dollari, il gruppo torinese si colloca oggi stesso nel mondo subito dopo i 61 miliardi di euro di Volskwagen, i 64,6 miliardi di dollari di General Motors, i 59 miliardi di dollari di Ford. Fiat si piazza d’autorità al quarto posto nel mondo, alla pari con i 46 miliardi di euro di Mercedes, staccando di parecchie misure BMW e Peugeot sotto i 30 miliardi, e Renault che starà sotto i 20.


E’ una competizione durissima, se pensiamo a quanto i tedeschi siano al momento più avanti di tutti, in Cina. Se vogliamo difendere l’auto italiana, non c’è alternativa. Su questo John Elkann e Sergio Marchionne hanno ragione. Bisogna che sindacato e politica si mettano in condizione di capire che o si abbraccia ora e subito la via della nuova produttività e delle nuove relazioni industriali, oppure semplicemente il treno è perduto. I magistrati del lavoro a quel punto potranno anche reintegrare tutti i lavoratori che scambiano il legittimo diritto di sciopero con l’illegittimo procurato danno, ma non sarà questa via a difendere l’auto italiana nella competizione mondiale. Né si è visto mai uno stabilimento che resta aperto a dare lavoro oggi e domani perché lo ordina un magistrato, se quello stabilimento non ha più margini di utile e competitività.


E’ verissimo che, nei passaggi più delicati e decisivi, gli attori di grandi scelte devono attentamente misurare toni e decisioni. La realizzazione di quella grande svolta nazionale che riguarda non solo Fiat, ma l’intera industria italiana per realizzare quel salto in avanti reso possibile dall’accordo del 2009 e dalla detassazione del salario di produttività, chiede a tutti una grande responsabilità. Lo chiede alle aziende e al sindacato, come alla politica. Ma richiede anche una chiarezza oserei dire quasi chirurgica. In Italia nessuno ha chiesto di accettare, per difendere l’occupazione, i 14 dollari l’ora per i giovani che pure il sindacato americano ha accettato. Né tanto meno è stato chiesto di lavorare una settimana in più l’anno a parità di salario, come ottennero Volskwagen e Siemens e molte imprese tedesche alcuni anni fa, la svolta che le fa oggi così forti. A maggior ragione, è pura miopia autolesionista accusare di fascismo aziendale chi si è messo in condizione di contare di più nel mondo lavorando di più, ma anche pagando di più i lavoratori che lo accettano.





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1 commento:

  1. Dire per esempio che con ogni probabilità è assolutamente vero, che i tre scioperanti il 7 luglio scorso hanno bloccato carrelli automatici che servivano a rifornire sulla linea chi non scioperava, e che ciò costituisce un comportamento illegittimo, dannoso alla libertà altrui e al patrimonio dell’azienda...

    Il problema, che, da bravi italiani, FIAT, Giannino e tanti altri trascurano e' che (stante il corrente diritto del lavoro italiano) bisogna DIMOSTRARE il danno al patrimonio ed alla libertà altrui davanti al giudice.
    Non conta cosa sia successo, ma cosa si può provare che sia successo.
    A questo punto mi domando: cosa accadrà se alla fine la FIAT non riuscirà a dimostrare il comportamento doloso dei tre e li dovrà riassumere, con tante scuse?

    Inoltre, una cosa che mi é venuta in mente: quando UIL e CISL si accordavano per il nuovo modello di contratto collettivo, si pensava anche a ridurne il numero; per adesso ne é nato uno nuovo in più...

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