mercoledì 20 ottobre 2010

Un Paese a Pezzi...

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Il Paese a pezzi è l'Italia, ed ha provato a raccontarlo un magistrato in un libro Alfabeto Italia - Riflessioni e provocazioni per un paese a pezzi, pubblicato dalla Ginevra Bentivoglio EditoriA. Sarà presentato il 23 ottobre 2010, nel cortile quattrocentesco sede della casa editrice.

Ecco la prima parte dell'introduzione:

Negli anni ’90 vengo fermato e controllato da una pattuglia di polizia alla guida della mia vettura. Nulla mi viene contestato,ma vengo guardato con sospetto, si allungano sguardi investigativi attraverso i finestrini, si gira e rigira intorno alla vettura, mentre altro personale controlla o perlomeno trattiene i miei documenti. Dopo parecchi minuti chiedo se vi sia qualcosa da contestarmi: mi si dice che è un semplice controllo.
Chiedo i miei documenti e mi si risponde con una domanda: “Che lavoro fa?”
Rispondo: “Sono un cittadino della Repubblica Italiana e non vedo quale importanza abbia il mio lavoro”. A questo punto mi si chiede di aprire il cofano del bagagliaio. Faccio osservare che se vogliono perquisire la vettura devono avere un mandato, oppure contestarmi la flagranza di un reato, oppure avere il fondato sospetto che io trasporti armi. Si guardano stupiti e mi chiedono se sia un avvocato.
Torno a rispondere che il mio lavoro non conta e che mi trattino come un cittadino qualsiasi. Insisto per conoscere i motivi di tanti sospetti, chiedendo se abbiano avuto una segnalazione su una vettura analoga alla mia o su una persona che mi somigli.
Dopo qualche esitazione mi viene detto che porto la cintura di sicurezza (obbligatoria da anni) e poiché nessuno la porta tale comportamento è strano (viene testualmente definito “strano”).
Al mio sbalordimento, il poliziotto dà anche una spiegazione meravigliosamente allucinante: se qualcuno porta in macchina droga o un sequestrato o si trova comunque in una situazione illegale non rischia certo di essere fermato per un semaforo rosso o una violazione amministrativa, per cui portare la cintura di sicurezza è sospetto in una città dove nessuno la porta.
A questo punto sbotto: mi qualifico (non ha importanza il mio lavoro) e mi prendo le scuse dei poliziotti, che mi rimproverano di non aver detto subito che lavoro facessi e sembrano stupiti del mio ribadire che non aveva alcuna importanza. Faccio loro rilevare che mi si sta dicendo che in questo Paese è sospetta l’osservanza delle regole, mentre è “normale” chi le viola.
Poi, ragionando, mi complimento con l’acume investigativo dei poliziotti: avevano perfettamente ragione. Un cittadino che indossa le cinture di sicurezza obbligatorie in questo Paese è sospetto, perché la legalità in questo Paese è una cosa inconcepibile.
Ho ripreso i miei documenti e sono andato via tra mille scuse dei poliziotti.
Questo è un paese di furbi.
Le regole sono riservate ai fessi.
...

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